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ATTenzione alla vibrazione! Un’applicazione dell’Attention Training Technique all’uso delle nuove tecnologie

Un progetto rivolto agli adolescenti si è posto lo scopo di aumentare la consapevolezza sulle capacità attentive e esercitarsi nello spostare l’attenzione

Di Claudia Marino

Pubblicato il 03 Giu. 2020

Il progetto “Shift Focus and Be Positive” era orientato a offrire agli adolescenti “strumenti” utili per l’uso corretto di Internet e delle nuove tecnologie, con particolare riferimento alla gestione positiva delle situazioni potenzialmente stressanti.

Claudia Marino – OPEN SCHOOL Psicoterapia Cognitiva e Ricerca, Mestre

 

È sempre più frequente sentir dire che “gli adolescenti stanno male perché sono sempre connessi” o che “i ragazzi di oggi sono distratti perché hanno sempre il telefono in mano”. È conseguentemente frequente anche la richiesta di insegnanti e genitori di aiutare i ragazzi a “spegnere il telefono almeno mentre studiano” perché “come fanno a concentrarsi se lo smartphone vibra di continuo?”. In linea con le preoccupazioni della società rispetto all’effetto delle nuove tecnologie, è stato recentemente dimostrato che l’uso problematico di Internet, dello smartphone e tutte le sue applicazioni può portare a conseguenze negative per la salute dei giovani (es, Liang & Leung, 2018; Marino, Gini, Vieno, & Spada, 2018). Difficoltà ad addormentarsi, ansia, depressione, solitudine, bassi livelli di successo accademico sono solo alcune di queste. Concretamente, il disagio sperimentato online potrebbe essere ricondotto ad eventi quotidiani della vita online dei ragazzi, come non ricevere reazioni (ad esempio in termini di like e condivisioni) ai propri post e foto caricate sui social oppure ricevere messaggi spiacevoli oppure anche sentirsi stressati dalla quantità di messaggi ricevuti e dalla pressione a dover rispondere subito a tutti (es., Marino, Finos, Vieno, Lenzi, & Spada, 2017) oppure la Fear Of Missing Out (FOMO, cioè la paura di essere esclusi da eventi importanti; Fuster, Chamarro, & Oberst, 2017) e phubbing (cioè, guardare lo smartphone durante un’interazione interpersonale; Chotpitayasunondh & Douglas, 2016). In questo senso, è stato anche dimostrato che l’uso problematico delle tecnologie, in termini di perdita di controllo del tempo speso online e compromissione della vita scolastica e amicale, ha a che fare con la difficoltà nell’auto-regolazione da un punto di vista emotivo, cognitivo e comportamentale (es., Caplan, 2010). Sembrerebbe, per esempio, che persone con alti livelli di uso problematico di Internet tendano a ruminare e rimuginare di più rispetto ai “non problematici” (Şenormanci et al., 2013) come strategia per far fronte agli eventi negativi online; tuttavia queste strategie contribuiscono ad aumentare i loro livelli di ansia e depressione (Wang et al., 2018).

Allora, cosa possiamo fare con gli adolescenti per prevenire l’uso problematico di Internet?

Spada e Marino (2017) hanno recentemente suggerito la potenziale utilità di interventi di prevenzione che mirino a modificare le credenze che i ragazzi hanno sui loro stessi pensieri e sulla loro flessibilità attentiva. Infatti, secondo la teoria metacognitiva (Wells, 2009), la Cognitive Attentional Syndrome (CAS) è un particolare stile di pensiero che gioca un ruolo fondamentale nei disturbi psicologici, compresi i comportamenti a rischio come l’uso problematico di Internet (Spada et al, 2008). La CAS si riferisce a uno stile di pensiero perseverante che si manifesta in forma di rimuginio, ruminazione, attenzione focalizzata sulla fonte della minaccia e comportamenti di coping maladattivi che impediscono un’efficacie auto-regolazione di emozioni e pensieri (si veda per esempio, Fisher & Wells, 2009). Nel contesto specifico dell’uso di Internet, la presenza di alcune meta-cognizioni può attivare delle strategie di coping maladattive come il rimuginio e la ruminazione; a loro volta, esse facilitano l’uso di Internet come mezzo preferenziale di auto-regolazione emotiva e cognitiva favorendo, quindi, un uso disregolato e problematico delle tecnologie (Spada & Marino, 2017; Marino, Vieno, Moss, Caselli, Nikčević, & Spada, 2016). Inoltre, sembra che questi stili di pensiero si consolidino proprio durante i primi anni dell’adolescenza (es., Bacow, Pincus, Ehrenreich, & Brody, 2009), così come in adolescenza l’uso problematico di Internet inizia a manifestarsi come problema.

