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Energy drink e depressione nei giovani adulti

Si cerca di capire se il consumo di caffeina, sostanza centrale degli energy drink, rappresenti un tentativo di automedicazione del paziente con depressione

Di Livia Costa

Pubblicato il 03 Set. 2021

Uno studio ha cercato una correlazione tra la capacità dei giovani di gestire lo stress attraverso le proprie risorse interne, la depressione e il consumo di energy drink.

Livia Costa – OPEN SCHOOL Studi Cognitivi San Benedetto del Tronto

 

Le bevande analcoliche ad alto contenuto di caffeina sono comparse in Europa e in Asia negli anni ’60 e poi con l’introduzione della Red Bull in Austria nel 1987, la bevanda che “mette le ali”.

Successivamente in Nord America nel 1997 la diffusione di queste bevande è cresciuta in modo esponenziale, diventando un mercato multimiliardario.

Quello che colpisce è che negli ultimi anni il consumo di queste bevande è aumentato significativamente tra adolescenti e giovani adulti, e questo è quanto emerso da studi e sondaggi effettuati in diversi paesi.

Un sondaggio rappresentativo in Australia ha dimostrato che le popolazioni delle scuole elementari e superiori consumano quantità significative di bevande contenenti caffeina, compresi gli energy drink. La prevalenza del consumo di bevande energetiche è aumentata negli ultimi 10-15 anni anche in altri paesi, come in Ungheria, Regno Unito e Stati uniti. Secondo un’indagine europea su 16 Stati membri, tra cui Romania e Ungheria, il 30% degli adulti (18-68 anni) e il 68% degli adolescenti (10-18 anni) intervistati erano consumatori di bevande energetiche.

Nel Regno Unito, il tasso di consumo degli energy drink è cresciuto del 155% tra il 2006 e il 2014 e, negli Stati Uniti, le bevande energetiche sono i secondi integratori alimentari più utilizzati dai giovani; da un ampio campione preso in esame è emerso che il 30% degli studenti delle scuole superiori ammette di essere un consumatore abituale, ed esiste una correlazione con il consumo di alcol e l’abuso di droghe.

Cerchiamo quindi di capire quale è il reale effetto del consumo di questi prodotti e se esiste un’associazione tra il consumo di queste bevante e salute mentale.

Le bevande energetiche, disponibili in commercio, sono un gruppo di bevande che solitamente sono gassate, contengono caffeina, taurina, zuccheri, carboidrati, vitamine, amminoacidi ed altri componenti derivati da erbe medicinali.

Gli effetti favorevoli degli energy drink dipendono dalle combinazioni di questi ingredienti che variano in questi prodotti sia in presenza che in concentrazione.

A seguito dell’incremento del consumo di bevande energetiche rilevato negli ultimi 10-15 anni, uno studio effettuato in Ungheria ha valutato la frequenza, le motivazioni e gli effetti negativi del consumo di bevande energetiche ed ha esaminato come lo sviluppo di una dipendenza in tal senso sia collegato alla capacità di fronteggiare lo stress e ai sintomi della depressione.

Questo studio ha cercato quindi una correlazione tra la capacità dei giovani di gestire lo stress attraverso le proprie risorse interne, la depressione e il consumo di bevande energizzanti.

A tale scopo sono stati presi in esame 631 studenti delle scuole superiori e dei college, valutati utilizzando la Depression Scale (BDS-13) e la Sense of Coherence Scale (SOC-13).

Le motivazioni più comuni al consumo di queste bevande sono risultate legate alla fatica, al gusto e al divertimento.

Dall’analisi dei risultati è, inoltre, emerso che negli intervistati la tendenza alla depressione aveva un’influenza significativa sulle probabilità di sviluppare una dipendenza. Capiremo più avanti come questo possa avvenire.

Difatti la depressione, al contrario di quanto si possa immaginare, è un disturbo molto comune nella popolazione universitaria e negli studenti in generale ed ha ha un impatto significativo sulla percezione che si ha di sé, sul rendimento scolastico e sulla capacità di relazionarsi positivamente con i coetanei.

Questo disturbo è correlato ad un basso livello di autostima e ad un alto rischio suicidario e, sebbene la depressione rappresenti un nemico pericolosissimo ed una grave minaccia tra i giovani, spesso questi non sono spinti a cercare cure e non le richiedono, pur provando un grande disagio nella loro vita quotidiana.

