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L’effetto di disinibizione online e la violenza verbale in internet: siamo più “veri” online?

L’effetto della disinibizione online svela la nostra vera natura? Siamo tutti un po’ odiatori sotto sotto? Perché ci sentiamo più disinibiti online?

Di Emanuela Taraschi

Pubblicato il 08 Gen. 2021

Molte persone si esprimono e agiscono più liberamente quando navigano in Internet rispetto a quanto farebbero di persona. Questo fenomeno è chiamato disinhibition effect online e porta le persone a mostrarsi più aperte verso l’altro.

Emanuela Taraschi – OPEN SCHOOL Studi Cognitivi San Benedetto del Tronto

 

Da una parte può essere un vantaggio, sia il condividere più facilmente informazioni su di sé, per esempio, durante un percorso di psicoterapia online, sia il mostrarsi collaborativi e solidali, scambiandosi materiali e offrendo supporto a perfetti sconosciuti. Dall’altro lato, questo effetto può portare a conseguenze disfunzionali e condotte devianti, per esempio, dipendenza da internet, revenge porn (immagini intime rese pubbliche per dileggiare l’altro), odio online (critiche, insulti e minacce) ecc. In particolare, quest’ultimo fenomeno, la violenza verbale online, sembra in continuo aumento e si ha la sensazione che i modi ostili e aggressivi si stiano trasferendo anche nelle interazioni faccia a faccia. Circa due anni fa mi colpì la notizia dell’aggressione alla giornalista Giorgia Rombolà, prima dagli astanti in metropolitana e poi sui social con insulti e minacce, perché aveva cercato di fermare il pestaggio di una nomade, accusata di aver tentato uno scippo (Rombolà, 07/12/2018 ansa.it). In quell’occasione mi domandai se quegli stessi astanti avrebbero reagito allo stesso modo qualche anno prima. Oggi la nostra tolleranza all’odio risulta molto alta, specie nei giovani. L’essere sottoposti quotidianamente, attraverso i media, a espressioni d’odio e scene di violenza, porta non solo le persone ad essere meno reattive per assuefazione, ma anche ad una sorta di apprendimento. La Teoria dell’Apprendimento Sociale (Bandura, 1972 in Aronson, 1997), basata su evidenze scientifiche, afferma che apprendiamo anche da ciò che vediamo, dunque, non stupisce che le espressioni di odio stiano aumentando a macchia d’olio.

Ma è l’effetto di disinibizione online a svelare la nostra vera natura? Siamo tutti un po’ odiatori sotto sotto? Studiosi di tutto il mondo hanno sancito già nella Dichiarazione di Siviglia sulla violenza (1989) che:

la biologia non condanna l’umanità alla guerra, poiché l’umanità può essere liberata dal vincolo del pessimismo biologico; la violenza non è nel nostro retaggio evoluzionistico, né nei nostri geni.

Anche Tomasello (2016) conferma che siamo esseri morali, giacché la capacità di essere altruisti e cooperativi, appare la scelta evolutiva selezionata filogeneticamente. Infatti, esiste anche il lato benigno della disinibizione online, che ci permette di creare più facilmente nuove amicizie e di essere altruisti e solidari. Essere consapevoli di come agisce l’effetto di disinibizione online, è un passo necessario per contrastare le conseguenze disfunzionali, come l’odio online.

