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L’eredità emotiva (2022) di Galit Atlas – Recensione del libro

"L’eredità emotiva" ripercorre gli effetti dei traumi ereditati dalle generazioni passate, partendo dai nonni per poi focalizzarsi sui genitori e sui figli

Di Annamaria Nuzzo

Pubblicato il 02 Set. 2022

Aggiornato il 06 Set. 2022 11:52

Nato a partire dal dialogo intimo e profondo tra la psicoanalista Galit Atlas e i suoi pazienti, L’eredità emotiva: una terapeuta, i suoi pazienti e il retaggio del trauma” intreccia storie di traumi inimmaginabili e verità nascoste alla personale vicenda di perdita e trauma dell’autrice, il tutto sostenuto da una robusta prospettiva psicoanalitica e arricchito dalla ricerca psicologica più aggiornata.

 

All’origine della nostra incompiutezza ci sono storie mai raccontate, suoni spesso messi a tacere (Atlas, 2022, p.22).

Il presupposto essenziale è lo svelamento dell’eredità emotiva presente in ognuno di noi, con la volontà di spezzare il silenzio, esplorare le diverse sfaccettature del trauma ereditato, il suo impatto, e le modalità di andare oltre. Infatti, secondo Atlas, tutte le famiglie sono segnate da qualche storia traumatica – segreti taciuti, eventi di vita non completamente svelati ma conosciuti, in modo criptico, da altri, esperienze ridotte al silenzio – che i nostri antenati trasmettono come eredità emotiva, lasciando una traccia nella mente delle generazioni successive.

Il tentativo di mettere fine al ciclo intergenerazionale della sofferenza è ben espresso nella citazione, tratta dal libro del profeta Geremia, con cui Atlas apre il libro, nel desiderio che in futuro “non si dica più: ‘I padri hanno mangiato uva acerba e i denti dei figli si sono allegati’” (Ger 31,29), un’implorazione affinché i figli non debbano più sopportare le conseguenze delle vite dei loro genitori e l’auspicio che la nostra eredità emotiva possa essere elaborata e modificata (Atlas, 2022).

Ecco alcuni degli interrogativi a cui si tenta di dare risposta, nel percorso di liberazione di parti di noi tenute in ostaggio da traumi del passato:

Come ereditiamo, tratteniamo ed elaboriamo vicende che non ricordiamo o che non abbiamo vissuto in prima persona? Che peso ha ciò che è presente ma non completamente conosciuto? Possiamo davvero tenere segrete alcune vicende familiari, e che cosa trasmettiamo alla generazione successiva? (G. Atlas, 2022, p. 19).

L’autrice sottolinea come, a partire dagli anni Settanta, le neuroscienze abbiano confermato quanto scoperto dalla psicoanalisi, ovvero che il trauma dei sopravvissuti e persino i segreti più oscuri, mai svelati a nessuno, influenzano davvero le vite delle generazioni successive.

Infatti, un vasto corpus di ricerche evidenzia la maggiore probabilità di presentare sintomi di disturbo da stress post-traumatico (PTSD) successivamente a eventi traumatici o dopo essere stati testimoni di un evento violento, in una fascia di popolazione con una eredità emotiva fortemente traumatica: i figli dei sopravvissuti all’Olocausto, i figli di persone ridotte in schiavitù e i figli dei veterani di guerra o di genitori che hanno sperimentato altri traumi rilevanti.

Inoltre, se per anni l’eredità genetica è stata concepita come un destino irrevocabile, attualmente il campo dell’epigenetica propone una cornice innovativa per comprendere come natura e cultura si compenetrino e come gli esseri umani reagiscano all’ambiente a livello molecolare, sottolineando come i geni abbiano una “memoria” che può essere trasmessa da una generazione all’altra (Atlas, 2022). La duplice implicazione di queste nuove ricerche riguarda la trasmissibilità intergenerazionale del trauma e la possibilità di cambiare e modificare gli effetti del trauma con il lavoro psicoterapeutico. A tal proposito, Stephen Stahl (2012), professore di psichiatria alla University of California (San Diego) sostiene che la psicoterapia possa essere concettualizzata come un “farmaco epigenetico”, perché modifica i circuiti cerebrali in maniera simile o complementare alle sostanze farmaceutiche.

