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Aiuta gli altri, aiuta te stesso: i benefici dell’essere compassionevoli

Mostrare compassione nelle relazioni con gli altri ha effetti sulla riduzione dei sintomi depressivi e sul livello di soddisfazione per la propria vita.

Di Guest

Pubblicato il 22 Gen. 2019

Una recente ricerca sull’imparare ad essere più compassionevoli dimostra che anche persone apparentemente sgradevoli e poco gentili possono beneficiare di percorsi formativi e psicoeducazionali che permettono loro di sviluppare compassione.

Adriano Mauro Ellena

 

“Nessun atto di gentilezza, non importa quanto piccolo, è mai sprecato”.
(Esopo)

 

Alcuni ricercatori dell’Università di York hanno coinvolto 640 persone con depressione lieve in un percorso online che aveva lo scopo di incrementare i loro comportamenti compassionevoli verso gli altri. Ai partecipanti allo studio, aventi un’età media intorno ai 35 anni, è stato chiesto di svolgere uno dei tre esercizi di “Compassion Intervention” online sviluppati dai ricercatori, completare il loro esercizio e, in un secondo momento, accedere nuovamente alla piattaforma per registrare ogni giorno per tre settimane i rapporti e le interazioni che avevano con altre persone.

Tra i tre esercizi, l’esercizio chiamato “Acts of Kindness” ha dato i maggiori benefici ai partecipanti allo studio: coloro che hanno compiuto atti di gentilezza nelle loro relazioni intime hanno infatti mostrato una riduzione dei sintomi depressivi e un incremento nel livello di soddisfazione della propria vita (tali dati sono stati valutati e misurati attraverso la somministrazione ai soggetti di questionari self report).

Insegnare la compassione e l’empatia

Punto di partenza degli autori di questa ricerca è stato che le persone che possono essere generalmente considerate come altamente sgradevoli spesso hanno un deficit nella capacità di empatia, sono ostili e non sanno collaborare bene con gli altri, con il risultato che possono essere ostracizzate o rifiutate. Dare a queste persone suggerimenti specifici, insegnando loro alcune strategie pratiche che possono mettere in atto ogni giorno per esprimere empatia verso le persone con cui sono in relazioni intime, può essere estremamente utile.

Il progetto è stato facile da implementare e, dal punto di vista dei partecipanti allo studio, rapido (10-15 minuti a giorni alterni) e facile da completare.

Tra i tre esercizi proposti, si è rivelato molto utile anche l’esercizio chiamato “Loving Kindness Meditation” pur non raggiungendo lo stesso livello dei miglioramenti nello stato di benessere dell’individuo ottenuti con l’esercizio “Acts of Kindness”.

Insomma tutti questi risultati sembrano suggerire che il cervello può essere allenato alla compassione.

Ricerche precedenti

Ricerche precedenti pubblicate su importanti riviste di settore avevano già indagato aspetti simili. In particolare, uno studio pubblicato su Psychological Science, un giornale dell’Association for Psychological Science, ha cercato di capire se la compassione potesse essere allenata e appresa negli adulti e se l’allenarsi ad avere una mentalità più compassionevole potesse indurre gli adulti ad essere più premurosi. I risultati ottenuti da questo studio sembravano essere piuttosto rassicuranti in questo senso.

Lo studio ha fatto uso di un’antica tecnica buddista chiamata “meditazione compassionevole”, in cui i partecipanti allo studio (giovani adulti) sono stati addestrati ad aumentare i sentimenti di apprensione per le persone che soffrono. Dopo l’allenamento, è stato chiesto loro di mostrare compassione per i propri cari (quelli per i quali si sarebbero facilmente sentiti compassionevoli), poi se stessi, uno sconosciuto e, infine, per una persona difficile, come un collega con cui avevano un conflitto.

Secondo i ricercatori questo “allenamento ponderato” in cui gli individui hanno attivamente sviluppato il loro “muscolo compassionevole” li ha aiutati a rispondere con desiderio alla possibilità di aiutare  a ridurre la sofferenza degli altri.

Ciò che i ricercatori hanno scoperto con questo ed altri esercizi progettati per misurare la compassione, è che la compassione non è qualcosa di rigido o fisso, ma tale capacità può essere migliorata attraverso l’allenamento e la pratica. Pertanto, si dovrebbe incominciare a pensare che il compassion training potrebbe essere impiegato nelle scuole per aiutare ad esempio a combattere fenomeni come il bullismo e potrebbe rivelarsi utile per coloro che hanno un comportamento antisociale. Inoltre, gli stessi ricercatori sarebbero entusiasti di vedere gli effetti del compassion training sulla popolazione generale, in termini di cambiamenti nello stile di vita.

L’addestramento per potenziare la “muscolatura della compassione“ è disponibile presso il sito web di University of Wisconsin-Madison’s Center for Healthy Minds.

Ed ancora, ulteriori ricerche pubblicate su Frontiers in Psychology suggeriscono che l’allenamento alla meditazione e alla compassione possono aiutare anche a ridurre le reazioni neurali avverse alla sofferenza, mentre aumenta l’attenzione visiva alla sofferenza. Ciò può avere benefici prosociali, come nel caso di un medico che si prende cura di un paziente o che permette alle persone di rimanere calme in caso di sofferenza e più disposte a prestare aiuto.

Quello che gli autori di queste ricerche e noi stessi ci auguriamo è che ricerche future possano coinvolgere campioni di studio di dimensioni sempre maggiori così da poter studiare gli effetti delle strategie di compassion training e al contempo promuovere una diffusione della compassione e della gentilezza.

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