Perché ci sentiamo più disinibiti online? Quando siamo sul web funzioniamo in modo diverso, rispetto a quando siamo offline. I primi studi su cervello e tecnologia mettono in evidenza, oltre all’iperstimolazione della corteccia visiva, uditiva e somato-sensoriale, anche un cambiamento del profilo cognitivo delle persone che usano quotidianamente la tecnologia digitale. Per esempio, cambiano modi e tempi di lettura degli ipertesti, emerge la tendenza a delegare i processi della propria memoria di lavoro alla tecnologia digitale ecc. e per quanto riguarda l’effetto di disinibizione online, è interessante sottolineare che appare diminuire la capacità di attendere e di mentalizzare le assenze, cioè di rappresentarsele internamente, mentre aumenta la tendenza ad agire compulsivamente, cioè in modo impulsivo, non controllato (cfr. Tonioni, 2013). Suler (2004) ha cercato di rispondere alla domanda, individuando sei fattori che, interagendo tra loro, potrebbero spiegare l’effetto della disinibizione online. Oggi, potrebbero sembrare fattori legati a modalità di stare online ormai del tutto o in parte superate, ma questi sei fattori potrebbero conservare alcuni aspetti, che sono centrali nella comunicazione umana e, pertanto, potrebbero ancora contribuire all’effetto di disinibizione quando siamo online. Vediamoli uno ad uno.

1. Anonimato dissociativo

Le persone quando nascondono la propria identità, costruiscono un sé online, cioè, sarebbero più facilmente portate a separare il sé online da quello in ambiente naturale. Di conseguenza, tutto ciò che si dice o si fa online, non verrebbe percepito come direttamente legato al resto della propria vita. Così, alla persona sembrerà di poter evitare la responsabilità di comportamenti aggressivi online, quasi come se il controllo esercitato normalmente dai propri processi cognitivi ed emotivi, siano stati temporaneamente sospesi dalla psiche online.

Aldilà del fatto che l’anonimato oggi possa essere reale o solo percepito, alcune ricerche mostrano che non sembra esserci una reale differenza tra odiatori che usano nikname e quelli che usano nomi propri, anzi in alcuni casi si è verificato il contrario. In parole povere, l’anonimato in senso stretto non sembra avere un maggiore effetto di disinibizione (vd Wallace, 2017). Per questo, vietare nikname non sembra essere utile per contrastare il fenomeno dell’odio online, anzi, a livello legale ha aperto un dibattito circa la libertà d’espressione e la privacy. Esiste, inoltre, un anonimato collettivo, cioè quello dato dal fatto che il proprio messaggio è in rete insieme a una quantità davvero enorme di messaggi e questo potrebbe corrispondere un po’ al confondersi tra la folla.

2. Invisibilità

In passato gli utenti condividevano informazioni anche molto personali senza vedersi mai, neanche per fotografia, sembrerebbe un fattore non più in voga, tanto più ora che, con l’emergenza Covid-19, si è utilizzata molto di più la webcam per comunicare e lavorare. Così molti di noi hanno potuto sperimentare quanto partecipare ad un webinar con la propria webcam spenta, essere non visibili, ci faccia sentire disinibiti, liberi di apparire come vogliamo, senza sentire la necessità di curare la nostra immagine. Comunque anche quando si comunica in videoconferenza, parte dell’effetto di disinibizione sembra mantenersi, perché il mezzo tecnologico fa perdere una parte della comunicazione non verbale, in special modo il contatto visivo, elemento essenziale per creare un contatto empatico con l’altro. Non a caso, lo sguardo gioca un ruolo cruciale nell’interazione sociale fin dalla nascita.

3. Asincronia

Asincronia, cioè comunicare per messaggi o post in asincrono, quando l’altro utente non è in linea. Inviare un messaggio senza avere subito una risposta dall’interlocutore, incoraggia le persone a “scaricarsi” più facilmente di un’emozione negativa molto forte. L’assenza di risposta immediata creerebbe l’impressione di poter evitare le conseguenze. Oggi, certo, l’asincronia sembra un fattore molto marginale rispetto al passato, quando si comunicava per lo più via mail.

