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Il distress psicologico dei pazienti oncologici: qual è il ruolo della terapie di terza ondata ACT e MCT?

La psiconcologia si sta orientando sul trattare eventuali disturbi psicologici legati alla patologia oncologica con interventi di terza onda come ACT e MCT

Di Merve Ulku Kulaksiz, Fiorenza Fella

Pubblicato il 29 Set. 2021

Tra le terapie utilizzate per il trattamento dei sintomi psicologici del paziente oncologico, la più efficace e raccomandata sembrerebbe la CBT, ma la psiconcologia si sta aprendo all’utilizzo di ACT e MCT.

Fiorenza Fella, Merve Ulku Kulaksiz – OPEN SCHOOL Studi Cognitivi San Benedetto del Tronto

 

La patologia oncologica è vissuta come un evento stressante, indipendentemente dalla tipologia di neoplasia. Secondo le linee guida AIOM il 75% dei pazienti manifesta una qualche forma di distress psicologico. Quest’ultimo, associato alla malattia oncologica, ha un impatto psicologicamente negativo che interferisce con la capacità della persona di affrontare la malattia, i sintomi fisici associati ed il percorso di cura (Hall et al. 2018). I sintomi del distress si sviluppano lungo un continuum che va da sentimenti di vulnerabilità, paura, tristezza a sintomi che possono diventare invalidanti, quali ansia, depressione, panico, isolamento sociale e crisi spirituale ed esistenziale (M.Shams et al.2019). Tale sintomatologia riduce la qualità di vita, l’aderenza al trattamento, intensifica i sintomi fisici ed incrementa i costi di assistenza sanitaria. Gli studi in letteratura riportano che circa il 25% dei pazienti oncologici mostra una comorbilità con una sintomatologia psicologica che può condurre a livelli di ansia e depressione significativi (Hoffman et al.2009). Inoltre, a partire dal 6% al 45% della popolazione oncologica possono essere presenti anche i sintomi da Disturbo da Stress Post Traumatico (PTSD); infine il 60% tra i sopravvissuti potrebbe esperire un vissuto di paura di recidiva (Swartzman et al.2017). La comorbilità psicologica incide sulle cure oncologiche in corso in quanto riduce anche la partecipazione agli incontri di follow up previsti dal percorso di cura. A causa delle complicanze accennate sono quindi richiesti interventi specifici di psiconcologia.

Le linee guida nazionali ed internazionali raccomandano l’assistenza psicologica nei pazienti che presentano una sintomatologia psicologica (Falleret al. 2013). Tra le terapie utilizzate per il trattamento dei sintomi psicologici del paziente oncologico, la più efficace e raccomandata sembrerebbe la Terapia Cognitivo Comportamentale (CBT).

Il trattamento CBT si focalizza principalmente sul ruolo dei pensieri, delle emozioni e del comportamento disfunzionali utilizzando metodi per rilevare e modificare tali pattern maladattivi. Dalla revisione della letteratura effettuata, sebbene alcune delle tecniche tipiche della CBT, quali l’intervento sulle distorsioni cognitive e l’analisi dei pensieri automatici negativi, risultino essere valide, sono presenti anche alcuni limiti dal punto di vista clinico. I limiti evidenziati potrebbero essere superati dalle terapie cognitiviste di Terza Ondata. Questi interventi non si focalizzano sul contenuto della cognizione ma si direzionano sull’analisi dei processi psicologici coinvolti. Il focus nelle terapie di Terza Ondata si sposta dall’analisi dei contenuti dei pensieri disfunzionali alla relazione tra la persona e il proprio pensiero. Tali metodi di intervento enfatizzano il ruolo della metacognizione ed approcci esperienziali quali, per citarne alcuni: la mindfulness, l’accettazione, il lavoro sui valori e gli scopi di vita.

Recentemente, anche l’interesse dei ricercatori nell’ambito della psiconcologia internazionale si sta orientando sulla possibilità di trattare gli eventuali disturbi psicologici che emergono nella patologia oncologica attraverso alcuni degli interventi di terza ondata. Tra questi saranno analizzati di seguito gli studi che stanno valutando l’efficacia dell’Acceptance and Commitment Therapy (ACT) di Steven C. Hayes, e la Metacognitive Therapy (MCT) introdotta da Adrian Wells.

ACT

L’Acceptance and Commitment Therapy si fonda su sei pilastri della flessibilità psicologica: il contatto con il momento presente, la defusione cognitiva, l’accettazione, il sé come contesto, i valori e l’azione impegnata. L’ACT, adopera nel suo modello di intervento sia strategie esperienziali di accettazione e mindfulness sia un atteggiamento di impegno all’azione e alla modificazione del comportamento. Il fine è quello di incrementare la flessibilità psicologica della persona ovvero l’essere in contatto consapevolmente con il momento presente agendo in linea con i propri valori. Diversamente dalla CBT consente, anche nel caso del paziente oncologico, di ampliare il proprio repertorio comportamentale e di gestire il proprio disagio con nuove strategie: tolleranza delle problematiche inerenti la malattia, la capacità di stare sul qui ed ora piuttosto che focalizzarsi sulle paure riguardanti il futuro. Questi aspetti aprono la strada ad un approccio mentale di accettazione sull’inevitabilità del disagio correlato alla neoplasia.

