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Bianco e nero, un viaggio verso la donna

La donna è stata descritta in extremum, o santa o poco di buono, un bianco e nero senza sfumature, dove tutto ciò che rimane diventa piatto e spietato..

Di Sonila Gruda

Pubblicato il 31 Mar. 2021

La donna per secoli è stata colpita in quanto appartenente al “sesso debole”; le violenze venivano approvate dall’intera società nelle varie epoche e periodi storici. La rivoluzione è possibile e dovrebbe iniziare a livello educativo, nel cercare di capire quali idee e modi di pensiero passiamo ai nostri figli.

 

La società è da sempre in lotta continua con sé stessa, ma, a prescindere da questo continuo dinamismo, su certi argomenti che pure sono continuamente richiamati da fatti di cronaca, non c’è quasi mai nulla di nuovo sotto il sole. Questo perché i cambiamenti, facilmente, avvengono in superficie, lasciando escluse le profondità. La società, nel suo intimo, può cambiare, ma non certo a passi galoppanti, l’essere umano, prima, ha bisogno di mordere la nuova realtà che si va a costruire, per poi poterla ingoiare, digerire e infine assorbire, solo in un secondo tempo. Un infante appena nato ha bisogno di cure costanti per uno sviluppo ottimale e la nostra specie è ben rappresentabile sotto la forma di un “infante perenne”, che ha bisogno di continui stimoli culturali per mettere in discussione le idee e i pensieri già acquisiti e già trasformati in abitudine.

Quest’epoca, come ogni altra, deve affrontare almeno qualcuno di questi “demoni”, di questi stati inerziali del pensiero, che ci trasciniamo da tempo; uno di questi, per giunta particolarmente attuale, è il maschilismo.

Tanto è stato scritto per una donna, se non per “la donna”: fiumi di lettere e poesie, dove essa o era angelo o tentazione, ispirazione o ignoranza e distrazione. Stereotipi portati avanti sino allo sfinimento, un gesto creativo ribaltato negli esiti che trasforma il nulla in realtà col peggiore dei risultati possibili.

Vittime che attraversano l’intero corso della storia, in ogni ambito, da quello religioso a quello letterario e artistico, ma anche quello politico, donne che, a dispetto della memoria a loro concessa, non hanno mai avuto il diritto di esistere in modo indipendente, ma solo coesistere, in quanto appoggiate o affiancate da qualche figura maschile.

I miti soffiano anche da altri punti cardinali: se la donna non ha autonomia e capacità di per sé stessa è però necessariamente “buona, e gentile”, premurosa, quasi benedetta dall’istinto materno, una costante questa potentissima, da non renderla nemmeno lontanamente paragonabile ad un uomo e tantomeno, quindi, poterla portare a volere e desiderare ciò che, secondo un “razzismo” parallelo è invece considerato uno standard per l’universo maschile.

In poche parole: se non corrisponde a qualità positive, ma stereotipate, o se non diviene posseduta da “potenze negative” (solitamente legate alla sfera sessuale), simbolo di sventura, la donna è sempre dipendente dalla mascolinità: di nuovo, lontano da costruzioni ideali, non esiste la donna in quanto essere concreto, vivo e soprattutto unico.

O tentatrice, o donna “angelicata”.

Tutti questi schemi di giudizio, nei quali le donne vengono incastrate, ci vengono insegnati fin da piccoli. Sono pochi coloro che si soffermano sull’educazione data alle persone di ambo i sessi (cosa che contribuisce alla percezione delle differenze di genere) fin dalla tenera età, in modo da notare come essa crei contrasti culturali che, sempre, necessitano di lotte dure e faticose nel tentativo di risolverli o almeno di contenerli.

La donna, per secoli è stata colpita, picchiata, nascosta, denigrata, emarginata in quanto appartenente al “sesso debole”; violenze che venivano approvate dall’intera società nelle varie epoche e periodi storici, perché no, la colpa non sta solo nel maschio (quando violento), ma anche (soprattutto?) nella donna!

Un genere descritto in extremum, o santa o puttana, un bianco e nero senza sfumature, dove tutto ciò che rimane, in mezzo a questa cascata di toni macabri, diventa piatto e spietato.

Il non riconoscimento verso la suddetta figura purtroppo è presente anche nei dizionari, quelli che la cultura, letteralmente, la fanno; cultura che, però, a volte non è solo ciò che illumina e segna il passo, così come viene recepita e immagazzinata nelle nostre memorie, ma che finisce col rappresentare anche la faex dell’umanità.