In quest’ottica, abbiamo costruito ed implementato un progetto pilota di prevenzione per adolescenti che aveva lo scopo di aumentare la consapevolezza dei ragazzi rispetto alle loro capacità attentive, di esercitarsi nello spostamento dell’attenzione dagli effetti dei trigger “tecnologici” attraverso l’Attention Training Technique (ATT) per ridurre l’impatto della CAS e di sperimentare tecniche basate sul problem solving in sostituzione a quelle basate su stili di pensiero perseveranti per affrontare le situazioni difficili online.

Il progetto “Shift Focus and Be Positive”

Il progetto è stato costruito da alcuni ricercatori e collaboratori del Dipartimento di Psicologia dello Sviluppo e della Socializzazione dell’Università di Padova in collaborazione con la London South Bank University e ha previsto la partecipazione di ogni classe (prime, seconde e terze della scuola secondaria di secondo grado) a due incontri da circa due ore ciascuno, a cadenza settimanale e in presenza delle insegnanti referenti per il progetto. Gli incontri sono stati caratterizzati da un alto grado di interattività, spesso associata ad una maggiore efficacia degli interventi di prevenzione con gli adolescenti.

Il progetto era orientato a offrire agli adolescenti “strumenti” utili per l’uso corretto di Internet e delle nuove tecnologie, con particolare riferimento alla gestione positiva delle situazioni potenzialmente stressanti che avvengono online (per esempio, venire esclusi da un gruppo Whatsapp, vedere che i propri “amici” pubblicano su Facebook o Instagram foto di eventi ai quali non si è stati invitati, ricevere un numero eccessivo di messaggi da un compagno troppo insistente, non ricevere abbastanza “like” ad una foto, sentirsi “tormentati” dalla vibrazione dello smartphone).

Nello specifico, nel corso del primo incontro sono state proposte attività interattive mirate ad evidenziare le conseguenze negative della CAS e a sviluppare strategie funzionali di problem solving. Attraverso un gioco di carte a squadre e una discussione finale, i ragazzi sono stati stimolati a riconoscere e ragionare sull’esistenza di due tipi di strategie che si possono adottare quando ci si trova a dover far fronte ad una situazione di disagio online: alcune sono più passive e centrate sul rimuginio o ruminazione che, come abbiamo visto, non consentono di risolvere positivamente la situazione; altre sono centrate sul problema e permettono all’individuo di pensare a cosa può fare concretamente per trovare una soluzione (strategie di problem solving).

Il secondo incontro, a distanza di una settimana dal primo, aveva l’obiettivo di esercitarsi nello spostamento dell’attenzione dai trigger “tecnologici” (ad esempio, la vibrazione dello smartphone, una notifica sui social, un messaggio di Whatasapp) per ridurre le conseguenze negative della CAS e migliorare, così, la qualità del tempo speso in classe e non (per es. spostando l’attenzione dalla vibrazione dello smartphone al contenuto della lezione, o alla partita di calcio). A questo scopo è stato proposto ai ragazzi un adattamento al tema dell’ATT (Wells, 2009) e un “ATT partecipato”. Concretamente, è stata preliminarmente progettata e registrata una traccia audio di 12 minuti contenente una sequenza di suoni “tecnologici” (es, vibrazione, suoneria dello smartphone, rumore della stampante, suoni delle notifiche) che seguiva l’alternanza e la sovrapposizione dei suoni in modo simile all’ATT originale di Wells (1990): attenzione selettiva su un suono alla volta, rapido spostamento da un suono all’altro e attenzione “divisa” simultaneamente su più suoni. L’audio è stato fatto ascoltare in classe e ai ragazzi è stato chiesto di seguire le istruzioni della voce dell’audio. La discussione che ha seguito l’attività ha permesso di rendere i ragazzi consapevoli del fatto che, esercitandosi, era possibile direzionare la loro attenzione. Nella seconda parte del secondo incontro, i ragazzi hanno invece “costruito” un ATT “partecipato” in cui, impersonando ruoli diversi (es., l’insegnante, il genitore, ecc.), utilizzavano le loro voci e delle frasi su cui spostare di volta in volta l’attenzione con lo scopo di mostrare concretamente come calare nella vita quotidiana l’esercizio di spostamento dell’attenzione. Questo adattamento dell’ATT è stato presentato non come strategia di coping da utilizzare nei momenti di stress ma come un’attività esperienziale in cui i ragazzi hanno sperimentato il loro controllo meta-cognitivo sui processi mentali in termini di capacità di gestire l’attenzione e di riuscire a non “fissarsi” eccessivamente sulle loro sensazioni e pensieri negativi (Fisher & Wells, 2009) scatenati, a volte, da un trigger tecnologico.

