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Condivisione o isolamento? Il fenomeno del phubbing – Psicologia Digitale

Col termine phubbing si indica il fenomeno dell'ignorare gli altri durante interazioni sociali per dedicarsi invece al proprio smartphone

Di Chiara Cilardo

Pubblicato il 02 Set. 2019

Aggiornato il 11 Nov. 2020 14:13

Il phubbing, ovvero ignorare gli altri durante interazioni sociali per dedicarsi invece al proprio smartphone, anche se considerato un comportamento normativo, ha un impatto su qualità della comunicazione e porta a sentimenti di isolamento ed esclusione.

PSICOLOGIA DIGITALE – (Nr. 1) Condivisione o isolamento? Il fenomeno del phubbing
 

 

Quante volte ci è capitato di essere a cena fuori con gli amici o col partner e dare un occhio allo smartphone? Magari perché no, anche guardare gli ultimi post pubblicati dai nostri contatti su Facebook o Instagram, rispondere alle chat di Whatsapp, controllare la mail. E quante volte ci siamo accorti che facendolo ci siamo assentati dalla situazione e dalla conversazione, ignorando i nostri interlocutori presenti lì accanto a noi?
 E’ questo il phubbing, termine che unisce le parole “phone” e “snubbing” e che descrive l’atto di snobbare qualcuno in un ambiente sociale: viene preferito l’uso dello smartphone all’interazione sociale con la persona o le persone presenti (Karadağ et al., 2015).

Il phubber è colui che snobba gli altri, mentre il phubbee è colui che ne subisce le conseguenze vedendosi ignorato. Per alcuni può essere così irritante che dal 2013 è online la campagna Stop Phubbing nata per prendere in giro i ‘maniaci del telefonino’ e non solo, infatti sul sito è possibile rispondere ad alcune domande e prendere parte a dei sondaggi oltre a poter scaricare brochure e volantini ironici sul tema.

Da cosa deriva il phubbing e le sue conseguenze

Due Autori, Chotpitayasunondh e Douglas, si sono occupati estensivamente del tema, analizzandolo sotto diverse prospettive e realizzando i primi strumenti per indagarne l’impatto: la Generic Scale of Phubbing (GSP) che esamina il phubbing su quattro fattori (nomofobia, conflitto interpersonale, autoisolamento e riconoscimento dei problemi) e la Generic Scale of Being Phubbed (GSBP) che valuta l’esperienza di essere phubbed su tre fattori (norme percepite, sentirsi ignorati e conflitto interpersonale).

Ignorare gli altri ci porta nel migliore dei casi ad essere distratti ma anche a volte all’isolamento vero e proprio.
 Chotpitayasunondh e Douglas (2018) hanno investigato il tema per comprendere meglio gli effetti del phubbing sugli esiti dell’interazione sociale. La loro ricerca conferma che l’esperienza di phubbing ha un impatto negativo e abbassa il tono dell’umore riducendo la qualità della comunicazione e del rapporto perché va a intaccare gli stessi bisogni che vengono minacciati quando le persone si sentono socialmente escluse: bisogno di appartenenza, di autostima, di attribuzione di significato e controllo, portando a un vissuto di ostracismo e isolamento.

Secondo gli Autori alla base del phubbing c’è la dipendenza da smartphone che a sua volta ha come fattori determinanti l’internet addiction, la cosidetta FOMO (fear of missing out, la paura e l’ansia di esser tagliati fuori, di perdersi qualcosa di interessante sui social o in generale online, accompagnata al pensiero che gli altri stiano facendo qualcosa di più interessante di quello che stiamo facendo noi) e la mancanza di autocontrollo, componente chiave nelle dipendenze. Anche secondo Karadağ e colleghi (2015), dipendenza e uso eccessivo di smartphone (incluso l’utilizzo di messaggi, social network e app di giochi) e in generale internet addiction portano al phubbing, che gli autori definiscono un vero e proprio disturbo trasversale a molte dipendenze.

Phubbing, un comportamento normativo

Siamo tutti sempre, perennemente agganciati al nostro smartphone. Fa parte della nostra vita quotidiana, un accessorio ed uno strumento di cui non possiamo più fare a meno. Se ci guardiamo intorno ad una festa o una serata tra amici non faremo fatica a scorgere ben più di una persona china sul telefono e probabilmente non ci sembrerà per nulla strano; il phubbing è quindi un comportamento che consideriamo ormai comune e abituale?

Secondo Chotpitayasunondh e Douglas (2016) sono falso consenso, reciprocità e frequenza che rendono il phubbing un comportamento percepito come normativo e non dannoso. Infatti, può accadere che gli individui sovrastimino la diffusione di idee o comportamenti percependo quindi un consenso molto più ampio del reale; a questo si aggiunge che chi subisce il phubbing a sua volta lo attua passando spesso e fluidamente dall’essere protagonista all’essere destinatario di questo comportamento in un circuito che si autoalimenta: il phubber diventa phubbee e viceversa, incrementando la frequenza e la reciprocità del comportamento e ampliando l’effetto del falso consenso, in un circolo vizioso.

Che sia normativo o no, l’esperienza di sentirsi invisibili ed esclusi dall’interazione sociale porta a vissuti di depressione, ansia, rabbia, solitudine determinando di fatto esclusione e impoverimento delle risorse dell’individuo; il phubbing è una nuova modalità di isolamento sociale e come tale non ne vanno trascurate le possibili conseguenze negative.

 


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RIFERIMENTI BIBLIOGRAFICI
  • Chotpitayasunondh, V. & Douglas K.M. (2016). How “phubbing” becomes the norm: The antecedents and consequences of snubbing via smartphone. Computers in Human Behavior, Vol. 63, October 2016, Pages 9-18.
  • Chotpitayasunondh, V. & Douglas K.M. (2018). The effects of “phubbing” on social interaction. Journal of Applied Social Psychology, Vol. 48, June 2018, Issues 6.
  • Chotpitayasunondh, V. & Douglas K.M. (2018). Measuring phone snubbing behavior: Development and validation of the Generic Scale of Phubbing (GSP) and the Generic Scale of Being Phubbed (GSBP). Computers in Human Behavior, Vol. 88, November 2018, Pages 5-17.
  • Karadağ, E., Betül Tosuntaş, S. B., Erzen, E., Duru P., Bostan, N., Şahi̇n, B. M., Çulha, I., Babadağ, B. (2015) Determinants of phubbing, which is the sum of many virtual addictions: A structural equation model. Journal of Behavioral Addictions 4(2), pp. 60–74
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