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J’accuse: il fallimento generalizzato del sistema di tutela dei minori in Italia

Abbiamo un grandissimo bisogno di rinnovati servizi per i minori, che possano veramente sostenere le limitate risorse dei genitori e dei piccoli.

Di Paolo Azzone

Pubblicato il 19 Mag. 2020

I servizi per la Tutela dei Minori sembrano valutare bambini e genitori alla luce di un modello ideologico, inseguendo spesso una genitorialità utopica e irrealistica. Chi può veramente pensare di potere valutare le competenze genitoriali con assoluta obiettività? 

 

I noti fatti di Bibbiano hanno avuto un enorme impatto mediatico. Sembra che gli operatori di un servizio tutela minori siano giunti a falsificare la documentazione delle valutazioni sui minori per facilitare provvedimenti di affido a persone affini da un punto di vista personale od ideologico.

La vicenda ha rapidamente assunto i caratteri di uno scontro politico che poco ci riguarda. Le accuse, se provate, fanno rabbrividire, ma l’esito della vicenda giudiziaria non è affatto il punto più importante.

La verità è che i fatti di Bibbiano rappresentano la punta di un iceberg, la spia di un sistema di tutela dei minori che appare grossolanamente inadeguato: un sistema profondamente disfunzionale anche quando opera nel pieno rispetto delle regole e dei principi che ne ispirano l’attività.

Riporto qui alcune esperienze che credo possano essere illustrative di uno stile di lavoro diffuso ed in qualche modo tipico. Sono esperienze personali, ma credo che chiunque lavori nelle varie articolazioni dei servizi alla persona abbia avuto modo di incontrare situazioni del tutto analoghe.

  1. Aysha aggredisce una figlia adolescente all’apice di un diverbio. Aysha, islamica, non tollera lo stile di vita occidentale precocemente adottato dalla figlia. Intervengono le forze dell’ordine. Aysha si getta dalla finestra e finisce su telo prontamente steso dai soccorritori. In reparto scopre di essere incinta di un quarto figlio. La tutela minori opta per l’allontanamento della ragazza, mentre la paziente viene presa in carico dal CPS. Non emergono sintomi psicotici o affettivi. Aysha è una donna impulsiva con marcati tratti narcisistici. I figli sono tutto per Aysha. Nella sua vita non c’è alcun altro investimento significativo. Il CPS lavora per consentire ad Aysha di recuperare un ruolo genitoriale nei confronti dei tre figli rimasti con lei. La Tutela Minori procede in direzione opposta. Non offre alla paziente alcuna possibilità di riabilitazione. Non collabora assolutamente con gli sforzi del servizio psichiatrico. Opta per l’inserimento in comunità e quindi rapidamente per l’adozione dei minori. Aysha apprende la notizia e si getta sotto un treno.
  2. La sig.ra Angela è in carico al CPS per un disturbo depressivo cronico. Non ha mai manifestato alcun sintomo psicotico. L’alleanza con i servizi non è sempre facile perché la paziente è molto rivendicativa e lamentosa. E’ comunque una madre molto affettuosa e responsabile. Ama molto gli animali ed ha diversi gatti in casa. Dopo la separazione dal marito chiede aiuto alla UONPIA. Ha qualche difficoltà nella gestione dei figli. La UONPIA non fornisce alcun supporto né alla madre né ai ragazzi. Di fronte alle insistenze un po’ petulanti della paziente, segnala però la situazione al tribunale dei minori. Ignorando le indicazione del CPS, la Tutela Minori affida i figli al marito. Alla paziente consente solo incontri in spazio protetto una volta al mese.
  3. Moana, 16 anni, ha vissuto da sempre in un’atmosfera familiare collusiva e ipersessualizzata. Nella preadolescenza la rivalità con la madre ha assunto le forme di una franca relazione sessuale con il padre. Quando i servizi preposti scoprono la violenza sessuale cronicamente perpetrata dal padre, la paziente viene affidata al SPDC. Un lieve ritardo mentale ed una discreta impulsività offrono fondamento a questa curiosa scelta riabilitativa. La paziente rimane in reparto due anni. Al termine del ricovero rientra naturalmente al domicilio con il padre, da poco uscito dal carcere.
  4. Per qualche anno ho lavorato come psichiatra in una comunità terapeutica per tossicodipendenti. Mi sono reso conto rapidamente che in questa popolazione la prevalenza di soggetti con storia di affido od adozione è altissima. In genere in questi pazienti osservo che un’adolescenza molto difficile ha dato luogo a una elevata conflittualità con i genitori adottivi. Le manifestazioni tossicomaniche e delinquenziali ampliano il solco. In questo contesto di grande difficoltà spesso i genitori adottivi abbandonano del tutto il ragazzo: lo restituiscono alle istituzioni, da cui lo avevano ricevuto.

I servizi per la Tutela Minori svolgono oggi un ruolo quasi esclusivamente normativo. L’attività di supporto alla genitorialità è marginale. L’interazione con altri servizi che si occupano a vario titolo dei genitori viene spesso ritenuta superflua. Oggi la Tutela Minori tende ad incarnare una sorta di mission inquisitoriale, tende ad identificarsi e a sovrapporsi al ruolo del tribunale dei minori, nonché delle istituzioni preposte alle indagini e ai procedimenti penali rivolti ai comportamenti illeciti dei genitori.

