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Gli stati di coping nel disco “Three Friends” dei Gentle Giant

Gli stati di coping sono condizioni mentali automatizzate che i soggetti mettono in atto per gestire gli stati dolorosi reali, temuti o percepiti.

Di Vito lupo

Pubblicato il 03 Giu. 2019

Mentre le strategie di coping sono tutto ciò che il soggetto fa nel pratico per gestire un dolore interno, gli stati di coping sono delle disposizioni mentali storicizzate, degli assetti interni consolidati in cui il soggetto si muove, che servono per proteggersi o evitare di sperimentare gli stati somatici o le immagini di sé negative che in certi momenti possono emergere e causare sofferenza intensa e inaccettabile.

 

Si suggerisce l’ascolto dell’album “Three Friends” (Gentle Giant, 1972) durante la lettura.

In questo articolo parlerò degli stati mentali secondo la Terapia Metacognitiva Interpersonale (TMI) prendendo come spunto un disco dei Gentle Giant. Particolare attenzione sarà dedicata agli stati mentali di coping. Gli stati di coping rappresentano tutto ciò che il soggetto fa per proteggersi da stati interni dolorosi e temuti (Dimaggio, Montano, Popolo, Salvatore, 2013) o per evitare esperienze che possono causare sofferenza. Quando diventano rigidi e ripetitivi, possono portare alla patologia (Dimaggio, Popolo, Ottavi, Salvatore, 2019).

I Gentle Giant

I Gentle Giant sono stati una band inglese di rock progressivo, attiva dal 1970 al 1980. Hanno inciso 12 album. La loro musica è molto particolare: grande virtuosismo tecnico ma con costante attenzione alla melodia, tempi ritmici pluricomposti combinati a incursioni barocche, contrappunto e tempi fugati, sonorità rinascimentali, musica classica, folk, jazz e hard rock sanguigno. Tutti eccellenti pluristrumentisti, si scambiavano e suonavano vari strumenti con eguale maestria. Qualcuno all’epoca definì la loro musica: “Baroque ‘n’ Roll”.

Nonostante la grande fama negli anni ’70 (In Italia e negli USA in particolare, facevano sempre il tutto esaurito ai loro concerti) dopo lo scioglimento, avvenuto nel 1980, sono scivolati lentamente nel dimenticatoio, questo per vari motivi. Il primo è che non hanno mai avuto un singolo di successo (i loro dischi si dovevano ascoltare e apprezzare nella loro interezza), poi perché a differenza di tante altre band dell’epoca, non hanno mai fatto parlare di sé per atteggiamenti trasgressivi o eccessi da rock star. Non facevano poi un genere molto commerciale. Il motivo principale però, sta nel fatto che dopo il loro scioglimento, non ci sono mai state reunion e nessuno dei singoli membri ha continuato a fare musica a livello professionale. Quindi a differenza di altre band di successo degli anni ’70 che hanno continuato tra alti e bassi anche nei decenni successivi a fare musica (Pink Floyd, Yes, Queen, Deep Purple, Jetro Tull, ecc.), che si sono sciolte e poi riformate varie volte nel corso degli decenni (PFM, King Crimson, Van Der Graaf Generator, Emerson Lake and Palmer, ecc) o i cui singoli membri hanno continuato a fare musica spesso diventando delle celebrità (esempi lampanti sono Phil Collins e Peter Gabriel dei Genesis ma anche Sting dei Police), nel caso dei Gentle Giant non è avvenuto nulla di tutto questo. Con grande coerenza si sono sciolti nel 1980 di comune accordo e mai più si sono riformati, nonostante a tutt’oggi, siano ancora tutti vivi e stiano abbastanza bene.

