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Nuove frontiere nella cura del trauma 2019. L’elaborazione dei ricordi traumatici nei disturbi dissociativi e traumatici complessi – Report dal convegno di Venezia

L'appuntamento annuale in laguna si è rivelato ricco di spunti clinici e occasione di confronto con chi si occupa di dissociazione e sviluppo traumatico.

Di Cristiana Chiej

Pubblicato il 14 Mag. 2019

Non tradisce le aspettative dei suoi ormai affezionati partecipanti l’ VIII edizione del Corso Internazionale Nuove Frontiere nelle Cura del Trauma, svoltosi a Venezia dal 26 al 28 aprile 2019, anche quest’anno dedicato alla fase di elaborazione.

 

D’altra parte, con il contributo di ospiti come Dolores Mosquera e Kathy Steele, ormai “storiche” protagoniste di questo corso, era una scommessa destinata al successo.

Trauma complesso e dissocazione: i focus del convegno

Dal 2012, infatti, questo corso di alta formazione rappresenta un appuntamento prezioso e arricchente nel panorama della dissociazione e del trauma complesso, riunendo ogni anno terapeuti che lavorano con il trauma provenienti da tutta Italia (e non solo) sotto la guida di esperti di fama internazionale.

Seguito e completamento della scorsa edizione, il lavoro si è dunque concentrato sulla fase 2 del trattamento, dedicata all’elaborazione delle memorie traumatiche, secondo il Modello Trifasico già proposto da Janet (Janet, 1898) e poi sviluppato dalla recente psicotraumatologia, all’interno della cornice teorica della Dissociazione Strutturale (van der Hart et al., 2006).

Il valore aggiunto di questa edizione è stato l’intervento congiunto delle due relatrici principali, che hanno accompagnato i partecipanti attraverso le sfide del lavoro clinico dando un efficace esempio di integrazione di alto livello, mescolando con sensibilità, in uno splendido coro a due voci, l’energia di Dolores Mosquera e l’ironica delicatezza di Kathy Steele.

Il lavoro con i ricordi traumatici

Attingendo con generosità alla loro esperienza clinica, portando esempi e registrazioni video di sedute con i loro pazienti, Mosquera e Steele, hanno mostrato come condurre il delicato e importantissimo lavoro di elaborazione delle memorie traumatiche fino all’integrazione, in una continua co-costruzione con il paziente, sempre attente a valutare momento per momento “cosa funziona per questa persona in questo momento qui davanti a me” calibrando interventi tecnici all’interno di una cornice relazionale solida ma in continua evoluzione.

Iniziare il lavoro con i ricordi traumatici pone subito una questione delicata e fondamentale: quando deve essere affrontato? La grande (e assolutamente doverosa) attenzione alla necessità di stabilizzare il paziente prima di iniziare il lavoro sulle memorie traumatiche porta spesso i clinici ad un atteggiamento eccessivamente prudente, per cui possono passare molti anni prima che si decida di iniziare la fase 2. Tuttavia, sottolinea Mosquera, per alcuni pazienti non lavorare fin da subito su alcuni aspetti del trauma rappresenta un pericolo, a causa delle intrusioni che interferiscono pesantemente con la vita quotidiana.

Parlare dell’esperienza traumatica è importante perché creare una narrazione autobiografica aiuta a creare significato e a smettere di rivivere l’esperienza, ma l’intensità del richiamare il ricordo deve essere attentamente valutata rispetto ai punti di forza e ai limiti dei singoli pazienti. Punto di fondamentale importanza è mantenere sempre l’attenzione duale presente/passato, la connessione con il terapeuta, la connessione con il sé, rimanendo nella zona di resilienza, controllando sempre che tutto il sistema, tutte le parti, siano radicate nel presente e attivamente entro la “finestra di tolleranza” (Siegel, 1999).

In questo lavoro la relazione terapeutica è di primaria importanza e il terapeuta deve fare molta attenzione ai rischi controtransferali del lavoro con questo tipo di pazienti: evitamento/invischiamento, troppo/troppo poco, esperienza che rispecchia la dualità dell’esperienza dei pazienti stessi.

Il lavoro con i Disturbi Dissociativi e il PTSD complesso porta con sé delle sfide davvero impegnative e per procedere con l’elaborazione dei ricordi traumatici occorre avere un’idea abbastanza chiara del sistema interno del paziente, delle sue risorse, delle sua capacità integrative, di quanto siano intense la fobia per l’esperienza interna, la fobia per i ricordi traumatici, la fobia per l’attaccamento e la perdita dell’attaccamento, di quale sia e quanto sia forte il conflitto fra le parti.

Il lavoro con la resistenza è il lavoro con il trauma

 Mosquera e Steele insistono molto sull’importanza dell’incoraggiare i pazienti sempre rispettando i tempi di tutte le parti, senza forzare l’elaborazione, facendo frequenti verifiche su come il sistema interno stia reagendo al lavoro in quel momento, chiedendo il consenso e ponendo sempre molta attenzione all’equilibrio fra elaborazione e stabilizzazione.

Il lavoro sulle memorie traumatiche pone il clinico di fronte a resistenze e blocchi. Come sottolinea Kathy Steele, il lavoro con la resistenza è IL lavoro con il trauma, non qualcosa che intralcia il lavoro. La resistenza è, infatti, una protezione contro un’integrazione che il sistema del paziente, o una parte di esso, vive come pericolosa. Questi pazienti hanno sperimentato l’impotenza, temono la perdita di controllo e la violazione dei loro confini: per questo quanto più la resistenza è severa ed egosintonica, quanto più occorre dar loro controllo e potere nel processo terapeutico, procedendo sempre per piccoli passi, con estremo rispetto.

