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Angry player one: i videogiochi violenti rendono veramente aggressivi?

Numerosi studi smentiscono i pregiudizi per cui i videogames violenti renderebbero violento chi vi gioca. I videogiochi, invece, farebbero anche bene..

Di Leonardo Boni, Sara Boscaglia

Pubblicato il 26 Ago. 2019

Nel mondo si stimano 2,3 miliardi di videogiocatori. Lo scopo dell’articolo è quello di fare luce sulla credenza secondo cui i videogiochi violenti possono davvero rendere aggressivo chi ne usufruisce

 

Dal 1975, anno in cui nacque il primo videogioco, questi dispositivi di intrattenimento sono diventati sempre più comuni nelle case dei cittadini di tutto il mondo, evolvendosi di pari passo con il progresso tecnologico e differenziandosi molto dalle loro prime versioni. Non è cambiato soltanto il loro aspetto tecnico ma anche quello ludico: se infatti inizialmente i ragazzi si trovavano nelle sale giochi, che diventavano così anche un luogo di ritrovo, con l’avvento di internet si è passati ad un tipo di gioco più cooperativo ma isolato. Paradossalmente oggi si è in costante contatto con milioni di altri giocatori ma ognuno è da solo nella propria casa.

I videogiochi fanno male? Due teorie a confronto

Oggi quasi un terzo della popolazione mondiale videogioca; data l’ingente diffusione dei videogames molti autori si sono interrogati sugli effetti, positivi o negativi, che essi possono avere sui giocatori. Nonostante alcuni studi abbiano sottolineato una loro valenza positiva, il senso comune si è concentrato maggiormente sulle evidenze negative, alimentando sempre di più lo stereotipo che “i videogiochi fanno male”. Queste preoccupazioni sono sostenute principalmente dal fatto che molti videogiochi presentano elementi violenti, tali da far pensare che possano causare un aumento dell’aggressività in chi ne usufruisce (Griffiths, 1999).

Tra gli studi che confermano la credenza che i videogiochi aggressivi favoriscano l’aumento dell’aggressività vi è quello di Hollingdale e Greitemeyer (2014). Gli autori esaminano gli effetti dell’esperienza di gioco, comprendente la percezione della difficoltà e il divertimento, sui livelli del comportamento aggressivo. Dal loro lavoro è emerso che il giocare ai videogames violenti aumenta maggiormente i livelli di aggressività se paragonato all’utilizzo di videogiochi a contenuto neutro; questo effetto tuttavia non risulta essere significativo se il gioco avviene online. Anche Anderson e Carnagey in uno studio precedente del 2009 sono giunti agli stessi risultati spiegandoli mediante due ipotesi in contrapposizione: l’ipotesi del contenuto violento e l’ipotesi della competizione. L‘ipotesi del contenuto violento prevede che, nel breve tempo, i videogiochi violenti incrementino l’aggressività a causa del contenuto violento che aumenta almeno uno degli aspetti legati allo stato interno di una persona (cognizioni correnti, stato affettivo ed eccitazione fisiologica) mentre a lungo termine è possibile che aumenti l’accessibilità cronica alle strutture di conoscenza correlate all’aggressività. L’ipotesi della competizione invece sostiene che siano le situazioni competitive a stimolare l’aggressività; secondo questa ipotesi i collegamenti tra giochi violenti e aggressività non sarebbero dovuti al contenuto violento, ma al fatto che tali videogiochi coinvolgono tipicamente la competitività, mentre i videogiochi non violenti risultano spesso non competitivi. L’aspetto competitivo dei videogames violenti dunque potrebbe incrementare l’aggressività aumentando l’arousal, i pensieri o i sentimenti aggressivi; una versione forte dell’ipotesi della competizione afferma che il contenuto violento non ha alcun impatto e viene chiamata dagli autori ipotesi della sola competizione.

E se i videogiochi non facessero male?

Adachi e Willoughby (2011a) criticano la letteratura del passato affermando che la maggior parte degli studi non ha tentato di scovare altre dimensioni o effetti dannosi dei videogiochi che potrebbero essere correlati all’aumento dell’aggressività nei giocatori.

Per questo motivo Adachi e Willoughby (2011a) propongono un punto di vista nuovo sulla questione: i due autori identificano quattro caratteristiche del videogioco: la violenza, la competitività, la difficoltà e il ritmo d’azione. Queste caratteristiche influenzerebbero in modo diretto alcuni stati interni del giocatore come l’eccitazione fisiologica, i pensieri aggressivi e la frustrazione, che sono in relazione tra di loro; infine è la relazione tra le caratteristiche dei videogiochi e gli stati interni interni del giocatore che determina il comportamento aggressivo.  Questi risultati tuttavia non risultano universalmente veri: le quattro caratteristiche principali dei videogiochi identificate dagli autori, non influenzano la totalità dei videogiocatori bensì soltanto quelli che ne sono suscettibili. Stimoli come la competitività, la violenza o qualsiasi altro input proveniente dall’esterno viene infatti elaborato e filtrato dalla nostra mente, avendo su ognuno di noi un effetto diverso. La competitività del videogioco, ad esempio, può influenzare i pensieri aggressivi attivando legami associativi sviluppati in pregresse situazioni competitive che hanno prodotto esiti aggressivi (Anderson & Morrow, 1995; Anderson & Carnagey, 2009).

