Gli exergames sono nuovo genere di videogames e hanno lo scopo di promuove uno stile di vita attivo e dinamico. Il training neuromotorio che si compie giocando induce allo stesso tempo una modificazione della plasticità del cervello.
Il termine exergaming è un vocabolo di origine inglese usato per indicare una categoria di videogames che è esplosa dopo la comparsa della Nintendo Wii.
Questo nuovo genere, conosciuto anche come active games (Mears & Hansen, 2009), si riferisce a un ambito videoludico in cui l’attività fisica viene utilizzata come dispositivo di input (Marasso, D. 2015). Questo genere, nato allo scopo di rovesciare uno degli stereotipi che affliggono i videogiochi (vale a dire la promozione dell’attività sedentaria e della pigrizia), promuove uno stile di vita attivo e dinamico (Marasso, D. 2015). Attraverso un alternarsi di tentativi ed errori l’utente, grazie alla rilevazione dei propri movimenti del corpo combinati con l’ausilio di biofeedback visivi, viene portato ad esplorare innumerevoli strategie fino a trovare quella corretta che lo porta a completare il livello. Il training neuromotorio che si compie induce allo stesso tempo una modificazione della plasticità del cervello portando in breve al ripristino o creazione di corretti modelli motori. Mente e corpo vengono messi quindi in fortissima relazione. Fruibili da tutti, gli exergames si offrono a un target davvero ampio. Si va dal bambino in fase di sviluppo fino ad arrivare all’anziano che, se stimolato al movimento in maniera coinvolgente, trae benefici riabilitativi nonché cognitivi. Secondo uno studio (Anderson-Hanley, C. et al. 2018) apparso in Frontiers in Aging Neuroscience, alcuni ricercatori dell’Union College hanno dimostrato come attraverso la pratica degli exergames sia possibile rallentare il Mild Cognitive Impairment (MCI), ovvero quel lieve decadimento cognitivo precursore dell’Alzheimer. Nello studio in questione erano stati coinvolti più di 100 anziani con un’età media di 78 anni e divisi in due gruppi. Al primo gruppo veniva richiesto di svolgere un “exer-tour” mentre al secondo gruppo veniva richiesto di svolgere un “exer-score”, attività anche cognitivamente impegnativa. L’exer-tour consisteva nel pedalare su una cyclette tradizionale dove, montato su uno schermo, appariva l’avatar di un ciclista posto una pista ciclabile panoramica. La veloce progressione dell’avatar dipendeva dalla pedalata dell’utente stesso. L’avatar inoltre non poteva lasciare il percorso né tantomeno sbattere contro qualcosa. Poteva solo proseguire diritto. L’Exer-score al contrario richiedeva al partecipante di pedalare come nell’exer-tour, ma di giocare contemporaneamente a un videogames in cui si dovevano inseguire dei draghi e conseguire anche delle monete in uno spazio d’azione di ben 360 gradi. Il fine ultimo del videogioco era di segnare più punti possibili. Questi due gruppi dovevano praticare l’attività di exergaming con regolarità per la durata di 6 mesi (la durata della ricerca). I risultati ottenuti dai due campioni vennero poi confrontati con le risposte di altri due gruppi di anziani che giocavano a un videogames su un computer e da un altro che invece si affaticava con la cyclette. Nonostante gli stessi ricercatori ammettano che sia necessario un RCT più esteso per confermare i risultati, al termine della sperimentazione clinica si è visto come i primi due gruppi di partecipanti si sono ritrovati con una funzione esecutiva migliore, determinante per il processo decisionale e il multitasking. Un beneficio lo si era già visto dopo comunque già dopo i primi 3 mesi. (Anderson-Hanley, C., Barcelos, N. M., Zimmerman, E. A., Gillen, R. W., Dunnam, M., Cohen, B. D., Yerokhin, V., Miller, K. E., Hayes, D. J., Arciero, P. J., Maloney, M., & Kramer, A. F. 2018)
Nei più piccoli invece gli active games si sono dimostrati un efficace strumento per indurli a svolgere attività fisica con regolarità, dimostrandosi un valido alleato nella prevenzione, cura e trattamento di dismorfismi (come ad esempio la scoliosi) o paraformismi (ovvero posture scorrette della schiena) che possono colpirli durante la loro crescita. Anche a livello cognitivo e sociale la pratica degli exergames ha dimostrato dei considerevoli giovamenti. Ricerche effettuate in ambito cognitivo hanno dimostrato come giocare agli exergames migliori anche le performance scolastiche. A livello cognitivo, per esempio, vengono stimolati alcuni aspetti quali l’attenzione, la consapevolezza spaziale o la comprensione delle relazioni causa-effetto (Höysniemi, J. 2006). Oltre all’ambito cognitivo la pratica degli exergames ha comportato effetti benefici anche a livello sociale. Alcuni studi hanno dimostrato infatti come la pratica degli exergames in ambienti di gruppo ha portato a un incremento dei legami amicali e una decrescita del pericolo di isolamento sociale (Mueller, F., Agamanolis, S., & Picard, R. 2003). Viste le diverse proprietà benefiche confermate dai vari studi, lo stato del Michigan ha introdotto nel 2003 il videogioco Dance Dance revolution all’interno del proprio programma scolastico.