Il disco “Three Friends” e la storia dei tre amici

Nel 1972 i Gentle Giant realizzarono il loro terzo disco e lo chiamarono “Three Friends”. È uno dei dischi più riusciti della band e più amati dai fans. È un concept album che racconta la storia di tre amici dall’età della scuola elementare alla maturità adulta (per concept album si intende quando tutte le canzoni di un disco sono legate tra loro e, come capitoli di un libro, trattano un unico argomento o raccontano una lunga storia. Esempi sono: “Tommy” degli WHO, “The Lamb Lies Down on Broadway” dei Genesis, “Felona e Sorona” de Le Orme, “Darwin” del Banco del Mutuo Soccorso, “YS” del Balletto di Bronzo o il più famoso “The Wall” dei Pink Floyd).

Il disco si apre con il brano “Prologue” che, come l’abstract di un articolo scientifico, preannuncia cosa succede nel disco. Il testo racconta di come dopo anni passati assieme tra lacrime e risate (“Three friends are made, three lives are laughs and tears”), questi bambini, da un giorno all’altro diventano adulti, il futuro arriva all’improvviso (“As time stands still the days change into years, and future comes without a care”) e non lascia scampo. Dopo decenni di separazione i tre amici si rincontrano e si raccontano le loro vite, quasi per spiegarsi, scusarsi o giustificarsi l’uno con l’altro (“Three boys are men their ways have drawn apart, they tell their tales to justify”). Il secondo brano, “Schooldays”, è una ballata delicatissima ed eterea, la musica evoca in modo sublime l’atmosfera celestiale e impalpabile dell’infanzia, dove il tempo e lo spazio sembrano coesistere e non esistere, un giorno è un anno e viceversa, le sensazioni sono intense e perduranti. La canzone racconta gli anni spensierati e felici trascorsi assieme. Il legame solido, morboso, quasi patologico dei tre amici ma anche la rottura drammatica e improvvisa della loro amicizia (“We made vows, they’re gone now, we made friends, we broke friends, no more friends”). Dopo questi due brani introduttivi si entra nel vivo della storia, le canzoni successive raccontano le vite dei tre protagonisti e degli specifici stati di coping da loro messi in atto nel corso della loro vita. Prima però, al fine di aiutare la comprensione, una breve esposizione degli stati mentali ricorrenti secondo la TMI.

Gli stati mentali secondo la TMI

I soggetti con disturbi o tratti rigidi di personalità possono oscillare costantemente tra varie forme di esperienze soggettive interne, stati mentali ricorrenti caratterizzati da pensieri, credenze, emozioni, attivazioni somatiche, idee, comportamenti o atteggiamenti rigidi, stereotipati e spesso non consapevoli (Dimaggio, Montano, Popolo, Salvatore, 2013; Dimaggio, Popolo, Ottavi, Salvatore, 2019). Gli autori ne distinguono tre tipologie.

Gli stati dolorosi o temuti sono quelli che si possono presentare sotto forma di emozioni negative, risposte corporee di vario tipo (iperarousal o ipoarausal, sintomi fisici, d’ansia, depressivi, ecc) credenze e immagini negative di sé molto radicate e rigide. Ovviamente, dato che sono carichi di sofferenza, il soggetto fa di tutto per proteggersi ed evitarli (Dimaggio, Montano, Popolo, Salvatore, 2013). Alcuni esempi possono essere il senso di indegnità, il sentirsi invisibili o inesistenti, non amabili, inadeguati o senza valore, colpevoli, cattivi o egoisti, soli o abbandonati, vulnerabili o in pericolo. Spesso quello che il soggetto fa per fronteggiarli è disfunzionale e peggiorativo (Dimaggio, Popolo, Ottavi, Salvatore, 2019). Si tratta quindi di stati dolorosi che si possono riattivare in specifiche situazioni interpersonali (un litigio o un’incomprensione con un caro, una situazione sociale spiacevole, ecc.) o essere ininterrottamente presenti nella mente delle persone. Possono presentarsi sia sotto forma di idee, cognizioni su di sé che sotto forma di sensazioni fisiche, viscerali, somatiche ed emotive (Dimaggio, Popolo, Ottavi, Salvatore, 2019). Spesso sono originati da esperienze relazionali precoci dolorose, traumi o altre relazioni interpersonali negative ripetute e continuative.

