Una recente review ha evidenziato il crescente uso di exergame e i loro effetti benefici sul funzionamento cognitivo, sia nelle persone giovani ed anziane in salute, che in pazienti affetti da malattie neurologiche.
Beatrice Moret – OPEN SCHOOL Psicoterapia Cognitiva e Ricerca, Mestre
Nel corso degli ultimi 20 anni, c’è stato un aumento considerevole dell’uso di videogiochi, utilizzo che ha interessato la ricerca scientifica non solo per comprendere perché e come le persone li usano, ma anche per approfondire il loro effetto sul funzionamento cerebrale.
Recentemente, specifici videogiochi definiti ‘serious games’, sviluppati per allenare le funzioni cognitive, hanno catturato l’interesse di molti ricercatori per i loro potenziali effetti benefici sulla cognizione e sul comportamento (Green & Seitz, 2015).
Recenti studi hanno mostrato come l’allenamento svolto con i serious games, che non richiedono necessariamente esercizio fisico, possa migliorare significativamente le capacità cognitive e percettive (Achtman et al., 2008; Maillot et al, 2012).
In generale i videogames hanno molti vantaggi: sono divertenti, stimolanti, economici, facilmente acquistabili e facili da usare. Oltre ad essere piacevoli, possono richiedere complesse attività cognitive e generalmente forniscono un feedback immediato sulla performance.
Grazie alla tecnologia in continua evoluzione è stata sviluppata una nuova tipologia di videogame, gli ‘exergame’, ovvero ‘exer=exercise’, cioè esercizio fisico, e ‘game=gioco’.
L’aspetto principale che caratterizza un exergame è la necessità di compiere l’attività utilizzando il proprio corpo o alcune parti di esso (gambe, braccia); quindi si contraddistingue dal classico videogame per la sua non-sedentarietà, vantaggio che potrebbe contribuire al miglioramento delle funzioni cognitive (Kramer & Erickson, 2007). Wii, Playstation, Xbox sono tutte console di gioco che offrono le più svariate possibilità di eseguire diversi tipi di exergame (Immagine 1).
Immagine 1: Console di gioco che permettono di eseguire diversi tipi di exergame (foto di Thor Nielsen)
Moltissimi sono gli exergame sviluppati con l’obiettivo di promuovere il benessere fisico con attività più ludiche come la danza e lo sport, per esempio il golf, il tennis, lo snowboard (attraverso la visualizzazione simulata sullo schermo) e attività con scopo educativo, con l’obiettivo di imparare, allenare e in alcuni casi anche riabilitare le funzioni cognitive.
Studi riportano numerosi vantaggi derivanti dall’uso degli exergame: sono stati ottenuti sia benefici associati all’attività fisica (Siegel et al., 2009) che all’allenamento in compiti cognitivi (Green & Bavelier, 2003) con il valore aggiunto rappresentato dalla loro combinazione (Eggenberger et al, 2015). Gli exergame sono un’ottima tecnica da utilizzare in diversi contesti clinici anche per l’alto livello di apprezzamento e compliance, ovvero di adesione all’attività proposta (Maillot et al., 2012).
Una recente review ha evidenziato il crescente uso di exergame e i loro effetti benefici sul funzionamento cognitivo, sia nelle persone giovani ed anziane in salute, che in pazienti affetti da malattie neurologiche come il deterioramento cognitivo lieve, l’Alzheimer, il Parkinson, e psichiatriche come la schizofrenia (per approfondimenti vedi la review Stanmore et al., 2017), e in ulteriori popolazioni cliniche come nel caso della riabilitazione delle persone con sclerosi multipla (De Giglio et al., 2015).
Considerato l’ampio spettro di scopi per cui gli exergame sono impiegati, risulta importante indagare l’effetto di generalizzazione dell’apprendimento ad altre abilità non allenate, fenomeno noto come ‘transfer effect’, con il fine di comprendere i potenziali benefici indotti dai training cognitivi utilizzando come strumento l’exergame.
Evidenze scientifiche mostrano come alcuni training con gli exergame abbiano migliorato il controllo esecutivo, la velocità di elaborazione (Basak et al., 2008; Maillot et al., 2012) e lo span di memoria (McDougall & House, 2012). Al contrario, in uno studio con persone anziane in salute, non è stato rilevato un trasferimento dell’allenamento ad altre funzioni non direttamente coinvolte (Ackermann et al., 2010).
