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L’influenza dei processi di memoria nella formazione dell’immagine corporea

Alla base delle condotte patologiche dei soggetti con disturbi alimentari ci sono immagini corporee disfunzionali consolidatesi nel tempo in memoria.

Di Stefania Gioia

Pubblicato il 25 Giu. 2019

Al terapeuta si apre una nuova strada nel lavoro sull’ immagine corporea con pazienti affetti da disturbi alimentari attraverso interventi sui ricordi, volti al consolidamento di un’immagine di magrezza che possa essere investita di significati maggiormente realistici e allo stesso tempo di un’ immagine corporea più sana.

 

L’ immagine corporea è un concetto le cui radici risalgono al XVI secolo con la descrizione dell’arto fantasma e che si è arricchito di studi, ricerche ed evidenze cliniche soltanto in parte sovrapponibili.

Paul Schilder è tra i più importanti psicologi che si sono occupati di tale concetto, da un punto di vista non soltanto medico e neurologico, arrivando a definire l’ immagine corporea: “quel quadro nel nostro corpo che formiamo nella nostra mente, ossia il modo in cui il nostro corpo appare a noi stessi” (Schilder, 1935). In questa definizione l’autore vuole fare emergere un’idea integrata di tale nozione, composta sia da esperienze e rappresentazioni legate al corpo, sia da credenze e vissuti psicologici; in particolar modo egli sottolinea l’importanza del movimento del corpo e delle sensazioni e percezioni che mano a mano si integrano in modo continuo nella formazione di schemi e rappresentazioni; tali schemi hanno una grande rilevanza poiché permettono al bambino di definire i propri limiti nella relazione con l’ambiente e con gli altri e, allo stesso tempo, di definire se stesso.

Nel corso del tempo moltissimi autori hanno poi ampliato e approfondito il concetto di immagine corporea, analizzando l’influenza di variabili cognitive, relazionali, sociali, culturali, storiche, ecc.

L’ immagine corporea si annuncia, dunque, come una rappresentazione polimodale, plastica e dinamica, determinata da fattori di diverso ordine (affettivi, sensoriali, culturali, sociali ecc.).

Disturbi alimentari e immagine corporea

Nei disturbi alimentari (principalmente anoressia, bulimia e obesità, ma non solo) la presenza di una distorsione dell’ immagine corporea risulta essere uno dei criteri diagnostici e clinici presenti nelle pazienti che soffrono di queste malattie.
Solitamente nell’anoressia si parla di una percezione dell’immagine sovrastimata (il mio corpo è più grosso di quanto lo sia oggettivamente), nella bulimia vi è una forte presenza di un’immagine negativa e disprezzata (il mio corpo non è piacevole), nell’obesità, invece, la presenza di un’immagine negativa del proprio corpo è spesso correlata a un’età di insorgenza precoce del sovrappeso (Bruch 1977).

Ad ogni modo, un’ immagine corporea distorta e/o negativa risulta essere, al tempo stesso, fattore di rischio, conseguenza e, dunque, variabile che alimenta e tiene in vita i circoli disfunzionali presenti nei disturbi alimentari.

Il ruolo della memoria nella formazione dell’immagine corporea

La formazione (in divenire) dell’ immagine corporea risulta, come si è detto, largamente associata a meccanismi percettivi, cognitivi, affettivi e motori che permettono la costituzione di tracce di memoria contenenti l’integrazione (o meno) di tutte le informazioni elaborate dal soggetto rispetto alla rappresentazione di sé nel mondo.

La memoria, a mio avviso, è dunque una variabile su cui è possibile e importante intervenire per aiutare questi pazienti nella cura della malattia. La mia ipotesi è che, nelle persone con un disturbo alimentare, si siano formate immagini corporee talvolta troppo negative, altre volte troppo variabili e altre ancora immagini ideali troppo rigide. Un esempio esemplificativo è dato da un flash clinico riferito da H. Bruch: una paziente affetta da anoressia riferisce di rendersi conto, a volte, di essere troppo asciutta ma poi di non riuscire a tenere a mente quell’immagine.

La memoria, dunque, svolge un ruolo determinante nello sviluppo della malattia così come nella cura della stessa.