Gli stati di coping invece sono delle condizioni mentali, automatizzate, procedurali oppure consapevoli che i soggetti mettono in atto nel corso dell’intera vita o davanti a situazioni specifiche per proteggersi o gestire gli stati dolorosi reali, temuti o anche solamente percepiti. Gli stati di coping servono per proteggersi o evitare di sperimentare gli stati somatici o le immagini di sé negative che in certi momenti possono emergere e causare sofferenza intensa e inaccettabile. Quindi, mentre le classiche strategie di coping sono tutto ciò che il soggetto fa nel pratico per gestire un dolore interno (abbuffarsi, ubriacarsi, sesso compulsivo, attività fisica esagerata, pensieri perseverativi, ricerca di rassicurazioni, ecc), gli stati di coping, come dice stesso la parola, sono degli stati stabili, delle disposizioni mentali storicizzate, degli assetti interni consolidati in cui il soggetto si muove, uno specifico adattamento messo in atto quando sta per arrivare il dolore. Ad esempio, mi sento solo e abbandonato (stato mentale doloroso), vado in uno stato di coping di stordimento o di vuoto devitalizzato in cui mi abbuffo per stare meglio (strategia di coping). Oppure, altro esempio, il mio capo mi dà un compito nuovo, mi percepisco incapace e di poco valore (stato mentale doloroso), comincio a ruminare sul compito e cado in uno stato mentale di coping di workaholism e perfezionismo che mi spinge a svolgere straordinari, lavorare anche nei festivi e a pensare e ripensare alla riuscita del compito (strategia di coping).

Terzo gruppo, gli stati egosintonici ricercati, sono il risultato adattivo degli stati di coping e delle strategie. Rappresentano come vogliamo sentirci e percepirci. È quello che il soggetto ricerca per definire la sua identità e sperimentare stati mentali positivi (Dimaggio, Montano, Popolo, Salvatore, 2013). Diventano nel corso del tempo dei valori, degli ideali da perseguire e mantenere (Dimaggio, Popolo, Ottavi, Salvatore, 2019). Esempi possono essere il vedersi migliori degli altri (da un punto di vista morale, sessuale, economico, intellettivo, fisico, ecc), oppure percepirsi destinati a grandi cose o in diritto di accedere a posti di potere, di meritare sempre di divertirsi, provare piacere o gratificazione a ogni costo, ecc. Vediamo ora come si declinano gli stati mentali, con particolare attenzione a quelli di coping nelle storie dei nostri tre personaggi.

Tre vite, tre coping

Il terzo brano del disco, “Working all day”, racconta la storia del primo dei tre amici. Si tratta di un operaio intrappolato nel suo ruolo. La sua vita è ripetitiva e monotona, 30 anni è come se fossero 5. La musica evoca in modo perfetto questa tediosità quotidiana nonché il clima monotono da catena di montaggio tipico del lavoro operaio. È deluso, rassegnato e oppresso ma con la rabbia interna di chi ha subito un’ingiustizia o non può ribellarsi per cambiare le cose. Il protagonista aveva speranze di successo da giovane, ma ostacolato e scoraggiato dal padre, ha dovuto rinunciare ai suoi obiettivi (“When I was young I used to have illusions, dreams ain’t enough, papa was rough, he didn’t care for learning, hell life is tough”). Queste rinunce hanno prodotto tanta rabbia, amarezza e senso di ingiustizia. Lo schema interpersonale secondo la TMI (Dimaggio, Popolo, Ottavi, Salvatore, 2019) potrebbe essere allora il seguente: “Sono capace ma non supportato, quindi bloccato, desidero autonomia, sostegno, apprezzamento ma se manifesto a mio padre (e ora a me stesso) i miei desideri lui potrebbe giudicare, scoraggiare, avere un atteggiamento pessimistico, colpevolizzare. Questo mi provoca tanta tristezza, senso di colpa e senso di oppressione”. Per non scivolare in uno stato mentale doloroso di indegnità, non amabilità o di colpa persistente, sviluppo come stato di coping rabbia autoprotettiva, disillusione, diffidenza e sottomissione rabbiosa rassegnata. Lo stato mentale egosintonico in questo caso è la superiorità morale, il disprezzo verso gli illusi, gli idealisti che credono nell’uguaglianza (“Easy to say that everybody’s equal then look around and see it ain’t true”) o verso il proprio capo e la vita stessa (“I eat the dust, the boss gets all the money, life ain’t just”). È più facile e meno doloroso per l’immagine di sé colpevolizzare gli altri e il destino che se stesso o il padre.