Le radici di questa evoluzione credo possano essere fatte risalire ai profondi mutamenti sociali e culturali che hanno trasformato l’occidente a cavallo degli anni ’60. A quell’epoca i movimenti giovanili misero sotto accusa la generazione degli adulti, che accusavano di ipocrisia, avidità e autoritarismo.

Nel secondo dopoguerra, anche il movimento psicoanalitico sembrò condividere in una certa misura questa prospettiva rivendicativa. Forse tutti i giovani terapeuti degli anni ‘80 – io per primo – hanno ricoperto in qualche misura un ruolo di liberatore da una madre onnipotente o da un padre tirannico. E’ appena il caso di rilevare come questo progetto sia semplicistico e del tutto incompatibile con il modello della mente proposto da Sigmund Freud e Melanie Klein.

Dobbiamo accogliere gli insegnamenti della storia: il ‘68 ha sgretolato le istituzioni tradizionali, ma non ha certo cancellato la psicosi e la tossicodipendenza. Quest’ultima, anzi è sempre più pervasiva.

Del resto è scritto: “Chi è senza peccato scagli la prima pietra”. Siamo diventati quasi tutti padri e madri. Abbiamo commesso errori quanto e più dei nostri genitori. Le colpe le giudica il tribunale. Ma le scelte, gli stili educativi, la capacità di risonanza affettiva il senso di responsabilità? Chi può veramente pensare di potere valutare le competenze genitoriali con assoluta obiettività? Soprattutto, chi può sentirsi diverso, migliore, sempre disinteressato, aperto e generoso? Winnicott ci ha insegnato che all’oceano dell’amore materno sono inevitabilmente mescolati gli sgradevoli succhi dell’invidia, dell’odio, dell’onnipotenza e della manipolazione. Chi ha cresciuto dei figli sa di non poter dare lezioni a nessuno.

Da questo punto di vista il lavoro dei servizi per la Tutela dei Minori sembra ispirarsi a un modello culturale ormai superato, più allineato alle generiche aspirazione dei mezzi di comunicazione e dei social che alla realtà dei processi educativi. I servizi valutano bambini e genitori alla luce di un modello ideologico: sembrano spesso inseguire una genitorialità utopica e irrealistica. Soprattutto, pensano di poter affrontare i problemi educativi con gli strumenti coattivi della giustizia penale. Sottraggono i figli alla famiglia, li inseriscono in contesti comunitari, li affidano ad aspiranti genitori. Concettualizzano il genitore inadeguato come un dente cariato: basterà estrarlo tempestivamente dalla vita del figlio e lo sviluppo del bambino o dell’adolescente riprenderà spontaneamente.

Ma non è così. Non c’è trauma più doloroso di una separazione violenta da un genitore, per quanto disfunzionale. E la vita in un ambiente istituzionale è notoriamente un fattore di rischio per i più vari problemi psichiatrici.

Che dire poi delle procedure di selezione dei genitori adottivi? Possiamo veramente credere che una valutazione così estrinseca e prevalentemente sociale possa garantire ai piccoli un ambiente di sviluppo ideale? Ma anche un uomo od una donna maturi e caldi avranno enormi difficoltà a sostenere i processi educativi di un adolescente con una storia di abusi, violenze e separazioni traumatiche.

Che contributo possiamo dare dunque ai drammi educativi che sono diffusi nella nostra società? Davanti ai nostri occhi abbiamo – credo – il fallimento di un modello meramente inquisitivo e punitivo finalizzato alla sola individuazione delle carenze genitoriali.

Abbiamo invece grandissimo bisogno di rinnovati servizi per i minori, che possano veramente sostenere le limitate risorse dei genitori e dei piccoli. Occorrono servizi animati da un’autentica cultura psicoterapeutica, che siano in grado di leggere le dinamiche intrapsichiche ed interpersonali, che dispongano di competenze di psicologia individuale e della famiglia, servizi più autonomi e differenziati rispetto alle istituzioni giuridico punitive.

Per realizzare questo obiettivo occorre evidentemente un modello dello sviluppo umano e dei processi educativi. Di fronte al crollo delle istituzioni tradizionali, la confusione della scuola, l’indebolirsi della famiglia, le esitazioni di una chiesa costantemente assediata dai media, credo che la psicoterapia e la psicoanalisi siano chiamate oggi ad assumersi una più forte responsabilità sociale. Se pensiamo che il nostro lavoro sia destinato ad alleviare la sofferenza emotiva e a rendere la società più umana, dobbiamo scendere dalla nostra torre d’avorio. Le associazioni ed i professionisti della salute mentale sono oggi chiamati a prendere posizioni pubbliche. Altrimenti gli slogan mediatici prenderanno ancora il sopravvento. Si succederanno inchieste clamorose e arresti più o meno eccellenti, ma per i genitori ed i bambini in difficoltà nulla potrà cambiare.

 

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Paolo Azzone
Paolo Azzone

Psichiatra, Psicoterapeuta, Psicoanalista

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RIFERIMENTI BIBLIOGRAFICI
  • Winnicott D.W. (1947) Hate in countertransference. International Journal of Psycho-Analysis, 30, p. 69ff; also in (1958) Through Pediatrics to Psychoanalysis. Tavistock Publications, London.
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