I partecipanti

Al progetto hanno partecipato un totale di 104 studenti (39 maschi e 57 femmine; Metà =14.8, DS=.84; di N= 8 partecipanti mancano i relativi dati) frequentanti 4 classi (due di prima, 1 di seconda e 1 di terza) di una scuola secondaria di secondo grado di Padova. In media, i ragazzi dichiarano di trascorrere circa 3 ore su Internet in un giorno qualunque della settimana.

La valutazione

Con lo scopo di valutare l’efficacia delle attività proposte nel promuovere buone prassi legate all’uso di Internet, ai ragazzi è stato chiesto di rispondere a due questionari anonimi, uno all’inizio del progetto e uno circa una settimana dopo il secondo incontro, appaiati successivamente sulla base di un codice alfanumerico. Nello specifico, gli studenti hanno compilato le seguenti scale:

  • Frequenza delle attività online: 8 domande relative alla frequenza quotidiana d’uso di Internet (Siciliano et al., 2015), su una scala da 1 (“mai) a 5 (“molto spesso”). Ad esempio: “Quanto spesso svolgi le seguenti attività su Internet in un giorno infrasettimanale?”: “Chatto”, “ascolto musica”, “sto sui social network” ecc.
  • Uso problematico di Internet: Short Problematic Internet Use Test (SPIUT; Siciliano et al., 2015). Lo SPIUT contiene 6 item ognuno dei quali riflette un aspetto particolare dell’uso problematico di Internet su una scala da 1 (“mai) a 5 (“molto spesso”) tra cui salienza, conflitti familiari, controllo del tempo speso online, conseguenze su sonno e relazioni (es., “Hai trascurato i compiti per passare più tempo online?”).
  • Stile di pensiero perseverante: Cognitive Attentional Syndrome Inventory (CAS-I; Wells, 2009). La versione originale utilizzata nella pratica clinica è stata adattata per età e contesto. Il nostro adattamento consiste in 14 item su una scala da 1 (“mai) a 5 (“molto spesso”). Gli item comprendono diversi aspetti: la proporzione di tempo passato a rimuginare o a preoccuparsi dei problemi (2 item); strategie di coping maladattive come evitamento di pensieri e situazioni, tentativi di controllare pensieri ed emozioni, immersione nelle serie tv e videogiochi (inseriti al posto dell’assunzione di alcol e droghe) (7 item); credenze metacognitive positive (es, “preoccuparmi mi aiuta ad affrontare i problemi”) e negative (es, “alcuni pensieri possono farmi impazzire”) (8 item).
  • Credenze sull’attenzione: 4 item costruiti ad hoc (per es., “posso controllare la mia attenzione” da 1 “per niente d’accordo” a 5 “completamente d’accordo”) con lo scopo di osservare un eventuale cambiamento relativamente alle credenze sulla propria attenzione che rappresentava il fulcro del secondo incontro.

Per quanto riguarda le attività online, è emerso che i ragazzi utilizzano internet con alta frequenza (“spesso” e “molto spesso”) per chattare (74%), stare sui social network (82%), per ascoltare musica (78%) e guardare serie tv (55.2%). Le attività relative ai videogiochi online (17.6%) rivelano invece una frequenza d’uso più bassa. In generale, l’utilizzo di Internet in adolescenza sembrerebbe strettamente legato alle esigenze di socializzazione caratteristiche di questa fase di vita e ad attività in cui immergersi come musica e serie tv.

Sui dati raccolti sono stati condotti una serie di t-test per campioni appaiati per valutare se, tra la prima e la seconda somministrazione, ci siano stati eventuali cambiamenti nelle medie di uso problematico (t(92) = 1.43; p = .16) e CAS (t(92) = -1.87; p = .06). I punteggi totali in questi due aspetti non sono cambiati in modo significativo tra il pre e il post-intervento. Seguendo un approccio puramente esplorativo, abbiamo condotto una serie di t-test per campioni appaiati utilizzando item singoli delle scale con l’obiettivo di osservare nel dettaglio eventuali cambiamenti in particolari aspetti dell’uso problematico di Internet e della CAS.

Come cambiano la frequenza d’uso e l’uso problematico di Internet?

Rispetto al tempo trascorso a guardare film o serie tv, abbiamo osservato una diminuzione significativa nella frequenza della messa in atto di questo comportamento (t(91) = 2.77, p<.05). In particolare la percentuale di ragazzi che usano Internet per questo scopo “molto spesso” durante la giornata quasi si dimezza, passando dal 26% al 15%.