Alcuni hanno studiato sul campo l’idea che internet possa fungere da valvola di sfogo, permettendo una sorta di catarsi dalle emozioni negative, una liberazione senza grandi effetti negativi. In realtà, è stato rilevato in molte situazioni un aumento della tendenza all’aggressività e non una diminuzione, sia per chi si sfoga sul web, che per chi legge l’invettiva, anche se non ne è destinatario (Wallace, 2017). Lo sfogo online appare, allora, una specie di acting out, in cui l’espressione delle proprie emozioni avviene attraverso un’azione impulsiva, piuttosto che con un’azione riflessiva, ragionata. Non credo ci sia bisogno di sottolineare che la parola è un atto linguistico che, come tale, ha delle conseguenze concrete sulla vita delle persone. Come recita il primo principio del manifesto delle Parole O_Stili “Virtuale è reale”.

La Teoria degli atti linguistici (Austin 1959; Searle 1969) afferma che con un enunciato – cioè l’espressione adeguata e razionale di un pensiero- si possa descrivere il contenuto o sostenerne la veridicità, ma che la maggior parte degli enunciati servano a compiere delle vere e proprie azioni in ambito comunicativo per esercitare un particolare effetto sul mondo circostante.

4. Introiezione solipsistica

E’ il quarto fattore, ovvero leggere il messaggio di un’altra persona, potrebbe farcelo introiettare nella nostra mente, creando una sorta di “personaggio”. Infatti, il significato di un messaggio viene attribuito non solo in funzione del contenuto del testo, ma anche in base alle proprie rappresentazioni interne, influenzate da credenze, aspettative, desideri e bisogni del ricevente. Sulla base di questo effetto tendiamo a sentirci più in sintonia con l’altro, quindi ci fidiamo più velocemente e siamo più disponibili a confidarci. Questo fattore gioca un ruolo importante nelle relazioni che nascono online, sui social e sulle piattaforme d’incontro.

Per quel che riguarda l’odio online aggiungerei, che ciascuno di noi è convinto della chiarezza della propria comunicazione scritta, invece, è stato dimostrato che, anche il più preciso e puntuale dei messaggi scritti, risulta ambiguo e facile da fraintendere, perché i contenuti sono necessariamente parziali, fanno riferimento a conoscenze implicite e personali, oltre che ad un’unica prospettiva: la propria. Nella comunicazione scritta, inoltre, mancano gli indici non verbali che aiutano a definire il significato semantico. Rifletterei, infine, sul contributo dei meccanismi che regolano la cognizione sociale sia nelle mistificazioni dei messaggi che nei giudizi sugli altri (ad esempio, gli schemi di Fiske, 1993, bias ed euristiche di Kahneman & Twersky, 1982; la teoria implicita della personalità di Ross, 1989; in Aronson e coll. 1997).

5. Immaginazione dissociativa

Pensiamo ai giochi di ruolo online, in cui la realtà virtuale, permettendo di creare un alter ego online, tende a far immergere così tanto il giocatore, che il soggetto è portato a sentirsi assorbito completamente, staccandosi sempre più dal proprio contesto di vita offline, tanto da poter confondere i due contesti e sentirsi svincolato da norme e obblighi in vigore nella realtà. Questo meccanismo dissociativo elicitato dalla modalità online, sembra avere un ruolo nello sviluppo di dipendenze da internet, in cui le compulsioni rappresentano forme di comportamento legate alla dissociazione, a sua volta legata alla tempesta sensoriale, capace di catturare l’attenzione dell’individuo, tanto da arrivare ad escludere le sensazioni sia dell’ambiente esterno reale, che di quelle interne (fame, sete…) (Tonioni, 2013).

6. Minimizzazione dell’autorità

E’ l’effetto per cui i ruoli in internet sbiadiscono e questo ci porta a non riconoscere autorità a chi la detiene legittimamente, sia per il fatto che vengono a essere percepiti meno gli indizi che qualificano una persona come autorevole, come avviene in un contesto fisico, sia perché internet si caratterizza come contesto “democratico” in cui è dato potere di parola a tutti.

