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Self Compassion: il potere dell’essere gentili con se stessi (2019) di Kristin Neff – Recensione del libro

"Self Compassion" è un libro per ogni persona che abbia sperimentato quanto sia doloroso stare a stretto cotatto con le proprie autocritiche.

Di Elena Mannelli

Pubblicato il 26 Mag. 2020

Sopratutto nelle culture occidentali, espressioni come compassione per se stessi e gentilezza vengono confuse con autoindulgenza e pigrizia. L’autocriticismo, nemico della Self Compassion, è purtroppo un fenomeno ricorrente nella vita di molte persone.

 

 Kristin Neff è una delle voci più importanti nel panorama internazionale rispetto alla Self Compassion (compassione per sé stessi) e questo libro, edito Franco Angeli, è un dono prezioso che l’autrice fa a tutti i lettori, anzi vorrei dire a tutte le persone.

Perché questo libro è scritto per tutti.

L’autrice ci mette la faccia, parla di sé, parla della propria storia e del proprio sviluppo e di come si sia avvicinata alla Self Compassion e che ruolo centrale abbia avuto nella sua esistenza, rendendo facile, per colui che legge, immedesimarsi in lei.

L’autocriticismo, nemico dell’autocompassione, è un fenomeno molto comune per tante persone. E lo è soprattutto in tutte le culture occidentali dove termini come compassione per sé e gentilezza, si confondono con autoindulgenza e pigrizia.

È un libro da leggere. Profondo e semplice, come tutte gli elementi che compongono la Self Compassison.

La scrittura è in prima persona, il che rende il libro di scorrevole e di piacevole lettura senza togliere niente rispetto ai fondamenti scientifici che vengono brillantemente espressi lungo tutte le 228 pagine, che rendono il testo illuminante anche per la pratica clinica.

È denso di riferimenti a fatti e persone, che non vogliono essere in nessun modo “casi clinici” quanto piuttosto storie di vita personale.

Non è un libro per addetti ai lavori, cosi come non è un libro per pazienti; è un libro per ogni persona, essere umano, che sperimenti quanto sia doloroso stare con le proprie autocritiche, voci nella testa. Pertanto, né gli psicologi né i loro pazienti sono esenti da questo.

Il testo si apre con uno sguardo al mondo e al modo in cui viviamo. Culture orientate alla competizione, al dover fare ed essere “di più”, al “non è mai abbastanza”, alla ricerca perduta della perfezione, al non dover/poter commettere errori per meritarsi qualcosa. E sono tutte questi sabotaggi personali, che l’autrice con la delicatezza della propria esperienza personale, cerca di demitizzare.

C’è la storia personale che tiene legate le pagine del libro, è la storia di una donna che ha commesso errori e che mancava di autocompassione; la storia di un io parlante che ha sperimentato in prima persona il potere dell’autocompassione come un arricchimento per il proprio benessere emotivo e psicologico nonostante le tante difficoltà nella vita a cui ha dovuto far fronte (dalle situazioni familiari difficili in infanzia, alla fine di un matrimonio, al tradimento e alla diagnosi di autismo del figlio).

Credo che emerga a gran voce che chi scrive è qualcuno che sa per esperienza di cosa parla, proprio per la capacità di mettersi in discussione e svelarsi al lettore in tutta la sua (imperfetta) natura umana con quel tocco di amore per sé stessi che la Self Compassion può davvero dare.

Ci sono più sezioni nel libro ed ognuna termina con un paragrafo rispetto alla storia personale dell’autrice (sebbene questa venga narrata anche durante lo scorrere delle pagine e degli altri paragrafi).

Nella prima parte viene spiegato, forse meglio dire raccontato, perché la Self Compassion è così rilevante nella nostra vita e nella nostra società. È la connessione con sé stessi e con gli altri che ci permette di sentire e di sentirci. La compassione comprende il riconoscimento della sofferenza e il desiderio di aiutare ad alleviare la sofferenza, in un’ottica in cui la condizione umana risulta imperfetta e fragile. Tutti commettiamo errori e sbagli. Il punto non è ovviamente cercare di farlo il meno possibile, ma aprirci al fatto che meritiamo compassione in quanto esseri umani imperfetti. Nessuno è escluso.