Questo processo di generalizzazione dell’apprendimento è strettamente legato al meccanismo di plasticità cerebrale. Che cos’è la plasticità cerebrale?
La plasticità cerebrale è l’espressione della straordinaria capacità del cervello di riorganizzarsi modificando la propria struttura ed il proprio funzionamento in relazione agli stimoli che riceve, adattandosi alle mutevoli esigenze nel corso della vita (Citri & Malenka, 2008; Pascual-Leone et al, 2005).
Questi cambiamenti spontanei avvengono durante il normale sviluppo postnatale, in risposta a diverse condizioni ambientali, con l’apprendimento e per compensare eventuali danni cerebrali (Møller, 2006).
Risulta quindi importante indagare il potenziale effetto di un training sul miglioramento non solo nel compito allenato, ma anche in compiti simili non direttamente allenati e valutare se gli effetti dell’apprendimento permangono nel tempo (Schmidt & Bjork, 1992).
Pertanto, è necessario concordare una procedura sistematica per misurare gli effetti sulla plasticità cerebrale degli exergame e più in generale dei videogames.
Quindi, se l’allenamento è legato alla plasticità del nostro cervello, come facilitare la nostra plasticità cerebrale?
La plasticità cerebrale a livello neurale si esprime come le connessioni tra le popolazioni di neuroni ed è alla base dell’apprendimento. Un’innovativa tecnica molto studiata in ambito sia clinico che di ricerca è la stimolazione cerebrale non invasiva (Non Invasive Brain Stimultaion, NIBS). Questa tecnica è nota alla scienza da più di due secoli e ad oggi si distinguono due grandi classi: la stimolazione magnetica transcranica (TMS) e la stimolazione elettrica transcranica (tES).
Queste tecniche sono entrambe utilizzate nelle neuroscienze cognitive come metodo per studiare la plasticità intesa come la relazione tra i processi cognitivi e il funzionamento delle strutture neurali dell’area cerebrale correlata (Miniussi et al., 2013).
La TMS rappresenta il metodo più noto e utilizzato per influenzare la plasticità del cervello (Barker et al., 1985), ma in linea con lo scopo di questo articolo si vuole approfondire la tES perché è uno strumento più recente, meno conosciuto e maggiormente accessibile, sia come costi che come facilità di impiego.
La tES consiste nell’applicazione di una debole corrente elettrica attraverso lo scalpo. La corrente viene applicata, generalmente, tramite due o più elettrodi, e raggiunge la corteccia cerebrale dove può interagire con l’attività neuronale in corso (Immagine 2).
Immagine 2: Applicazione della stimolazione elettrica transcranica (tES) (artista: Francesco Musmarra)
Come si evince dall’immagine, la tES è uno strumento maneggevole, di conseguenza il suo utilizzo è particolarmente adatto in combinazione con altre attività.
Il meccanismo di azione della tES consiste nella modulazione dell’attività neurale e nella modificazione della forza di connessione tra i neuroni (Fertonani et al., 2011; Terney et al, 2008).
A differenza della TMS, i protocolli tES non inducono un potenziale d’azione, ma modificano la soglia di risposta agendo sottosoglia, cambiando l’eccitabilità neuronale (Radman et al., 2009) e causando alterazioni del potenziale della membrana a riposo, quindi modificando l’efficienza sinaptica neuronale (Liebetanz et al, 2002; Fertonani & Miniussi, 2016).