Solo pochi mesi fa Maria Beatrice Giovanardi diede inizio ad una petizione contro il prestigioso Oxford Dictionary ove i sinonimi della parola donna riportavano le testuali parole: zoccola, puledra, cagna, chiedendo l’eliminazione di queste offese, o “retaggi sessisti” se vogliamo usare parole di gergo più altolocato. L’iniziativa raccoglie in breve tempo 30.000 firme, cambiando così la storia: un dizionario prestigioso cambia alcune delle sue (lesive, in questo caso) definizioni, ed insieme a lui anche Google, Yahoo, Bing.

L’autrice esclama

[…] mi sono accorta che, a differenza di altri testi, Oxford Dictionary avvicinava il sostantivo a sinonimi dispregiativi, che descrivono la donna come un peso o come una poco di buono.

Battaglia, questa volta vinta, ma la guerra?

Nelle scuole, nel resto del mondo, la situazione è apparentemente invariata rispetto a prima.

Ne è testimonianza la storia della Tik Toker Italiana Raissa Russi, che, in una trasmissione, affronta la tematica della violenza verso le donne, nel suo caso anche verso le bambine. A 13 anni viene chiamata dal preside e le viene suggerito di non fare “la mignottina”, questo in quanto, per la direzione scolastica, lei era “troppo esuberante”, e questo avrebbe invitato i ragazzi ad allungare le mani.

Tutto ebbe inizio da una pacca sul sedere e, ovviamente, la colpa era di lei che l’aveva suo malgrado ricevuta: “se l’era cercata”. Lei veniva rimproverata e i ragazzi giustificati con le testuali parole: “maschietti”, “stupidini”, “furbetti”.

Nel 2020 una maestra viene licenziata perché un uomo diffonde le sue foto nuda che lei gli aveva mandato quando si frequentavano. Anche in questo caso la colpa è sua: lei non doveva, l’uomo (invece) è fatto così. Va capito.

Le statistiche offrono dati poco consolanti, da ogni angolo del mondo, di come durante il lockdown, il numero di episodi correlati a queste forme di violenza, invece che diminuire sia aumentato. Una giovane ragazza è stata uccisa dal compagno, con la “colpa” di aver portato il Covid a casa: lei, futuro medico, non doveva permettersi di andare a lavorare nelle strutture preposte al trattamento dei casi di Covid. Un uomo, anche in questo caso, decide cosa è buono e giusto per una donna.

La violenza non è solo fisica, anzi, in tanti casi è subdola, psicologica, fatta da uomini che eliminano ogni amicizia della propria compagna, ritenendo tutte le frequentazioni di lei alla stregua di persone dannose, se dello stesso sesso, o intenzionate solo “a provarci”, se del sesso opposto. Così che l’oggetto d’amore rimanga una proprietà unica del compagno e della sua “virilità”.

Se facciamo un viaggio addietro nella storia noteremo quanto anche alcune figure femminili, benché famose, abbiano sempre avuto poco peso e poche menzioni: la loro fama era non di rado legata e subordinata alla presenza di una figura maschile.

Già Cleopatra non veniva descritta come una grande regina dai suoi contemporanei, ma piuttosto come una puttana, disprezzo che però non coinvolge gli uomini con i quali ebbe a che fare: loro erano uomini, giustificati agli occhi dei popoli e della storia non si sa per quale merito specifico. Lucrezia Borgia venne denigrata e calpestata, con appellativi come “strega”, “colei che usava veleni” e mai elogiata per la sua cultura e intelligenza.

Anche Maria Maddalena venne associata alla figura della prostituta, un “bullismo” che tocca quindi anche le figure sacre, se di sesso femminile.

Tornando al presente, giusto poche settimane fa, la modella italiana Paola Turani ha fatto notare nel suo profilo instagram un articolo di TGCOM24 dal titolo: Sofia Richie fa la “maialina” in riva all’oceano. Maialina.

La modella Sofia Riche era in vacanza alle Bahamas alla baia di Pig Beach, in cui notoriamente compaiono e sono ben accetti dei maialini selvatici. Fin qui tutto ok. Peccato che, all’interno dell’articolo, si trovi una foto che ritrae la giovane ragazza, in compagnia di un’amica, vicino proprio a dei porcellini. I problemi cominciano con la descrizione della scena operata dal “giornalista” di turno, scena descritta con queste parole:

le due ragazze si divertono a giocare con loro dentro e fuori dall’acqua, come due vere maialine.