Il brano successivo, “Peel the paint” racconta la storia del secondo amico. Lui è diventato un pittore e vive isolato dal mondo, distaccato, chiuso tra le sue quattro mura a dipingere ma sostanzialmente infelice. Utilizza l’arte per modulare le emozioni, sia quelle positive che quelle negative, non si lascia andare ad esse, tutto è fermo, il tempo e lo spazio sono cristallizzati sulla tela e nel silenzio solitario (“Finding the pleasure and the pain in his art, lost in the hush, no need to rush, time waits for him”). L’atmosfera musicale del brano all’inizio è rarefatta, incorporea, impalpabile e sussurrata, proprio come l’animo dell’artista. Si comprende però che nemmeno l’arte basta a soddisfare il bisogno di risposte, a calmare le preoccupazioni, a sanare la sofferenza dei sogni infranti. Infatti ad un certo punto la musica cambia, diventa selvaggia, rock duro, il testo del brano dice la verità e mette in guardia il protagonista, sotto la “pittura” c’è la ancora la vecchia bestia (“You peel the paint, look underneath, you’ll see the same, the same old savage beast”). Tutto questo tentativo di proteggersi non è servito a nulla e il rischio di sprofondare è sempre in agguato (“Nothing’s been learned, no nothing at all, you don’t be fooled, get up before you fall”). Ci troviamo qui davanti a degli stati di coping di evitamento/isolamento protettivo e di vuoto devitalizzato (Dimaggio, Montano, Popolo, Salvatore, 2013). Al fine di proteggersi dal mondo esterno e dagli altri, percepiti in qualche modo come malevoli o non rispondenti ai suoi bisogni di cura, apprezzamento, sicurezza, appartenenza o altro, il protagonista: “Sente il bisogno di isolarsi fisicamente e mentalmente con il fine di far cessare la sofferenza relazionale. Il paziente sperimenta paura e vergogna quando si allontana mentre prova transitoriamente sicurezza e riduzione dell’ansia quando evita la relazione” (Dimaggio, Montano, Popolo, Salvatore, 2013, pag. 32) nella sua tana nascosta si sente al sicuro (Procacci, Popolo, Marsigli, 2011). Il dolore di questo personaggio è “sordo”, vive una sorta di anestesia esistenziale, è lontano dalle emozioni, lontano dalla vita e lontano dagli altri. Non comprende le intenzioni degli altri, non capisce se l’altro è disponibile o meno, se una battuta scherzosa di un amico è ironica o malevole, allora abbandona la partita e si isola perché non comprende le regole del gioco, “disaderisce” dagli altri (Salvatore, Dimaggio, Ottavi, Popolo, 2017) e si rinchiude nel suo mondo solitario di colori, tele, quadri e pennelli.