Come ricorda il Dalai Lama, tutti meritiamo la felicità.

In modo rapido, ma non per questo superficiale, vengono toccati molti temi fondanti della psicologia, sempre nell’ottica di dare il giusto valore al potere dell’essere gentili con sé stessi. Si toccano temi come l’attaccamento citando Bowlby, il criticismo genitoriale e ciò che comporta, il potere (negativo) dell’autogiudizio e il ruolo che rivestono l’ambiente e la cultura in questo. E la “via d’uscita”, come la chiama l’autrice, della Self Compassion da tutti gli autosabotaggi imposti.

Nella seconda parte si racconta più da vicino cosa effettivamente sia e di quali ingredienti venga composta: gentilezza verso sè, il riconoscimento della nostra connessione umana e la Mindfulness. La gentilezza verso se stessi richiede essere gentili e comprensivi nei nostri confronti, concetto che spesso fatichiamo ad agganciare, molto più semplice farlo con gli altri. Richiede di cogliere i fallimenti piuttosto che condannarci per questi. E trattarci come farebbe un amico piuttosto che incattivirci con noi stessi.

Ci sono esercizi lungo il percorso in cui il libro si snoda, esercizi per stimolare e apprendere queste capacità. L’esercizio di abbracciarsi, di scriverci una lettera come se fossimo una persona che ci vuole bene, esercizi volti a cambiare il self talk interno (il modo in cui ci parliamo), provando ad utilizzare una comunicazione più gentile ed equilibrata.

Un breve spazio è dedicato anche alla comune obiezione dietro la quale si riaprono i meccanismi di mantenimento dell’autocritica, come se questa fosse un modo per spronarci a essere migliori o che un eccesso di gentilezza sia accomunabile all’autoindulgenza. Credenze smentite con una densa mole di ricerca a sostegno del fatto che buttarci giù, oltre a farci stare peggio, non sortisce alcun effetto benefico alle nostre prestazioni, di qualsiasi natura (così come criticare aspramente un bambino non lo motivi di certo a farlo crescere).

Secondo elemento della consapevolezza dell’esperienza umana è ciò che viene chiamato “siamo tutti sulla stessa barca”. Riconoscere che siamo tutti connessi aiuta a distinguere la Self Compassion dall’amore per sé e dall’accettazione di se stessi (termini che non sono sinonimi). Sicuramente sono entrambi valori importanti, ma la Self Compassion abbraccia l’aspetto universale della connessione umana, implica il soffrire con, e quindi la reciprocità nonché la profonda comprensione che la natura umana è fallibile; si onora l’essere umano in virtù delle sue scelte sbagliate, che è naturale compiere. Sentirsi appartenenti a qualcosa (come ricordano le teorie Maslow e di Khout) è un bisogno fondamentale e questo senso di connessione tende a contrastare quello di sentirsi soli e isolati che, al contrario, genera malessere e psicopatologia.

La struggente storia personale dell’autrice racconta di suo figlio autistico e di tutte le problematiche connesse all’accettazione di una sofferenza tanto grande. E le parole profonde di come abbia trovato nella Self Compassion un’ancora di salvezza ad una profonda disperazione:

Il vero dono della Self Compassion era che mi dava l’equanimità necessaria per prendere provvedimenti che alla fine lo hanno aiutato (pag. 70)

Il terzo ingrediente è la Mindfulness che viene spiegata con precisione e delicatezza. La consapevolezza Mindful è alla base della possibilità della compassione. Imparare a non reagire per rispondere, imparare che l’evitamento del dolore è una strada, ma non l’unica, imparare che la sofferenza è data dalla moltiplicazione del Dolore x La resistenza ad esso, sono il terreno dove la Self Compassion può fiorire. Un capitolo denso, con molte indicazioni di pratiche da poter seguire (come negli altri, del resto) aiuta ad avvicinare concetti come la resilienza emotiva, l’intelligenza emotiva e tutti i benefici (con supporti di studi) che la combinazione di questi con la Self Compassion possono apportare.