Dunque, le caratteristiche del mezzo tecnologico ci offrono sensazioni, percezioni, semplificazioni e facilitazioni che rendendo, di fatto, la comunicazione molto rapida e immersiva. Ciò favorisce una certa propensione alla risposta di getto. A sostenere l’effetto disinibente dell’invisibilità potrebbe giocare un ruolo la percezione di essere dietro uno schermo, schermati, nascosti, protetti? In fondo la percezione è per tutti un dato oggettivo, proprio perché legato ai propri sensi, per cui il contenuto di una percezione ha carattere di certezza. Di certo l’effetto di disinibizione continua ancora oggi ad agire online. Così siamo maggiormente suscettibili a comportarci in modo poco riflessivo, senza pensare alle possibili conseguenze negative delle nostre azioni. Ovviamente, il grado dell’effetto di disinibizione online e la qualità dei comportamenti conseguenti, sono collegati a caratteristiche personali e situazionali. Sappiamo, ad esempio, che le persone che si mostrano empatiche e prosociali, posseggono un’alta capacità di autocontrollo, in particolare l’Effortful Control (capacità di regolare il comportamento sostituendo un comportamento dominante, qualora il contesto lo richieda, con uno non dominante), mentre quelle che mostrano scarsa empatia sono più suscettibili a condotte devianti.

Sviluppare empatia e una buona Teoria della mente è fondamentale per “sentire” le emozioni dell’altro e per comprendere il suo punto di vista, le sue ragioni. Secondo Davis (1994) l’empatia è il prodotto di quattro fattori che entrano in gioco quando assistiamo all’esperienza emotiva di qualcuno. Due di questi riguardano abilità cognitive: perspective taking, cioè adottare il punto di vista dell’altro e la fantasia, che permette di immaginarsi in situazioni fittizie. Due sono di tipo emotivo-affettivo, considerazione empatica, cioè orientarsi verso il vissuto emotivo dell’altro e disagio emotivo, orientarsi verso i propri stati d’ansia e di preoccupazione in situazioni relazionali. Possedere una Teoria della Mente significa essere in grado di attribuire stati mentali (cioè credenze, intenzioni, desideri, emozioni, conoscenze) a sé stessi e agli altri, di predire i propri e altrui comportamenti sulla base di tali stati, e quindi anche la capacità di comprendere che gli altri hanno stati mentali diversi dai nostri (Molinari, 2007). Tutti siamo suscettibili all’effetto di disinibizione in rete, ma chi ha sviluppato una buona capacità empatica, un pensiero critico e una buona teoria della mente, metterà in atto condotte più funzionali che disfunzionali in rete.

Dalle prime indagini sull’odio online emerge che quando leggiamo interventi ostili e aggressivi, tendiamo a non rispondere, magari pensando che sia meglio non dare attenzione per non rinforzare le condotte violente. Non è così, anzi, semmai è vero il contrario. Àlvarez e Winter (2018) hanno presentato un esperimento online che, seppur con dichiarati limiti circa la validità esterna e la generalizzabilità, in cui hanno provato a verificare tre condizioni, utilizzando un blog costruito apposta per indagare se le espressioni d’odio siano influenzate più da norme descrittive (cosa fanno normalmente gli altri) o da norme ingiuntive (cosa accade alle persone che violano la norma). Hanno così osservato gli effetti sulla diminuzione di espressioni d’odio in tre condizioni: censura estrema (venivano lasciati solo commenti positivi), censura moderata (commenti positivi e neutrali) commenti contrari (1amichevole, 1 neutrale, 2 sanzioni) e hanno trovato che è la censura moderata ad essere più efficace rispetto alla censura estrema, nel ridurre i commenti ostili, seguita da commenti contrari. Concludono dicendo che i risultati non sono da intendersi a favore del fatto che, censurare il contenuto di odio, sia necessariamente socialmente vantaggioso, perché la censura mette a rischio la libertà di parola. Ziccardi (2016) aveva già messo in evidenza che, legiferare per contenere il fenomeno dell’odio online, è un’operazione molto complessa, sia perché è una questione mondiale (non basterebbe legiferare nel proprio Paese), sia perché c’è il rischio di scadere nella censura o, viceversa, che la legge sia percepita dall’opinione pubblica come censura, vedendo l’odiatore censurato come una vittima. Teniamo conto che: “Obbedire all’autorità è una cosa, interessarsi agli altri e imparare a trattarli con rispetto ed equità, un’altra, e ciò può scaturire solo dalle interazioni con i propri pari”. In pratica obbedire all’autorità non è un comportamento morale, solo una forma di cautela, affinché i bambini sviluppino attitudini genuinamente morali occorre l’interazione con i pari (Tomasello, 2016 p 211).

