La stragrande maggioranza dei lavori empirici, che spesso si collocano nel paradigma della psicologia positiva, ha riportato i benefici della gratitudine.
Negli ultimi anni, la gratitudine è emersa come una componente importante del benessere psicofisico (Yoshimura & Berzins, 2017) e, nella storia delle idee, è stata affrontata da molteplici punti di vista, tra cui psicologia, filosofia, teologia, sociologia, antropologia e studi umanitari. Attingendo a queste tradizioni intellettuali, la rassegna meta-narrativa di Day e colleghi (2020) identifica i quadri teorici che hanno plasmato la ricerca sull’espressione e la ricezione della gratitudine nel contesto delle relazioni di cura.
La gratitudine come capitale sociale
Si ritiene che il termine “capitale sociale” sia stato utilizzato per la prima volta da Hanifan (1916), che lo definì come i beni che “contano di più nella vita quotidiana di un popolo, vale a dire la buona volontà, l’affiatamento, la simpatia reciproca tra un gruppo di individui e famiglie che costituiscono un’unità sociale”. Da allora, i sociologi hanno fatto largo uso della metafora del “capitale” per riferirsi a qualità intangibili, come la gratitudine, che possono essere pensate come maturate o spese in particolari circostanze. L’accumulo di capitale sociale attraverso la gratitudine conferisce potere e motivazione ai destinatari, rafforzando i legami e prevedendo la disponibilità a ricambiare. Kindt e collaboratori (2017), ad esempio, utilizzano un quadro di riferimento della teoria dell’autodeterminazione per contestualizzare i loro risultati, secondo cui i partner dei pazienti affetti da dolore cronico sono più motivati a fornire aiuto dopo che i loro partner sono stati percepiti come riconoscenti. La filosofa Claudia Card (1988) paragona la metafora dell’equilibrio alla “contabilità morale” nelle formulazioni della gratitudine comuni nell’etica morale. L’autrice esplora l’obbligo come mezzo per comprendere la gratitudine come parte delle dinamiche delle relazioni interpersonali e osserva che il paradigma del debitore dell’obbligo è un paradosso: non si può ripagare un debito di gratitudine senza trasformarlo in una transazione in cui la gratitudine non trova istintivamente posto. Criticando l’economia morale, l’autrice sostiene che i debiti impagabili in questo paradigma, dove la reciprocità non è pratica o desiderabile –come spesso accade nell’assistenza sanitaria– rendono il senso dell’obbligo problematicamente irrisolvibile. Questa posizione è suffragata dalla ricerca sul capitale sociale: mentre le metafore economiche sono prevalenti nel discorso della gratitudine, il modo in cui essa si manifesta nella pratica dell’assistenza sanitaria è molto più sottile dal punto di vista psicologico e filosofico di quanto suggerisca la metafora del “capitale”.
I doni
La teoria alla base del comportamento umano in relazione ai doni è illustrata nell’influente saggio del 1925 di Marcel Mauss. Egli sosteneva che i doni non sono mai disinteressati: l’aspettativa del ritorno è ciò che consolida i legami sociali nelle relazioni di dono (Mauss, 2000). I regali non sono inevitabilmente associati alla gratitudine e la gratitudine non richiede un dono, ma in ambito sanitario si fanno molti regali e questo solleva questioni etiche. Spence (2005) e Ootes e colleghi (2013) si rifanno a schemi psicoanalitici per esplorare la mentalità dei pazienti che fanno regali. Spence (2005) esplora i rischi dell’accettazione di doni da parte dei medici, invitando a una particolare cautela per i doni che si presentano “all’improvviso” prima che il medico abbia fatto qualcosa per “meritarli”. Anche Ootes e colleghi (2013) esortano i medici a riflettere attentamente prima di accettare regali. Nel loro studio identificano i tipi di regali per i professionisti e li discutono nel contesto dell’inclusione sociale dei clienti e dei codici professionali. Sostengono che si dovrebbe prestare attenzione ai regali come potenzialmente altruistici, invece di interpretare invariabilmente i doni in termini di reciprocità.
Alcune pratiche di donazione sono descritte come “gratitudine”, ma in realtà sono norme culturali obbligatorie. Ci sono diversi articoli che analizzano le usanze dell’Europa orientale di dare “pagamenti di gratitudine” (Julesz, 2018). I pagamenti di gratitudine erano solitamente legali nel XIX secolo, quando i dottori venivano pagati più di quanto promesso per un lavoro ben fatto o ricevevano regali come prodotti, vino o arte. Durante l’era comunista, era la norma sociale che i pazienti pagassero i medici per servizi medici apparentemente gratuiti. La scarsa retribuzione degli operatori sanitari ha contribuito alla persistenza dei pagamenti informali.
Benefici della gratitudine
La stragrande maggioranza dei lavori empirici ha riportato i benefici dell’essere grati e si collocano più spesso nel paradigma della psicologia positiva, un campo di studi introdotto da Seligman e Csikszentmihalyi (2000). I sostenitori della psicologia positiva cercano consapevolmente di contrastare il modello mediatico dominante del funzionamento umano che si concentra sul disagio e sulla patologia, trascurando i fattori che contribuiscono al benessere, alla felicità e alla soddisfazione della vita. Althaus e collaboratori (2018) concludono che la gratitudine può avere un impatto positivo sulla qualità della vita e ridurre il disagio psicologico nei pazienti che ricevono cure palliative in Svizzera. Nello studio di Kreitzer e colleghi (2019) è emerso che la pratica della gratitudine in una comunità terapeutica online ha portato a miglioramenti nei livelli di stress, gratitudine e supporto sociale. I benefici della gratitudine sono stati identificati non solo per i pazienti, ma anche per i caregiver familiari e professionali. Lau e Cheng (2017) hanno condotto un’indagine su caregiver familiari di persone affette da demenza e hanno scoperto che la gratitudine era correlata al coping focalizzato sulle emozioni e alle risorse psicologiche che riducevano il disagio. La metafora solitamente associata alla meta-narrazione dei “benefici” è quella della “costruzione”. La psicologia positiva è stata descritta da Duckworth e colleghi (2005) come un approccio che “costruisce ciò che è forte” piuttosto che “aggiusta ciò che non va”, e questo immaginario è al centro di uno dei modelli più influenti di gratitudine, attribuito a Barbara Fredrickson: “ampliare e costruire”. Il modello sostiene che “le emozioni positive sembrano ampliare i repertori di pensiero-azione momentanei delle persone e costruire le loro risorse personali durature” (Fredrickson, 2004). Questo è in contrasto con le emozioni negative che invocano un repertorio di pensieri-azioni ristretto per un’azione rapida e decisa in situazioni che possono rivelarsi pericolose. Sebbene le situazioni che generano emozioni positive possano essere transitorie, Fredrickson (2004) sostiene che le risorse personali che si costruiscono sono durature e possono essere utilizzate per fronteggiare e sopravvivere.
Questa rassegna meta-narrativa mostra che la ricerca sulla gratitudine ha un potenziale significativo per indagare le questioni concettuali relative alla natura intrinseca del riconoscimento e dell’apprezzamento nelle relazioni di cura. Sulla base di tale rassegna, la gratitudine dovrebbe essere riconosciuta come parte integrante delle relazioni sociali che influenzano in modo significativo ciò che le persone pensano, sentono, dicono e fanno in relazione all’assistenza sanitaria.