Viene citato Paul Gilbert e il suo CMT (Compassion Mind Training) per aiutare le persone a capire quanto la sofferenza possa essere data dall’autocriticismo.

Un’ampia sezione è dedicata a differenziare l’autostima dalla Self Compassion, parte che, ricca di riscontri scientifici, demitizza il potere dell’alta autostima come passepartout per la felicità mostrando i suoi lati vulnerabili. Passaggi interessanti dove si comprende come il costrutto pluri studiato dell’autostima abbia a che vedere con il rispecchiamento nell’altro. o nella prestazione in qualche dominio, e come l’effetto di una società, dettata al potenziare l’autostima ad ogni costo, abbia restituito negli ultimi tempi un boom di diagnosi di narcisismo.

Negli USA, dove si sono prese molte misure educative per rendere i ragazzi più sicuri in sé stessi, eliminano i brutti voti, rendendo la ricerca del piacere la via da perseguire; una disamina sul Disturbo Narcisistico di Personalità è interessante sia da un punto di vista clinico che da quello di un non addetto ai lavori. Si sottolinea come si sia perso il potere del rapporto con noi stessi, in virtù dei giudizi che cercano di definire il nostro valore.

Gli ulteriori capitoli hanno a che vedere con la motivazione e come la Self Compassion non abbia nulla a che vedere con la pigrizia; quando motiviamo le persone che amiamo (tipo i figli) siamo solitamente gentili e compassionevoli piuttosto che duri a aspri. Per cui la Self Compassion risulta utile per affrontare la procrastinazione (e quindi l’evitamento dello spiacevole o la paura del fallimento), può aiutare ad avere un rapporto più sereno con il proprio corpo e il modo di mangiare, anche in riferimento all’incremento dei Disturbi dell’Alimentazione e il potere che il perdono e la compassione possano giocare nelle abbuffate.

Altre sezioni hanno a che vedere con la Self Compassion in relazione agli altri, con particolare attenzione alle persone che aiutano e quindi come possa costituire un fattore di protezione dal burnout delle professioni sanitarie. Un training basato sulla Compassion aiuta gli operatori a fronteggiare la “Compassion fatigue”.

Vengono inoltre approfondite le relazioni (e l’importanza) della Self Compassion nella genitorialità, nella coppia e nella sessualità di questa. Per quanto riguarda la parte relativa alla genitorialità, con un tocco dolce, l’autrice cerca di parlare a tutti i genitori che normalmente hanno esperienza di sentimenti di inadeguatezza, rabbia, frustrazione e colpa nel loro ruolo. Spiega come utilizzare la Compassion per sé e per i figli (quindi allenare già i propri ragazzi ad essere autocompassionevoli) possa migliorare enormemente la qualità dei rapporti, sia negli anni più precoci, sia nei difficili anni dell’adolescenza. Esistono programmi di Mindful Awareness Parenting volti a promuovere la sensibilità genitoriale aumentando empatia e la consapevolezza di stare con i propri figli.

Il libro chiude con un vero e proprio inno alla Psicologia Positiva e del potere di apprezzarsi, di pensare in modo positivo, delle emozioni gradevoli, del gioire delle belle esperienze come meccanismi che alimentano la positività stessa.

In conclusione è un testo che si legge tutto d’un fiato per una piacevole scorrevolezza, che manda un messaggio al quale ognuno di noi dovrebbe tendere l’orecchio.

Una parte presente, quella dell’autocriticismo, che troppo spesso non viene considerata, nella clinica come nella vita, come (così) importante fonte di malessere e psicopatologia e che, invece, può essere ribaltata e cambiata, attraverso l’allenamento ad una delle più universali emozioni come la Compassione.

 

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Elena Mannelli
Elena Mannelli

Psicologa Cognitivo-Comportamentale

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RIFERIMENTI BIBLIOGRAFICI
  • Neff, K. (2019). Self compassion: il potere dell’essere gentili con sé stessi. Franco Angeli
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