I sintomi sperimentati possono riguardare alterazioni del sonno, affaticamento, difficoltà nel concentrarsi e possono variare sensibilmente. Spesso questi sintomi possono essere celati e presentarsi in modalità subdola, conducendo come abbiamo visto anche al suicidio.

Questo è uno dei motivi per i quali è importantissimo saper riconoscere i sintomi depressivi quando sono lievi, in modo da poter mettere a punto un intervento precoce.

Per riuscire a comprendere meglio questo disturbo bisogna avere chiaro che l’autostima gioca un ruolo importantissimo, rappresentando in alcuni casi un grosso fattore di rischio nello sviluppo di un disturbo depressivo.

Ma come si definisce l’autostima? L’autostima può essere definita come un processo soggettivo attraverso il quale l’individio dà valore alla propria persona sulla base della percezione che questi ha di sé e sulla base di  proprie valutazioni. L’autostima influenza a sua volta le interazioni, i sentimenti verso se stessi e gli altri. Capiamo quindi facilmente quanto nella giovane età l’efficacia interpersonale e il successo sociale giochino quindi un ruolo importantissimo nello sviluppo di una buona autostima.

Prendendo in esame alcuni dati della letteratura scientifica al momento disponibili, derivanti sia dai trial clinici che dalle ricerche farmacologiche, cerchiamo quindi di capire se il consumo di caffeina, componente centrale degli energy drink, rappresenti un tentativo di “automedicazione” del paziente con depressione del tono dell’umore finalizzato ad alleviare la sofferenza soggettiva e le alterazioni di funzionamento che il suo disturbo comporta.

I disturbi depressivi cronici sono collocabili lungo un continuum che va dal temperamento depressivo alla depressione maggiore cronica passando per il disturbo distimico. Questi disturbi presentano alti tassi di comorbilità con i disturbi da abuso di sostanze, tuttavia, non sempre è così semplice comprendere se i comportamenti d’abuso costituiscano semplicemente dei tentativi di autoterapia o siano la conseguenza della concomitanza di due distinte patologie, data la difficoltà a separare i sintomi della patologia dell’umore da quelli attribuibili all’abuso di sostanze psicoattive, e di ordine metodologico generale.

Bisogna, infatti, tener presente che l’abuso di sostanze psicoattive spesso comporta, anche nei soggetti senza precedenti disturbi psicopatologici, cambiamenti nella sfera affettiva, cognitiva e comportamentale sovrapponibili a quelli che si riscontrano nei disturbi dell’umore.

Rimane un dato chiaro in tutto ciò: i ragazzi tra i 12 e i 17 anni sono tra i più importanti consumatori di caffeina e ancor più che per altre sostanze d’abuso, evidenze della letteratura scientifica sottolineano come la caffeina, principale ingrediente degli energy drink, sia utilizzata a scopo auto terapeutico nei pazienti con umore depresso.

La caffeina è ampiamente disponibile, abbondantemente presente sul mercato, ed è riconosciuta come stimolante socialmente accettabile. Essa rappresenta un rimedio particolarmente ricercato dai soggetti che cercano un sollievo dalla fatica quotidiana o da sentimenti negativi di inadeguatezza e di difficoltà di rendimento sul piano prestazionale: può interagire positivamente con aspetti clinici quali l’attenzione, l’arousal (determinando minor sonnolenza e maggior attivazione), diminuendo i tempi di reazione, migliorando le performance psicomotorie e le sensazioni di benessere soggettivo e di energia.

Da un punto di vista farmacologico non sono noti i meccanismi neurobiologici responsabili di tali effetti clinici: l’ipotesi principale è legata alla modulazione della trasmissione dopaminergica per azione sui recettori A2A, ma l’effetto dell’antagonismo dell’adenosina potrebbe implicare anche meccanismi non dopaminergici, come la modulazione del rilascio di acetilcolina e serotonina.

Potremmo concludere che, sebbene il consumo di caffeina sia moderatamente associato ad un certo numero di disturbi psichiatrici, le relazioni sembrano non essere causali e le discrepanze nella letteratura sono abbastanza frequenti.

Alcuni studi hanno osservato anche degli effetti positivi: per esempio, è stato dimostrato che basse dosi di caffeina hanno effetti benefici sull’umore.

Ma quanto è importante il dosaggio in tutto ciò e in che modo i consumatori differiscono dai non consumatori?