L’ultimo personaggio è un uomo di successo, il classico “colletto bianco”. La canzone si intitola: “Mister Class And Quality?”. È diventato un uomo ricco, arrogante, presuntuoso (“See the prizes I have showing”), manipolatore (“Choose my friends for my own ends”), borioso e vanaglorioso (“The world needs steady men like me to give and take the orders”), insensibile e disprezzante anche verso gli stessi suoi amici protagonisti di questa storia (“Never understood the artist or the lazy workers”). Il suo è un successo pianificato, studiato a tavolino (“Working hard to build my life and plan the way I’m going”), ha ottenuto il massimo dalla vita grazie alla sua astuzia (“House and car and pretty wife, they’ve all been won by knowing”). La musica del brano è molto dinamica, con ritmo veloce, lineare e sostenuto, rispecchia in pieno la determinazione altezzosa del personaggio. Lo schema interpersonale è chiaro, il soggetto è minacciato dall’idea di essere una nullità o di apparire piccolo e insignificante, il desiderio invece è quello di essere visto e apprezzato, in modo da essere riconosciuto nella propria identità. La paura che gli altri possano invalidarlo, disprezzarlo, non essere interessati a lui gli genera angoscia, senso di fallimento, umiliazione. Allo scopo di evitare questi stati dolorosi, il soggetto sviluppa un coping basato sul perfezionismo e sul workaholism, tutto va fatto nel migliore dei modi e ogni fine giustifica i mezzi, tutto è concesso al fine di raggiungere il proprio traguardo. Le uniche emozioni espresse sono la rabbia e il disprezzo (per proteggersi dall’angoscia del vuoto, dalla vergogna o dal senso di colpa), non c’è empatia, non c’è coinvolgimento affettivo o amoroso, l’altro deve stare a distanza o peggio ancora, essere manipolato a proprio piacimento e per i propri scopi (Dimaggio, 2016). Gli stati egosintonici desiderati sono la grandiosità, il consolidamento del potere, la superiorità da ogni punto di vista e un edonismo individuale materialistico e strumentale. Nonostante il successo, le donne e i soldi, come gli altri due amici, anche lui è solo.

Non bastano la rassegnazione rabbiosa dell’operaio, l’isolamento protettivo dell’artista e neanche i successi di Mister Class, erano bambini uniti e felici, adesso sono uomini soli e spenti. Nell’ultimo brano, quello che dà il titolo all’album: “Three friends”, avviene, almeno per una sera, il miracolo. La musica è avvolgente, corale, c’è un atmosfera drammatica ma calda e accogliente. I tre amici si rivedono dopo anni ed è un incontro dolce nella sua tristezza (“Sweet in sadness”). Tuttavia la gioia di rivedersi è tanta da andare oltre il passare del tempo e le differenze di classe (“In the end, full of gladness, went from class to class”). Lo stare assieme, di nuovo uniti, complici, vicini, permette loro di ritrovare quell’armonia, quella sintonizzazione reciproca, forse mai più sperimentata dai tempi dell’infanzia. Possono finalmente, essere se stessi, senza sovrastrutture, senza maschere, senza corazze protettive. Possono abbassare le difese, lasciare le strategie di coping, uscire dagli stati mentali in cui da decenni sono intrappolati e ritrovare almeno per una sera una sincera autenticità e vicinanza affettiva.

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RIFERIMENTI BIBLIOGRAFICI
  • Dimaggio, G. (2016). L’illusione del narcisista. Baldini & Castoldi Editore.
  • Dimaggio, G., Montano, A., Popolo, R., Salvatore, G. (2013). Terapia Metacognitiva Interpersonale dei Disturbi di Personalità. Milano: Raffaello Cortina.
  • Dimaggio, G., Ottavi, P., Popolo, R., Salvatore, G. (2019). Corpo, immaginazione e cambiamento. Terapia metacognitiva interpersonale. Milano: Raffaello Cortina.
  • Procacci, M., Popolo, R., Marsigli, N. (2011). Ansia e ritiro sociale. Valutazione e trattamento. Milano: Raffaello Cortina.
  • Salvatore, G., Dimaggio, G., Ottavi, P., Popolo, R. (2017). Terapia metacognitiva interpersonale della schizofrenia. La procedura formalizzata di intervento. Milano: Franco Angeli Editore.
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