La tES include tre protocolli principali (Immagine 3):
Immagine 3: i tre principali protocolli della tES (immagine adattata da Santarnecchi et al., 2015)
- la stimolazione transcranica a corrente diretta (tDCS) costituita da un anodo e un catodo
- la stimolazione transcranica a corrente alternata (tACS)
- la stimolazione transcranica a rumore casuale (tRNS)
Studi fisiologici hanno dimostrato come il meccanismo d’azione della tDCS sia mediato dalla polarizzazione della membrana (Nitsche & Paulus, 2000), con un aumento dell’attività neurale indotta da una facilitazione della stimolazione anodica (Boros et al., 2008) e una riduzione o inibizione dell’attività neurale dovuta alla stimolazione catodica (c-tDCS) (Ardolino, Bossi, Barbieri, & Priori, 2005). Si ritiene che la tACS e la tRNS alterino le oscillazioni intrinseche del cervello attraverso l’entrainment (Hermann et al., 2012) e la risonanza stocastica (McDonnell & Abbott, 2009) rispettivamente, con conseguente aumento o diminuzione dell’ampiezza, della coerenza o della fase dei ritmi cerebrali coinvolti (per approfondimenti vedi Thut et al., 2012).
Ad oggi, non sono stati riportati importanti effetti collaterali e, in ambito di ricerca, questo metodo si presta efficientemente ad esperimenti con condizioni di controllo poiché risulta difficile distinguere la stimolazione reale da quella sham, ovvero fittizia. Tuttavia, non è ancora del tutto chiaro l’effetto di ripetute sessioni di tES, che potrebbe indurre potenziali effetti basati sulla plasticità anche dopo settimane o mesi dal trattamento (plasticità a lungo termine).
Alcuni studi hanno indagato l’influenza reciproca tra diversi training cognitivi basati sulla plasticità neurale e vari protocolli tES, dimostrando effetti maggiori quando utilizzati entrambi rispetto al solo allenamento cognitivo, evidenziando anche diverse interazioni tra l’allenamento e i protocolli di stimolazione (Brem et al., 2018; Cappelletti et al. 2013; Prichard et al., 2014; Snowball et al., 2013; Santarnecchi et al., 2015). Brem et al. (2018) hanno studiato la possibilità di un transfer effect, confrontando quattro protocolli di stimolazione tRNS, tDCS, tDCS multifocale e tACS multifocale (gli ultimi due sono montaggi particolari che permettono una focalizzazione maggiore dell’area stimolata) combinandoli con 9 sessioni di 30 minuti di videogame, allenando le funzioni esecutive tra cui memoria di lavoro, inibizione e flessibilità cognitiva. Tutti i protocolli, ad eccezione del tACS multifocale, hanno mostrato effetti di trasferimento all’intelligenza fluida (Brem et al., 2018). Allo stesso modo, è stata trovata una generalizzazione dell’apprendimento in funzioni non direttamente allenate in un compito di discriminazione numerica, con un risultato migliore nel gruppo addestrato con la stimolazione collocata sui lobi parietali, aree fondamentali per la quantificazione nell’elaborazione numerica (Cappelletti et al. 2013).
La progettazione di un approccio che preveda un trattamento multiplo potrebbe anche contribuire, indirettamente, a fornire nuove conoscenze sulle basi neurofisiologiche dei processi di apprendimento, aggiungendo ancora più valore all’implementazione che questa nuova tecnica di stimolazione può fornire nella comprensione del funzionamento della cognizione umana.
I recenti progressi nel campo del machine learning e del deep learning, grazie ai sempre più complessi modelli matematici in grado di simulare il funzionamento delle reti neurali, stanno aprendo nuove opportunità per adattare gli interventi con le NIBS sulla base di modelli strutturali di connettività e conduttività del cervello, contribuendo a spiegare gli effetti osservati e a migliorare la localizzazione di specifiche aree cerebrali per ottimizzare gli interventi e consentire di progettare protocolli di miglioramento cognitivo più efficienti e personalizzati.
Ad oggi non sono ancora presenti studi che combinino nello specifico gli exergame, che allenano le funzioni cognitive promuovendo l’attività fisica, con la tES, che promuove la plasticità cerebrale; è un campo innovativo che richiede approfondimenti, sia con il fine di ottenere un potenziamento cognitivo, sia per prevenire e riabilitare le funzioni deficitarie nelle diverse popolazioni cliniche.
Alla luce delle evidenze scientifiche che mostrano benefici della combinazione delle NIBS e di training cognitivi, sorge spontaneo chiedersi quali possano essere i benefici unendo gli exergame cognitivi alla stimolazione transcranica non invasiva. Possiamo ipotizzare un effetto sinergico?
Vedremo, fiduciosi nella ricerca scientifica che risponderà presto alla nostra domanda!