Rispetto all’item dell’uso problematico di internet (SPIUT) “Ti sei accorto di essere rimasto online più tempo di quello che volevi?”, sembra migliorata la capacità nella gestione consapevole della quantità di tempo trascorso online (t(92) =2.54, p<.05). Inoltre, i ragazzi hanno riferito di aver ricevuto meno spesso rimproveri da parte dei genitori o degli amici a causa dell’uso troppo frequente di Internet alla fine dell’intervento (t(92) =2.03, p<.05).

Come cambia la CAS?

Rispetto alle domande del CAS-I, abbiamo osservato dei cambiamenti significativi in tre item. Nello specifico, è diminuito l’ingaggio nel rimuginio (“Nell’ultima settimana quanto tempo hai passato a rimuginare o a preoccuparti dei tuoi problemi”, t(92) = 3.77, p<.001). Inoltre, rispetto alle strategie di coping utilizzate per affrontare emozioni o pensieri negativi, i ragazzi sembrano “continuare a pensarci” (t(92) = 3.56, p<.001) e “immergersi nelle serie tv” (t(92) = 2.85, p<.01) in modo meno frequente dopo l’intervento.

Le credenze sull’attenzione che cambiano

In uno dei 4 item costruiti ad hoc per questo progetto (“Le persone possono controllare la loro attenzione”), i ragazzi hanno riportato un livello di accordo maggiore nel post-test rispetto al pre-test (t(92) = -2.95, p<.05), indicando di essere diventati più consapevoli della possibilità di controllare attivamente la propria attenzione.

Conclusioni

I risultati preliminari di questo intervento di prevenzione sembrano indicare che, per quanto limitate a due soli incontri, le attività proposte hanno portato a un miglioramento nella capacità di gestire il tempo passato online, di utilizzare strategie più adattive, e che i ragazzi abbiano compreso che possono controllare la direzione della propria attenzione per evitare gli effetti negativi della CAS. In altre parole, coerentemente con gli obiettivi iniziali, il progetto ha permesso ai ragazzi di apprendere nuovi strumenti utili ad affrontare e gestire in maniera positiva eventuali situazioni di stress nella vita online. In particolare, il cambiamento sulle credenze sul controllo dell’attenzione suggerisce che il breve intervento ha contribuito a dimostrare l’inesattezza della falsa credenza riportata dai ragazzi durante il progetto che “la mente fa quello che vuole e non posso farci niente”.

Inoltre, sembra che i ragazzi abbiano colto un altro dei punti centrali dell’intervento: rimuginare e continuare a pensare ai problemi e alle preoccupazioni non è utile, così come non è utile scegliere comportamenti immunizzanti di soppressione dei pensieri come immergersi nelle serie tv per non pensare (Fisher & Wells, 2009).

Nella fase conclusiva degli incontri, la riflessione condivisa a cui i ragazzi sono arrivati, sperimentando in prima persona il problem solving e verificando che è possibile governare l’attenzione, è stata che spesso quello che fa stare male una persona non è tanto ciò che le accade online o il contenuto specifico dei suoi pensieri rispetto a quell’evento, ma il tipo di risposta che dà alle cose che le succedono e che pensa. In altre parole non sono le situazioni più o meno negative (e tantomeno Internet di per sé) a determinare come ci sentiamo e quanto ci pensiamo, ma il modo in cui decidiamo di reagire ad esse. Questa conclusione ci è sembrata particolarmente in linea con quanto proposto da Wells in relazione al ruolo dello stile di pensiero che adottiamo più frequentemente nel direzionare della nostra attenzione (Wells, 2013). Sarà interessante verificare se i cambiamenti osservati saranno mantenuti nel follow-up previsto per il prossimo settembre.

Questo report ha lo scopo di presentare alcune evidenze preliminari ed è ovviamente caratterizzato da una serie di limiti di cui tenere conto, tra cui la mancanza di un gruppo di controllo, la selezione non casuale del campione, la mancanza (per ora) di un follow-up, la bassa numerosità campionaria.

Ciononostante, riteniamo interessante condividere con la comunità degli psicologi che con soli due incontri psico-educativi nelle classi è possibile incidere sugli stili di pensiero e, indirettamente, sull’uso di Internet degli adolescenti. In particolare, nonostante sia preferibile utilizzare l’ATT all’interno di un percorso psicoterapeutico, questi risultati indicano che il meccanismo dell’ATT potrebbe costituire un valido strumento anche nell’ambito del lavoro di prevenzione con gli adolescenti.

Pensiamo, in fine, che replicare il progetto in altre classi e contesti possa essere auspicabile per contribuire a verificare se intervenire sui processi metacognitivi possa essere un modo promettente di prevenire il tanto temuto uso problematico di Internet tra gli adolescenti.

 

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