Allora, cosa fare per contrastare l’odio online? Ziccardi suggerisce di intervenire con commenti contrari, esprimendo punti di vista alternativi, anche se si corre il rischio dell’odio sociale, cioè che alla persona che attacca si uniscano altri odiatori. Occorre tener presente che se gli odiatori si esprimono e i pacifisti restano in silenzio, si offre a tutti gli internauti astanti una falsa percezione delle proporzioni odiatori/pacifisti, mentre i messaggi di intolleranza e odio, in realtà, sono solo più visibili. Riassumendo, le persone con minori capacità empatiche e di teoria della mente, hanno meno effortfull control, quindi appaiono più esposte a scaricarsi online per effetto della disinibizione online, creando un circolo vizioso che alla lunga porta ad un’assuefazione ai discorsi d’odio nella popolazione generale e anche ad un apprendimento. In ultima analisi, il punto centrale è che, per quanto la tecnologia possa arrivare a simulare un contatto fisico, questa assenza ha effetti importanti nelle interazioni sociali. Da quanto fin qui detto, potremmo provare a contrastare l’odio online, utilizzando il controllo sociale tra internauti, tra cittadini del web, cercando di esprimere opinioni e sensibilità alternative iniziando dalle forme di ostilità più subdole e nascoste, cioè quelle espressioni aggressive che potrebbero sembrare innocue, uno scherzo. Si tratta, invece, di espressioni in cui il sarcasmo, la beffa, è usata per svalutare e offendere l’altro. Ricordiamoci, che al primo gradino della scala d’odio di Allport (1954), c’è proprio la burla con l’uso di stereotipi e aggettivi negativi, cioè prendere in giro per dileggiare e offendere. La scala dell’odio di Allport a partire dall’osservazione di fenomeni sociali ha individuato 5 livelli, dal più lieve al più grave, sottolineando la possibilità di salire anche molto facilmente da un livello al successivo: (1) burla con uso di stereotipi e aggettivi negativi – presa in giro per dileggiare, offendere; (2) isolamento del bersaglio – disprezzo, stigma sociale e pregiudizio con evitamento dell’altro; (3) discriminazione – dal pregiudizio si passa a divieti discriminatori e a subordinare l’altro; (4) violenza fisica; (5) uccisione, sterminio. Concludo citando Giovanna Axia (professore ordinario di psicologia dello sviluppo) che ha dedicato un libro alla cortesia, mettendola in antitesi all’arroganza e alla violenza di chi vuol imporsi per auto affermarsi, ritenendola un potente strumento di composizione dei conflitti.

Le operazioni mentali attuate dal cortese risolutore di problemi sociali sono la comprensione sociale, cui si uniscono le abilità linguistiche e la motivazione pro sociale[…]. La persona veramente cortese non usa la propria intelligenza in modo banale. Non si accontenta di esprimere deferenza e rispetto per l’altra persona, ma va un po’ più in là. Spinge la sua intelligenza ad esplorare cosa possono volere gli altri e, soprattutto cosa pensa l’altra persona a proposito dei reciproci pensieri e sentimenti […] Per gli esseri umani la cortesia e la gentilezza sono facili, facili come sorridere (Axia, 1997; p115 e 129).

Oggi, più che mai, la distanza di sicurezza migliore per la specie umana, credo sia proprio una distanza di cortesia.

 

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