Dopo aver condannato il gesto vergognoso su Instagram con l’aiuto dei suoi follower e della sua influenza l’articolo è stato cambiato con tanto di doverose, quanto tardive scuse.

Purtroppo, non è la prima volta che simili scritti sopravvivano al buon senso degli editori, anzi, con lo stesso principio, quante volte è capitato che un uomo non accetti che la compagna faccia la modella (se le foto sono nudo o semi nudo ancora peggio!) e quante volte la frase che immancabilmente, come da fotocopia, accompagna questo modo di pensare è la medesima?

Se una donna fa foto nuda non ha rispetto per il suo corpo, figurati per il proprio partner, una donna che vale poco o nulla.

Concetto spesso ripetuto, non a caso, in contesti di fondamentalismo religioso, a prescindere dalla religione seguita.

Anche il vestiario femminile viene immancabilmente messo in discussione, tanto nelle cronache giornalistiche quanto nei discorsi che possiamo sentire a tutti i livelli della società. Facilmente la donna, se troppo coperta, è imbarazzata, sottomessa ad una religione o, come si sente comunemente dire, “suora”.

Viceversa, se questa si scopre è troppo esuberante, provocante, libertina, insomma… “puttana”. Usare i termini che vengono usati comunemente, per quanto offensivi, rende meglio l’idea.

Sono ormai noti a tutti casi in cui donne in minigonna che hanno subito violenze sono state incolpate o il loro vestito è stato considerato un’attenuante per la violenza subita, persino in tribunale.

Sono diffusi anche modi di pensare in cui la bellezza della donna deve essere nascosta, o perché la bellezza è considerata tentatrice o perché l’uomo che frequentano la considera a stregua di sua proprietà privata, insieme alla donna che se la porta addosso. Un’auto con relativa carrozzeria, insomma.

Sempre a tema, possiamo facilmente notare come, spesso, la descrizione delle donne parta dal loro modo di vestire, anche se si parla di eventi prestigiosi.

“Che vestito di classe”, “stile glamour, elegante”, “con che stile risalta le sue curve”.

Per l’uomo invece si parla piuttosto delle sue parole o della sua performance, di questi aspetti legati all’abbigliamento, invece, molto raramente.

È una disuguaglianza anche questa. La donna è bella. L’uomo soprattutto è capace.

Si passa da un estremo all’altro con la costante di non considerare la donna come ente autonomo in grado di fare scelte consapevoli.

La donna è vissuta come simbolo di purezza e verginità, paragonandola alle figure sacre o, se se ne allontana l’esatto opposto.

Ma quali conseguenze psicologiche nella donna in seguito a maltrattamenti verbali, fisici ed emotivi?

Gli effetti fisici sono tra i più evidenti, dalla lesione alla morte. La violenza fisica può portare con sé insonnia, dolore cronico, problemi alla salute, anche nella sfera riproduttiva. Le donne che subiscono violenza domestica hanno un alto tasso di aborti spontanei, anche perché la gravidanza spesso coincide con l’inizio o con un peggioramento della violenza.

Gli effetti della violenza psicologica sono più difficilmente individuabili, specie ad uno sguardo superficiale, e, al tempo stesso, anche molto difficili da portare con sé. Troviamo depressione, panico, ansie, fobie e stress. Elementi questi che possono spingere una persona verso il suicidio, persona che, per reggere la situazione nella quale è compressa, sovente inizia ad abusare di sostanze, fra cui spiccano per frequenza: alcool, droghe “leggere” e “pesanti”, ma soprattutto tranquillanti e antidolorifici.

Le donne che non hanno subito direttamente violenza fisica, ma piuttosto psicologica, si sentono sovente fallite e presentano bassa autostima: si sentono impotenti e provano sensazioni di inutilità. Rivivono le situazioni dolorose attraverso flashback di ricordi, cosa che porta con sé tanta difficoltà di concentrazione. Perdono la fiducia in loro stesse, vedono il comportamento del proprio partner come qualcosa che si meritano, come un qualcosa di cui hanno bisogno per essere educate, perché loro “non capiscono” e quindi devono dipendere dal partner, come se questi fosse una specie di insindacabile “guru”.

Anche se subiscono un annullamento della loro persona (cosa che è in tutto e per tutto una vera e pesante forma di violenza) non riescono più ad avere una visione anche solo minimamente oggettiva di quello che stanno passando.