Dunque, quali sono quindi gli exergames più consigliati a questo punto per allenarsi a casa? In questo periodo in cui allenarsi a casa è diventato obbligatorio, alcuni tra gli exergame più noti sono Just Dance, Ring Fit Adventure o Beat Saber. Praticare exergaming in realtà virtuale (o VR), come nel caso di Beat Saber, ha dimostrato come gli ambienti immersivi possono distrarre gli utenti dallo sforzo fisico dell’esercizio e possono nello stesso tempo motivarli a continuare a giocare. Nonostante il recente aumento della popolarità della realtà virtuale grazie anche al contributo di tecnologie come la PSVR e i vari Oculus, numerosi utenti continuano ancora a soffrire di cybersickness (McCauley, et all. 1992). La cybersickness o VR sickness è quel fenomeno i cui principali sintomi, dopo un periodo variabile di immersione attraverso l’HMD, sono l’affaticamento degli occhi, il disorientamento e la nausea (LaViola, J. R. 2000). Oltre a questi sintomi anche la percezione della profondità e la cognizione possono essere influenzate. Sebbene ci siano degli evidenti benefici negli exergaming in VR, è comunque utile identificare anche gli effetti negativi che ne limitano il suo potenziale e la sua continua diffusione. A tal proposito, presso l’Università dell’Australia Meridionale, è stato recentemente svolto uno studio (Saredakis, D. et al. 2020) volto a investigare la VR sickness in 36 partecipanti che utilizzavano Beat Saber per sessioni di 10 e 50 minuti. Diversi sono stati i parametri analizzati, ovvero l’accomodazione, la vergenza, la velocità decisionale, la velocità di movimento e aspetti della cybersickness auto-denunciati in tre precisi momenti: prima dell’esperienza in VR, immediatamente dopo l’immersione in VR e 40 minuti dopo la VR (molto in ritardo). Dai risultati della ricerca è emerso che Beat Saber è stato ben tollerato. Per la maggior parte dei partecipanti, tutti gli effetti collaterali immediati sono stati di breve durata e sono tornati ai livelli basali dopo 40 minuti dall’uscita dalla VR. Sia per le esposizioni brevi che per quelle lunghe, ci sono state variazioni di accomodamento ( F 1,35 = 8.424; P = .006) e convergenza ( F 1,35 = 7.826; P = .008); tuttavia, nel periodo tardivo del test, i partecipanti sono tornati ai livelli di base. Le misure sulla cognizione non hanno rivelato alcuna preoccupazione. I punteggi ottenuti tramite il Simulator Sickness Questionnaire (SSQ) sono aumentati immediatamente dopo VR ( F 1,35 = 26,515; P <0,001) ed erano significativamente più alti per le esposizioni lunghe rispetto a quelle brevi ( t35 = 2,807; P = 0,03), ma non ci sono state differenze nella durata dell’esposizione nel periodo tardivo del test, con i punteggi che tornavano ai livelli basali. Solo il 14% dei partecipanti ha riportato ancora alti livelli di malattia nel periodo di test avanzato dopo aver giocato 50 minuti di Beat Saber.
Andando oltre tale ricerca è tuttavia interessante notare come la VR abbia fatto dei notevoli passi avanti rispetto al primo prototipo sviluppato da Ivan Sutherland nel 1986. La realtà virtuale oggi non è più uno strumento esclusivo, ma bensì alla portata di tutti e con una funzione non più esclusivamente ludica. Dal suo iniziale utilizzo esclusivo nella ricerca, la RV ad oggi è stata utilizzata anche in altri ambiti: clinico (per la cura di fobie specifiche e non solo), sportivo (Torkington, Smith et al. 2001), riabilitativo, formativo, nonché ospedaliero come nel caso di Snow World. SnowWorld, sviluppato presso l’Università di Washington in collaborazione con Harborview Burn Center, è stato il primo software VR immersivo progettato specificamente per la riduzione del dolore. Esso sposta la concentrazione del paziente lontano dal dolore in un ambiente gelido e virtuale inondato di blu e bianchi freddi, dove il loro unico compito è lanciare palle di neve a un gruppo di pinguini e di pupazzi di neve che avanza all’infinito. Potrebbe sembrare sciocco, ma i risultati parlano da soli: i pazienti ustionati hanno avvertito dal 35 al 50% di dolore in meno quando sono stati immersi nella VR (Hoffman, H.G. et al. 2011), circa la stessa riduzione di una dose moderata di antidolorifici oppioidi. Oltre a ridurre la quantità di dolore, la distrazione in VR sembra modificare il modo in cui il cervello elabora i segnali in arrivo dai recettori del dolore. I pazienti immersi in SnowWorld non solo hanno riportato meno dolore sulla scala soggettiva del dolore, ma hanno anche mostrato circa la metà dell’attività cerebrale correlata al dolore mentre erano immersi in SnowWorld. Dopo aver sviluppato un auricolare MRI unico nel suo genere per due anni, il team di ricerca ha analizzato le scansioni cerebrali di pazienti con e senza VR, dimostrando che i recettori del dolore nel cervello sono molto meno attivi durante la VR (Hoffman, H.G. et al. 2006). Nello specifico la risposta del cervello ai recettori presenta una rimodulazione degli aspetti sia sensoriali che emotivi peculiari per l’elaborazione del dolore.