“L’eredità emotiva: una terapeuta, i suoi pazienti e il retaggio del trauma” si suddivide in tre sezioni, che ripercorrono gli effetti dei traumi ereditati dalle generazioni passate, partendo dai nonni per poi focalizzarsi sui genitori e, infine, sull’ultima generazione, quella dei figli.

La prima parte è incentrata sulla terza generazione di sopravvissuti, soffermandosi sul trauma di un nonno, sopravvissuto all’Olocausto, così come si presenta nella mente della nipote, sui fantasmi dell’abuso sessuale e gli effetti del suicido, come mito familiare irrisolto, nelle generazioni successive, sui residui di omofobia nella mente inconscia, sui segreti di un amore proibito, sull’infedeltà e la sua relazione con il trauma intergenerazionale. Di particolare rilievo il capitolo quarto, che introduce l’interessante metafora della radioattività del trauma, elaborata dalla professoressa Yolanda Gampel (2018) della Tel Aviv University per indicare i sintomi fisici ed emotivi, reminiscenze del trauma, che si diffondono nella vita delle generazioni successive, esito di una sorta di radiazione fisica ed emotiva di una catastrofe passata.

La seconda parte è incentrata sui segreti inconfessati della seconda generazione, quella dei genitori, quindi, esplora le verità indicibili risalenti all’infanzia e ai tempi antecedenti alla propria nascita. I segreti dell’infanzia vengono descritti come eventi informi e indefiniti alla base della nostra storia personale. Essi rappresentano gli scheletri della nostra esistenza, perché, pur rimanendo nascosti dentro di noi, sono proprio loro a plasmarci.

Atlas (2022) sottolinea come ciò che ereditiamo dai nostri antenati sono esperienze fantasmatiche, non completamente “vive” ma nemmeno del tutto “morte”; l’eredità emotiva prende la forma di fantasmi che vivono dentro di noi, nell’inconscio personale, spettri del non-detto e dell’indicibile, che ci perseguitano, impedendoci di vivere al massimo delle nostre possibilità.

Più in particolare, nella seconda sezione Atlas ripercorre le storie di perdita di un fratello e di una sorella, siano esse note o sconosciute, soffermandosi sull’impatto per i fratelli sopravvissuti, come l’esperienza di “congelamento emotivo” ossia di distacco emozionale dagli altri e da se stessi per sopravvivere alla perdita; propone una descrizione del lutto quale esperienza solitaria e privata, sviscera le sfaccettature della sofferenza per la perdita delle persone a noi care, della vita che avevamo con loro, del nostro vecchio Sé, rimarcando l’importanza di una mente Altra che ci aiuti a conoscere profondamente la nostra, per sentire e digerire la perdita e ciò che ne consegue a livello emotivo (la vergogna, la rabbia, l’identificazione con i morti, la colpa, persino l’invidia).

Si introduce il concetto di “bambini indesiderati”, frutto di gravidanze non desiderate, “persone che non sono state propriamente inviate in questo mondo” (Atlas, 2022), “ospiti indesiderati della famiglia” (Ferenczi, 1929), riportando la loro lotta incessante per rimanere in vita e non precipitare nel collasso emotivo (quello che Winnicott [1960] ha definito “falling forever”).

Infine, viene proposta un’analisi del trauma del soldato, soffermandosi sul desiderio inconscio di un paziente di guarire il trauma intergenerazionale dell’immigrazione arruolandosi nell’esercito, e si esplora il tema della paternità nell’interconnessione tra vulnerabilità e mascolinità, così come emergono nella relazione terapeutica.

Appare chiaro che venire a conoscenza di segreti sepolti e verità inconfessabili, per quanto delicato e doloroso sia, permette ai pazienti di smettere di vivere e incarnare quelle vicende nel proprio corpo, attraverso sintomi quali insonnia, mal di testa, pensieri ossessivi, incubi e fobie: “quando la nostra mente ricorda, il nostro corpo è libero di dimenticare” (Atlas, 2022, p. 126)

La terza parte del libro esplora i segreti tenuti nascosti a se stessi, le realtà troppo minacciose per essere conosciute o difficili da elaborare completamente, e la conseguente ricerca della verità, nei termini di un continuo processo di analisi delle nostre vite, di esplorazione del vero amore e della vera amicizia, di un lento processo di guarigione.