Incapaci ormai di riconoscere i danni subiti dalla loro persona queste donne non smettono di cadere in un abisso in cui verranno sempre più costrette al silenzio o a dover assecondare, come verità assoluta, tutto ciò che il partner afferma.

Partner da cui, per “ricompensa”, verranno oltretutto sempre colpevolizzate.

Frasi tipiche di queste situazioni sono: “se sei arrivata qui è grazie a me”, “ho annullato tutto per te” .

Anche l’intimidazione è un elemento molto usato nel tentativo di controllare la propria partner, con frasi come: “ti mollo perché questo comportamento non va bene”.

Se una donna ha figli non si sentirà adatta a prendersi cura di loro e a proteggerli, in quanto ha sviluppato una dipendenza dal partner e si sente l’anello debole della famiglia, questo spiega come mai, in tanti casi di cronaca, in cui il marito abusa della figlia o del figlio, la moglie si riduca al silenzio e alla negazione dei fatti.

Come capire la violenza?

Ci sono delle costanti che vanno considerate in molte situazioni psicologiche per capire se si sta agendo correttamente. E anche nel caso di violenze di tipo fisico o psicologico queste possono rappresentare una via di uscita.

La prima è chiedersi se le proprie abitudini sono cambiate. Se la risposta fosse sì, allora bisognerebbe chiedersi se ciò abbia portato ad un benessere psicologico maggiore o inferiore.

Sono cose difficili da valutare, ci si può porre delle domande come “sono felice?”, “mi sento libera?”, “mi sento giudicata?”, “Ho paura delle reazioni degli altri?”.

Se qualcosa non va queste domande possono darci però qualche indizio per iniziare a capirlo.

Un’altra domanda da porsi è “sono isolata?”, “ho una serie di persone con cui mi sento libera di parlare e confidarmi, pur non sentendone per forza la necessità costante?” “Non ho paura dei giudizi quando esprimo cose che mi riguardano?” Attenzione ai campanelli di allarme. Se la risposta a queste domande è no può dipendere o dalla tossicità della relazione che sto vivendo o dalla negatività delle persone che ho intorno per cui non si deve perdere il collegamento con il proprio benessere, per non trarre conclusioni sbagliate.

Se il peso della situazione subita è troppo elevato è necessario il supporto psicologico di un professionista.

Facciamo la rivoluzione?

Spesso si sente dire questa frase, anche perché la società quando sente il peso di una situazione ha necessità di darsi una “scossa”. Sinceramente condivido che su alcune cose non ci possano essere mezze misure, è al cento per cento vero uno slogan che, per fortuna, sta aumentando rapidamente condivisone e diffusione: “Basta violenza sulle donne!”. Il problema è come arrivarci.

È vero, è necessario un cambiamento radicale perché, come ho cercato di illustrare, la violenza è presente a diversi livelli e in diverse forme e siamo talmente abituati ad essa che non tutti ce ne rendiamo conto e ci passiamo sopra senza notare nulla.

Un solo numero riferito alla realtà odierna per rendere idea di quanto sia diffuso il fenomeno della violenza.

Nel periodo marzo giugno 2020, con il lockdown per la pandemia le chiamate al numero antiviolenza 1522 secondo l’istat sono aumentate del 119,6% passando da 6.956 a 15.280.

Giusto cercare di rimediare a un male duro da sopportare, ma ci sono dei ma. Il femminismo è sovente caduto in banalizzazioni e in grandi slogan che non sono stati efficaci per cambiare le cose. Probabilmente, oggi, non bisogna più essere né femministi, né maschilisti.

Non è questione di primeggiare, ma di garantire l’uguaglianza laddove ancora non c’è. La vera rivoluzione si fa a livello educativo, nel cercare di capire quali idee e modi di pensiero passiamo ai nostri figli. Sicuramente le donne dovranno fare la rivoluzione delle idee, cioè del sentirsi libere di esprimerle nella loro vita, da quando sono bambine a quando crescono, senza sentirsi assoggettate o timorose e trovando nella società intorno a loro la stessa volontà.

Di donne che hanno portato grandi idee ed esempi ce ne sono state tantissime, ma se ancora oggi questa disuguaglianza condiziona le nostre vite è perché non siamo ancora stati in grado di colorare, con lo stesso vigore con cui esaltiamo le idee, gli stili educativi che potrebbero portarci al cambiamento.

Né bianco, né nero. Ma un mondo variopinto da diverse tinte, portate da donne e uomini liberi.

 

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