Uno studio recente di John et al. (2020) che ha applicato il trattamento ACT a pazienti oncologiche ha dimostrato l’efficacia preliminare anche nel ridurre i pensieri rimuginativi circa la preoccupazione di poter incorrere in una recidiva. Questo studio ha coinvolto 91 donne con carcinoma mammario, le quali avevano completato le cure mediche previste. Le pazienti hanno effettuato sei sessioni settimanali (della durata di due ore) di terapia e hanno partecipato anche ad esercizi di mindfulness oltre che a svolgere homework tra una seduta e l’altra. Le pazienti dopo questo trattamento hanno mostrato una riduzione dei pensieri intrusivi in correlazione alla riduzione delle strategie di evitamento esperienziale. Inoltre, si è visto che lo sviluppo della flessibilità psicologica ha consentito alle pazienti di ottenere una maggiore capacità di adattamento allo stato di malattia.

Un altro studio di E. Mosheret al. (2019) ha sottoposto l’ACT a pazienti con carcinoma avanzato ai polmoni, i quali riportavano almeno uno tra i sintomi più comuni (affaticamento, disturbi del sonno, affanno, dolori, sintomi depressivi, ansia); inoltre in questa ricerca sono stati reclutati anche i caregiver. Lo studio ha coinvolto i partecipanti per sei settimane attraverso delle sessioni telefoniche della durata di cinquanta minuti. L’intervento si è basato principalmente sullo sviluppo di skills di mindfulness e sull’incoraggiamento ad azioni in linea con i propri valori. Nonostante la gravità dei sintomi fisici (fatica, dolore) mostrati dai pazienti, l’intervento attraverso l’ACT sembrerebbe aver dimostrato efficacia nel miglioramento del benessere psicologico di entrambi i gruppi.

Le evidenze suggeriscono che effettuare interventi psicoterapeutici basati sull’ACT possa condurre ad un miglioramento del funzionamento psicosociale in misura maggiore di trattamenti standard (Low et al. 2016).

MCT

La Metacognitive Therapy (MCT) potrebbe essere un altro approccio terapeutico alternativo per trattare i disturbi psicologici in comorbilità (Fisher et al 2019). Esso ha origine da una teoria sulla psicopatologia trans-diagnostica che viene teorizzata attraverso il modello dell’Autoregolazione delle Funzioni Esecutive (S-REF). Tale modello inquadra i disturbi psicologici come derivanti dall’attivazione di uno stile di pensiero negativo chiamato Sindrome Cognitiva-Attenzionale (CAS). Il CAS si contraddistingue da stile di pensiero perseverante (rimuginio o ruminazione); focalizzazione dell’attenzione sulla minaccia; strategie disfunzionali di coping (Wells, 2009). L’intervento MCT non mette in discussione il contenuto dei pensieri riguardanti la malattia, ma è orientata a far comprendere ai pazienti gli effetti deleteri e controproducenti del CAS, rafforzando così la motivazione a sospendere la preoccupazione e la ruminazione. Allo stesso tempo, le credenze metacognitive sull’incontrollabilità della preoccupazione e della ruminazione sono messe in crisi dal paziente insieme al terapeuta (Wells, 2018).

Tra gli studi che stanno valutando l’efficacia della MCT nel trattare la sofferenza psicologica nell’ambito della popolazione oncologica, troviamo uno studio inglese che ha esaminato le potenzialità della MCT attraverso sei sessioni della durata di un’ora. Sebbene si tratti di un trattamento psicoterapeutico breve i pazienti hanno cominciato a riscontrare delle riduzioni nei livelli di ansia, depressione, PTSD ed infine anche una diminuzione dei pensieri rimuginativi (Fisher et al. 2019).

Un altro studio che supporta l’efficacia della MCT in questo ambito è quello del gruppo di ricerca di Cherry et al.(2019) nel quale i pazienti coinvolti hanno lavorato sui processi specifici che mantengono il distress psicologico. Secondo gli autori, se inizialmente i partecipanti allo studio si sentivano particolarmente “sopraffatti” dalle preoccupazioni legate alla malattia, dopo aver effettuato sei sessioni di terapia hanno esperito un maggiore decentramento dai propri pensieri. Dalle interviste semi strutturate effettuate post-intervento, è emerso che la maggior parte dei pazienti coinvolti aveva appreso i principi cardine del trattamento MCT: i pensieri sono “solo pensieri” e i sentimenti di preoccupazione o tristezza sono dei meccanismi essenziali alla sopravvivenza. Infine, le persone coinvolte hanno anche acquisito una maggiore padronanza nel trattare i propri pensieri come dei fenomeni normali della mente e di conseguenza si è rafforzata la tendenza ad esperire un distacco dalle preoccupazioni negative inerenti l’evolversi futuro della malattia.

Per concludere, sulla base degli studi pubblicati fino ad oggi, si evince che l’ACT e l’MCT possono essere dei trattamenti promettenti nella cura dei sintomi psicologici correlati alla malattia oncologica. L’ACT si rivela essere efficace soprattutto nel ridurre le preoccupazioni circa una futura recidiva e nel promuove la riduzione del coping evitante disadattivo. Esso consente quindi una migliore gestione a lungo termine del disagio emotivo correlato alla patologia oncologica (Johns et al. 2020). Nonostante ciò, è necessario che la ricerca futura chiarisca i meccanismi specifici che sono alla base dell’ACT e che proceda con studi ulteriori che consentano una maggiore generalizzabilità dei risultati. Per quanto riguarda invece l’MCT vi sono prove crescenti sul ruolo delle credenze e dei processi metacognitivi come fattori che alimentano il disagio emotivo dei sopravvissuti al cancro (Fisher et al. 2019). Tuttavia, le evidenze presenti in letteratura sono ancora poco numerose anche per la terapia metacognitiva.

Le attuali ricerche nell’ambito della psiconcologia, visti i risultati promettenti, suggeriscono l’utilità di continuare a testare l’efficacia di queste nuove prospettive per trattare il distress e migliorare quindi il benessere psicologico del paziente.

 

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