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Yoga per il disturbo d’ansia generalizzata: uno studio clinico controllato e randomizzato

Uno studio pilota ha considerato efficace sui sintomi del Disturbi d'ansia generalizzata una particolare pratica di yoga, il Kundalini yoga

Di Sara Magliocca

Pubblicato il 08 Dic. 2020

Il Disturbo d’Ansia Generalizzata (DAG), si connota per la presenza di preoccupazioni eccessive, incontrollabili, estese a qualsiasi contesto di vita e sproporzionate rispetto al reale esito dell’evento previsto.

 

Tale ansia interferisce gravemente con il funzionamento psicosociale dell’individuo poiché spesso si associa ad una sintomatologia fisica gravosa (American Psychiatric Association, 2013).

La terapia cognitivo comportamentale (CBT), andando ad agire con tecniche di ristrutturazione cognitiva e tecniche comportamentali, come esercizi di esposizione è consolidata ed efficace nel trattamento del disturbo d’ansia generalizzata (Hofmann & Smits, 2008). Tuttavia molti pazienti, per costi, convinzioni personali, mancanza di una rete di supporto, stigma associato al disturbo mentale o motivi organizzativi, non accedono ai servizi di cura (Corrigan et al., 2014). Allo stesso modo, tra coloro con DAG, in alcuni casi l’intervento farmacologico concomitante non è accessibile, efficace e nemmeno tollerabile (Gomez et al., 2018).

Questi aspetti hanno portato i pazienti a rivolgersi verso approcci di cura alternativi, come lo Yoga, traendone notevoli benefici (Park et al., 2016; Saeed et al., 2019). Costituito da posture fisiche, esercizi di controllo del respiro, rilassamento e pratiche di meditazione, il suo utilizzo per motivi di salute è incrementato del 14,3% nel 2017 tra gli adulti statunitensi (Clarke et al., 2018). Sebbene i suoi meccanismi di azione nei disturbi d’ansia non siano del tutto chiari, alcune ricerche ne sostengono la sua idoneità come trattamento aggiuntivo, con sessioni di 60 minuti a settimana (ad es. Saeed et al., 2019).

Uno studio pilota ha considerato efficace il Kundalini yoga (KY), una pratica composta da esercizi di meditazione, respirazione e da aspetti tradizionalmente parte dello yoga, nell’alleviare i sintomi del DAG (Cramer et al., 2019). Inoltre in diverse ricerche il suo impiego ha promosso cambiamenti significativi nell’ansia di stato e di tratto, depressione, panico, sonno e qualità della vita (Khalsa et al., 2015; Saeed et al., 2010).

Data questa evidenza, lo studio clinico controllato e randomizzato di Simon et al. (2020) ha esaminato l’efficacia nel breve termine del KY, confrontandolo da un lato con una condizione di controllo costituita da un intervento educativo di gestione dello stress e, dall’altro, con il trattamento CBT d’elezione per l’ansia.

Per il KY, è stato applicato un protocollo standardizzato che includeva posture ed esercizi fisici, tecniche di respirazione, rilassamento e meditazione (Hofmann et al., 2015).

L’intervento CBT includeva un protocollo per il DAG che ha ricevuto notevole supporto empirico, costituito da 5 moduli: una psicoeducazione iniziale volta a chiarire il modello cognitivo e comportamentale del disturbo, ristrutturazione cognitiva, rilassamento muscolare progressivo, esposizione alle preoccupazioni ed esercizi di esposizione in vivo. Inoltre, il protocollo si avvaleva di un trattamento mirato alle meta-cognizioni cioè i pensieri disfunzionali legati alle preoccupazioni eccessive (Hofmann et al., 2015).

La condizione di controllo standardizzata era costituita da interventi di psicoeducazione sugli effetti psicofisiologici dello stress e dei comportamenti adottati nella quotidianità (ad es. assumere alcol, caffeina e fumare) (Hoge et al., 2013).

I tre interventi sono stati erogati a gruppi di 3-6 partecipanti per 12 sessioni da 120 minuti. Il campione globale era costituito da 230 soggetti maggiorenni, con una diagnosi primaria di DAG definita sulla base dei criteri del DSM-5.

Gli autori hanno ipotizzato che nella valutazione post 12 settimane di trattamento, l’esito per i gruppi KY e CBT sarebbe stato simile, ma migliore rispetto al gruppo di controllo che aveva ricevuto un semplice intervento di educazione allo stress. L’obiettivo ulteriore era stabilire la non inferiorità dello yoga rispetto alla CBT e valutarne la sua efficacia al follow up di 6 mesi.

Hanno infine esaminato il meccanismo associato al cambiamento negli interventi KY e CBT, ipotizzando che nel primo caso agissero aspetti legati a mutamenti della consapevolezza, mentre nel secondo caso il mediatore sarebbe stato un mutamento delle cognizioni disadattive.

Nel breve termine, sia l’intervento CBT, che lo yoga sono risultati più efficaci della semplice psicoeducazione. Il Kundalini ha mostrato notevoli effetti ansiolitici nei pazienti con diagnosi primaria di DAG, tuttavia non sono state riscontrate prove di non inferiorità rispetto alla CBT, sia nell’immediato post-trattamento che nel lungo periodo.

Al follow up di 6 mesi la CBT si dimostrava più efficace dell’intervento di controllo confermando il suo ruolo come trattamento primario per il disturbo d’ansia generalizzata in quanto anche il KY non ha mostrato un effetto robusto e stabile nel lungo periodo.

Coerentemente con le ipotesi, il cambiamento nella CBT ma non nel KY, era favorito da un mutamento a livello delle cognizioni disadattive.

Nonostante da una maggiore consapevolezza dovrebbe derivare una migliore risposta al trattamento, la CBT e lo yoga non l’hanno favorita più del trattamento di controllo. Soprattutto per lo yoga, l’aumento di consapevolezza dovrebbe correlare con l’avanzamento della pratica nel lungo termine (Gaiswinkler & Unterrainer, 2016).

L’esito viene ricondotto dagli autori alla tipologia di yoga impiegato, che non amplia la consapevolezza nel lungo raggio ma la focalizza ad un singolo aspetto come la respirazione.

Nonostante ciò, il Kundalini yoga ha dimostrato i suoi vantaggi a livello terapeutico: oltre ad essere efficace nella riduzione dei sintomi ansiosi nel breve termine, è accessibile soprattutto qualora ci fossero barriere alla possibilità di un intervento medico. Sarebbe vantaggioso se la ricerca potesse indagare quali caratteristiche individuali (ad es. preferenze di trattamento ed atteggiamento verso la cura della salute mentale), renderebbero un paziente più incline allo yoga rispetto ad un trattamento CBT standard, offrendo un approccio alla cura tagliato per il paziente.

 

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