Gli studi di Cristina Alberini hanno dimostrato come la memoria a lungo termine utilizzi meccanismi biologici di “programmazione” e “riprogrammazione” continui e spiegano come avviene l’archiviazione a lungo termine dei ricordi: subito dopo l’acquisizione delle informazioni vi è una fase di consolidamento che conduce dalla labilità del ricordo alla stabilità, facendo questa operazione parte dell’informazione viene scartata e vengono selezionate delle componenti significative; nel corso del tempo esistono diverse “finestre di consolidamento” in occasione di eventuali rievocazioni della traccia mnestica, ad ogni rievocazione il ricordo tende a consolidarsi ancora più stabilmente.

Questo fa presupporre come sia possibile modificare, durante la rievocazione di ricordi legati a valutazioni negative del proprio corpo, esperienze traumatiche (grandi e piccoli traumi), percezioni errate di grandezze o funzioni corporee, eventuali bias, attraverso l’espressione e l’elaborazione cognitivo-emotiva con il terapeuta.

La sfida che si impone al terapeuta è, dunque, quella di riconnettere percezioni, emozioni e cognizioni frammentate e disfunzionali, ricostruire ricordi e creare nuove informazioni maggiormente utili e adattive per il soggetto. Ciò che permette di fare questo lavoro di riparazione è l’agire terapeutico attraverso le immagini, poiché l’immagine è ciò che fa da ponte tra le parti più inconsce e quelle consce, tra emozione e cognizione. Le parole della terapia divengono, a questo punto, realmente trasformative, acquistano un corpo e un peso capace di modificare le connessioni neuronali del soggetto.

Nei disturbi alimentari, come si è detto, le immagini disfunzionali riguardano in modo considerevole la percezione del proprio corpo: esso è stato investito di altri significati e, nel tempo, si sono costruite e riconsolidate tracce mnestiche irrealistiche che hanno portato, a loro volta, il soggetto a percepire, credere, comportarsi in modo patologico. Nelle persone che soffrono di un disturbo alimentare il corpo tende a perdere le tipiche caratteristiche che, solitamente, vengono ad esso riconosciute e sottostanti a leggi fisiche di struttura e funzionamento ben precise. Il corpo può divenire, in tal modo, campo di battaglia, muraglia difensiva, dimostrazione di forza ecc.; il controllo del cibo rappresenta per il soggetto, inoltre, l’unico modo (spesso inconscio) per ottenere un certo potere su di sé e sulle altre persone a discapito, però, del benessere fisico e corporeo.

Una volta identificata nel paziente l’immagine di sé distorta o negativa, il terapeuta potrà promuoverne il “rimaneggiamento” aiutando il soggetto a prendere consapevolezza delle credenze errate e dei giochi relazionali in atto e, contemporaneamente, incentivare la costruzione di nuove immagini di sé più realistiche in termini di caratteristiche e di controllo.

Tornando all’esempio precedente, dunque, sarebbe opportuno consolidare, di volta in volta, l’immagine di magrezza affinché essa diventi una traccia sempre più persistente e accessibile per il soggetto e che possa, nel tempo, essere investita di significati maggiormente realistici (ad es. “sono troppo magra, sto mettendo a rischio la mia salute, ho paura) e, allo stesso tempo, co-costruire un’ immagine corporea più sana che possa essere, invece, rivestita di affetti positivi e divenire obiettivo raggiungibile e motivante la guarigione.

In conclusione

Nei disturbi alimentari è importante riconoscere, comprendere e modificare l’ immagine corporea presente nella memoria a lungo termine, così come è necessario creare nuove immagini, maggiormente realistiche e positive per il benessere dell’individuo.

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RIFERIMENTI BIBLIOGRAFICI
  • Alberini, C.M. (2013). Memory Reconsolidation. London: Elsevier.
  • Bruch, H. (1977). Patologia del comportamento alimentare. Milano: Giangiacomo Feltrinelli editore.
  • Cuzzolaro, M. (2004). Anoressie e bulimie. Bologna: Il Mulino.
  • Schilder, P. (1935). Immagine di sé e schema corporeo. Milano: Franco Angeli.
 
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