L’evidenza suggerisce che effetti negativi o positivi siano determinati dal dosaggio consumato. Sembrerebbe che nei limiti di una certa dose (250 mg) si aumenti l’euforia, mentre una dose eccessiva (500 mg) porti ad un aumento dell’irritabilità.

Ad esempio, in uno studio sul consumo quotidiano di caffeina effettuato tra studenti di psicologia è emerso che i tratti di ansia e depressione erano più alti nei consumatori abituali rispetto agli astemi.

Nonostante sia stata presa in considerazione l’idea che l’uso di bevande energetiche possa causare problemi comportamentali e un impatto negativo sulla salute mentale, è preoccupante scoprire che questi prodotti sono spesso commercializzati in modo aggressivo tra i giovani.

Mescolare gli ED con l’alcol è un’abitudine popolare tra gli adolescenti e tra gli studenti universitari, che si abbina spesso ad  ulteriori comportamenti ad alto rischio come il consumo eccessivo di alcol, il fumo e l’abuso di droghe.

C’è anche chi ha sottolineato acome in realtà i componenti presenti in queste bevande siano stati utilizzati per scopi medicinali in alcuni paesi come il Brasile da centinaia di anni.

Anche nell’ambito doppia diagnosi distimia-disturbo da abuso di sostanze, l’aumentato consumo di caffeina ha dimostrato avere effetti prognostici positivi. Se da una parte la concomitanza della distimia determina esposizione a più droghe rispetto alla sola diagnosi di disturbo da abuso di sostanze, un precoce ed elevato utilizzo di caffeina correla con una “più breve carriera” da abuo di cocaina, amfetamine, oppiacei e cannabis.

Dall’altra parte, bisogna considerare anche gli effetti della caffeina su importanti aspetti psicopatologici dei disturbi depressivi, quali i sintomi d’ansia frequentemente in comorbilità con la deflessione del tono dell’umore, e i disturbi del sonno che spesso possono precederla.

Per quanto riguarda i disturbi d’ansia, e disturbi di panico in particolare, le evidenze scientifiche sottolineano un significativo incremento della quota di ansia percepita, nervosismo, paura, nausea, palpitazioni, irrequietezza e tremori.

In merito ai disturbi del sonno come insonnia e ipersonnia, i risvegli notturni, la sonnolenza giornaliera e l’inversione del ritmo circadiano sonno-veglia, sono stati osservati dei peggioramenti, soprattutto nei soggetti più govani, della qualità e quantità del sonno e problemi correlati alla sonnolenza rispetto ai coetanei che non assumono caffè.

Occorre, infine, considerare, come suggeriscono diversi studiosi la possibilità di viraggi ipomaniacali nell’ambito del disturbo distimico e delle altre forme depressive croniche, come la depressione maggiore cronica e le sindromi depressive residue. Questi disturbi mostrerebbero infatti ampie aree di sovrapposizione con lo spettro bipolare in termini di familiarità, temperamento premorboso e decorso. Non è pertanto da escludere che un consumo aumentato di psicostimolanti, come la caffeina appunto, possa scatenare una sintomatologia contropolare.

È infatti dimostrato che la caffeina può giocare un ruolo significativo nella regolazione affettiva. La caffeina può contribuire ad arousal, ansia e irritabilità, esacerbando così stati emotivi misti.

I soggetti che si automedicano con la caffeina per incrementare lo stato di vigilanza, esperiscono, successivamente alla sospensione della sostanza, un ritorno all’originale stato di bassa energia, che a sua volta può essere contrastato da un incremento ulteriore del consumo di caffè. Questo ciclo potrebbe contribuire a incrementare stati affettivi misti e i sintomi depressivi stessi.

In conclusione, tenendo conto della variabilità individuale, è possibile tracciare un quadro bifasico e in certa misura dose-dipendente degli effetti psicostimolanti della caffeina.

È senza dubbio intrigante sul piano clinico l’osservazione di come la caffeina, assunta in dosi moderate per lungo tempo, possa correlare con una potenziale riduzione del rischio depressivo nei soggetti sani, e un miglioramento delle performance psicomotorie, della vigilanza e dei livelli di energia nei pazienti depressi. Occorre, d’altra parte, non trascurare gli effetti avversi osservabili in caso di assunzione di alte dosi di caffeina, con peggioramenti dei profili circadiani, dei sintomi d’ansia e degli stati affettivi depressivi/misti.

 

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