L’elaborazione dei ricordi traumatici con questi pazienti non è un processo “tutto o nulla”, ma un delicato svolgimento in cui il pacing, il ritmo, e il timing vanno attentamente calibrati sul singolo paziente, dosando attentamente quanta parte dell’esperienza traumatica possa tollerare quello specifico paziente in quello specifico momento. In caso di dissociazione strutturale è necessario adottare un approccio graduale a piccoli passi, utilizzando tecniche che aiutino i pazienti a rimanere nella finestra di tolleranza, come la titolazione (elaborare piccoli momenti di esperienza, una “goccia” alla volta), la gradualità (incrementare lentamente la quota di esperienza con cui lavorare) e il pendolamento (muoversi avanti e indietro tra un’esperienza positiva e una negativa allo scopo di allargare la finestra di tolleranza e favorire l’elaborazione) (Steele et al., 2018).

Mosquera parla dell’approccio progressivo con l’EMDR (Gonzalez e Mosquera, 2015), mentre Kathy Steele offre l’esempio di tecniche mutuate dalla tradizione ipnotica, ma, al di là della specifica tecnica, entrambe mostrano come lavorare in modo efficace con i Disturbi Dissociativi e il PTSD complesso sia un’arte delicata di continua sintonizzazione e cooperazione con il paziente, che poggia però le sue fondamenta su una solida base teorica che aiuta il clinico ad orientarsi e a scegliere il passo successivo.

A conclusione della fase di elaborazione, prendendo nettamente posizione rispetto al dibattito attuale su quanto sia davvero necessaria l’integrazione come obiettivo finale della terapia, Kathy Steele ha sostenuto con forza l’utilità di portare i pazienti all’integrazione: la dissociazione rappresenta sempre un elemento di fragilità, e quindi di rischio, per la persona. E’ dunque obiettivo della terapia quello di integrare tutte le parti portando verso un’organizzazione continuativa della personalità.

Il Maladaptive Daydreaming

Contributo innovativo di questa edizione è stato quello di Eli Somer, professore di Psicologia Clinica presso l’Università di Haifa (Israele) ed ex presidente della ISSTD (Società Internazionale per lo Studio del Trauma e della Dissociazione) e della ESTD (Società Europea per lo Studio del Trauma e della Dissociazione).

Somer ha presentato il suo nuovo costrutto diagnostico di Maladaptive Daydreaming (MD), ovvero un’attività fantastica, estensiva, elaborata ed intenzionale, accompagnata da movimenti ripetitivi, che viene messa in atto come una sorta di fuga dalla realtà e assorbe moltissimo tempo, interferendo nella vita quotidiana della persona e portando ad un disagio significativo, tanto che viene spesso vissuta come una compulsione o una dipendenza.

Il MD è un assorbimento dissociativo che sembra basato su di un tratto che queste persone si riconoscono fin dall’infanzia, ovvero la capacità di sognare ad occhi aperti, come una forma internalizzata di gioco molto gratificante. Ciò che distingue il MD da una non patologica tendenza a fantasticare è proprio il disagio che provoca e l’interferenza con le normali attività della vita quotidiana.

Lo stato della ricerca lascia ancora molte domande aperte ed il costrutto è ancora in fase di studio, ma dai primi risultati sembra avere una propria identità distinta, misurata e diagnosticata in maniera affidabile attraverso specifici strumenti. Emerge inoltre un’alta comorbilità con diversi disturbi psichiatrici e una certa correlazione con esperienze traumatiche infantili. Senz’altro interessanti saranno gli sviluppi futuri della ricerca, che andranno rivolti anche a chiarire il tipo di relazione con i Disturbi Dissociativi.

Ancora una volta l’appuntamento annuale in laguna si è rivelato ricco di spunti clinici e occasione di confronto preziosa con chi da anni si occupa ad altissimi livelli di dissociazione e sviluppo traumatico. Questa edizione, forse più di altre, ha accompagnato i partecipanti in direzione di una sempre maggiore integrazione: non solo nei contenuti, proseguendo verso la conclusione della fase 2 del trattamento, ma anche nella forma, grazie al continuo scambio fra le due relatrici principali, che, pur partendo da metodi e stili diversi, hanno saputo operare una sintesi organica e chiara, fondamentale per orientarsi nel complesso lavoro con questi disturbi.

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RIFERIMENTI BIBLIOGRAFICI
  • Gonzalez A., Mosquera D. (2015) EMDR e Dissociazione: l’approccio progressivo. Giovanni Fioriti Editore
  • Janet P. (1898) Le traitement psychologique de l’hysterie. In: a. Robin (a cura di), Traité de thérapeutique appliqué (pp.140-216). Paris: Rueff. Anche in: P. Janet (1911), L’etat mental des hystériques. Paris: Félix Alcan.
  • Siegel, D. (1999). The Developing Mind: How Relationships and the Brain Interact to Shape who We are. Guilford Press.
  • Steele K., Boon S., van der Hart O. (2018). La cura della dissociazione traumatica. Un approccio pratico e integrativo. Ed. Mimesis, Milano
  • Van der Hart, O., Nijenhuis, E.R.S., Steel, K. (2006). Fantasmi nel sé. Trauma e trattamento della dissociazione strutturale. Milano: Cortina, 2011.
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