In un altro esperimento (2011b) Adachi e Willoughby hanno osservato che la competitività dei videogiochi incrementava il comportamento aggressivo a breve termine indipendentemente dal livello di contenuto violento: i due videogames più competitivi utilizzati in questo studio, Mortal Kombat VS D.C. Universe (violento) e Fuel (non violento), hanno infatti prodotto i più alti livelli di comportamento aggressivo. Gli autori (2011b) hanno infine dimostrato che l’eccitazione fisiologica può essere un meccanismo attraverso il quale la competitività del videogioco influenza il comportamento aggressivo, poiché solo Mortal Kombat VS D.C. Universe e Fuel hanno prodotto aumenti della frequenza cardiaca rispetto alla linea di base; sembra dunque che la competizione, non la violenza, possa essere la caratteristica che ha la maggiore influenza sul comportamento aggressivo.

Riassumendo i risultati di questo studio, gli autori hanno dimostrato che la violenza nei videogiochi non era sufficiente ad incrementare il comportamento aggressivo e che i videogiochi più competitivi producevano livelli più elevati di comportamento aggressivo indipendentemente dalla quantità di violenza.

I videogiochi possono fare bene?

I falsi miti sulla nocività dei videogiochi sembrano dunque essere stati messi in discussione; ma esistono dei benefici nell’utilizzo dei videogames?

I benefici intellettuali scaturiti dall’utilizzo dei videogiochi potrebbero derivare dalla loro caratteristica primaria di far prendere decisioni ai giocatori; molto più dei libri, dei film o della musica, i videogames obbligano a compiere delle scelte. É vero che dall’esterno l’attività di un videogiocatore sembra essere solo una furiosa ripetizione di click e questo spiega il perché del giudizio negativo riservato all’uso dei videogiochi, ma se si osserva attentamente l’interno della mente del giocatore ci si rende conto che l’attività primaria è di tutt’altro genere: è quella di prendere decisioni e di scegliere strategie a lungo termine. Giocare predispone all’apprendimento e l’essere preparati all’apprendere è già di per sé un esercizio mentale. Ad oggi sono ormai piuttosto diffusi anche gli edugame, giochi per il training che vengono utilizzati in svariati ambiti, dall’università, alle aziende, al settore militare; i computer e i programmi ad essi associati inoltre si comportano da tramite per la comprensione, da parte degli studenti, del loro mondo e di ciò che li circonda. Secondo varie ricerche (Griffiths, 2002; Desai et al., 2010) i bambini possono sviluppare abilità logiche e percettivo-motorie utilizzando i videogames e apprendendo le materie scolastiche divertendosi; inoltre l’apprendimento ludico è motivante per il bambino e stimola il piacere di costruire la conoscenza in gruppo. In questo modo imparare divertendosi diventerebbe il metodo più semplice per raggiungere gli obiettivi prefissati.

Dalla letteratura recente (Griffiths, 2002; Granic, Lobel, & Engels, 2014) è emerso che l’utilizzo dei videogiochi può incrementare le competenze linguistiche, matematiche, di lettura e sociali; essi risultano inoltre un valido strumento di sostegno all’apprendimento per i bambini con disabilità e con difficoltà attentive e impulsività. I videogiochi sono stati infine utilizzati per migliorare le capacità di prendersi cura di sé in bambini e adolescenti con patologie mediche.

In conclusione, se inizialmente i luoghi comuni identificavano i videogames solo come un qualcosa di dannoso e pericoloso per i giocatori, la letteratura scientifica attuale non solo ha messo in discussione queste credenze ma ha anche dimostrato un valore positivo dei videogiochi nello sviluppo di competenze psicologiche e educative. Quindi non fatevi ingannare dai falsi miti: giocare per credere!

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RIFERIMENTI BIBLIOGRAFICI
  • Adachi, P. J., & Willoughby, T. (2011a). The effect of violent video games on aggression: Is it more than just the violence?. Aggression and violentbehavior, 16(1), 55-62.
  • Adachi, P. J., & Willoughby, T. (2011b). The effect of video game competition and violence on aggressive behavior: Which characteristic has the greatest influence?. Psychology of violence, 1(4), 259.
  • Anderson, C. A., &Carnagey, N. L. (2009). Causal effects of violent sports video games on aggression: Is it competitiveness or violent content?. Journal of Experimental Social Psychology, 45(4), 731-739.
  • Griffiths, M. (1999). Violent video games and aggression: A review of the literature. Aggression and violentbehavior, 4(2), 203-212
  • Griffiths, M. D. (2002). The educational benefits of videogames. Education and health, 20(3), 47-51.
  • Hollingdale, J., & Greitemeyer, T. (2014). The effect of online violent video games on levels of aggression. PLoSone, 9(11), e111790.
  • Desai, R. A., Krishnan-Sarin, S., Cavallo, D., & Potenza, M. N. (2010). Video game playing in high school students: health correlates, gender differences and problematic gaming. Pediatrics, 126(6), e1414.
  • Granic, I., Lobel, A., & Engels, R. C. (2014). The benefits of playing video games. American psychologist, 69(1), 66.
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