Guarire è un percorso denso di ambivalenza, colpa e vergogna. È un processo doloroso che riporta in vita i fantasmi del passato e sfida le nostre identificazioni interne nel percorso verso la liberazione (Atlas, 2022, p.227).

Nel corso degli ultimi capitoli, vengono tratteggiate storie di maternità, di lealtà e bugie, di abuso fisico, di amicizia e di perdita dolorosa, in una ricerca permanente di sé e della propria eredità emotiva, con la prospettiva ultima di rompere il ciclo del trauma intergenerazionale e crescere le generazioni successive con onestà, integrità e autenticità.

In definitiva, giungiamo alla conclusione che è la vita non analizzata degli altri che noi finiamo per vivere (Atlas, 2022, p. 262).

In una cornice psicoanalitica, viene esplorato l’uso che i pazienti fanno dei diversi meccanismi di difesa, come l’idealizzazione, l’identificazione con l’aggressore, la scissione, la proiezione: tendiamo a idealizzare quelli verso cui non vogliamo provare ambivalenza, spesso ci identifichiamo con il genitore abusante, scindiamo il mondo in buoni e cattivi per strutturarlo in modo sicuro e prevedibile, proiettiamo nell’altro sentimenti insostenibili per il sé e deneghiamo pensieri che, se resi consapevoli, ci provocherebbero un’ansia eccessiva (Atlas, 2022).

La rimozione e l’isolamento dell’affetto rappresentano i meccanismi di difesa emotiva centrale, in quanto proteggono l’individuo scindendo un ricordo dal suo significato emotivo, in modo tale che il trauma venga conservato nella mente come un evento “non particolarmente rilevante e importante”; di conseguenza, siamo protetti e anestetizzati dal provare qualcosa di troppo devastante ma al tempo stesso il ricordo traumatico resta isolato e inelaborato. Nei casi più drammatici, entra in campo il meccanismo della dissociazione, come reazione specifica al trauma, che rappresenta un violento attacco alla possibilità di comprendere il senso dell’esperienza, un attacco quindi all’essenza stessa della mente.

Nel corso delle tre sezioni, la psicoanalista Atlas ci accompagna in un viaggio impegnativo attraverso cui rivisitare i traumi familiari, svelare i segreti dell’infanzia, elaborare le perdite e l’impatto profondo che queste hanno avuto nella propria vita.

Sebbene i percorsi di guarigione differiscano fortemente l’uno dall’altro, come si evince dalle vignette cliniche presentate, tutti presentano un iniziale comune denominatore: la decisione, sofferta ma ferma, di cercare, di aprire la porta e camminare verso il dolore del passato, anziché voltargli le spalle.

Scegliamo di affrontare la nostra eredità emotiva e di essere agenti attivi nel trasformare il nostro fato in destino. (Atlas, 2022, p. 262)

Rivivere il dolore dei nostri antenati e disseppellire antichi segreti familiari costituisce, infatti, l’unico modo per sciogliere quel legame invisibile ma immobilizzante con il passato, al fine di poter, finalmente, immaginare un futuro possibile, ritrovare una traiettoria dal caos all’ordine, passare da uno stato di impotenza ad uno di agency, dalla distruttività del trauma alla ri-creazione della propria vita, alla realizzazione dei propri sogni.

 

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RIFERIMENTI BIBLIOGRAFICI
  • Atlas, G. (2022), L’eredità emotiva: Una terapeuta, i suoi pazienti e il retaggio del trauma (Italian Edition). Raffaello Cortina Editore.
  • Ferenczi, S. (2002),“Il bambino mal accolto e la sua pulsione di morte”, tr. it. In Opere, vol. iv, Raffaello Cortina Editore.
  • Gampel, Y. (2018). Historical and Intergenerational Trauma. Approaches to Psychic Trauma: Theory and Practice, 53.
  • Stahl, S. M. (2012). Psychotherapy as an epigenetic ‘drug’: psychiatric therapeutics target symptoms linked to malfunctioning brain circuits with psychotherapy as well as with drugs. Journal of clinical pharmacy and therapeutics, 37(3), 249-253.
  • Winnicott, D.W. (1960). The Theory of the Parent-Infant Relationship. Int. J. Psycho-Anal., 41:585-595.
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