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Patoplastica: dove operiamo e dove andremo a finire, signora mia!

Patoplastica: oggi la tecnologia produce tali e tanti cambiamenti nel modo di produrre conoscenza con cui anche la psicoterapia ci si deve misurare..

Di Roberto Lorenzini

Pubblicato il 11 Mar. 2019

Con questa parolona che fa pensare alla chirurgia estetica si intende in realtà l’effetto di modellamento che la cultura agisce sull’espressione di una patologia.

 

Utilizzo questo termine per stupire l’uditorio quando parlo del delirio e mi accingo a spiegare la forte incidenza del delirio di gelosia nel territorio dove ho lavorato per decenni e che aveva nei secoli passati visto le gesta eroiche ed erotiche dei Borgia ed in particolare di Lucrezia la cui rocca si staglia netta e possente sullo skyline del paese. Si potrebbe andare oltre ipotizzando che certe culture sono esse stesse patogene (si pensi ai disturbi alimentari connessi al misticismo medievale o, più di recente, alla esaltazione della magrezza dopo Kate Moss).

Se è più facile condividere l’idea dell’espressione fenotipica di un disturbo (di cui a questo punto viene supposta una esistenza a priori), è più discutibile la patogenicità di un certo ambiente perché si tratta di un giudizio di valore su ciò che è buono, giusto, sano o insano che può essere affermato solo da un altro contesto valoriale generando un regresso all’infinito (per fare un esempio banale certi modi di vivere occidentali sono considerati inconcepibili, sciocchi e meritori di condanna a morte dai musulmani e viceversa).

Mi chiedo dunque quali atteggiamenti o ex patologie (dico ex perché non saranno più considerate tali) saranno premiati nell’ambiente socioculturale che si va affermando forse per la prima volta nella storia dell’umanità in modo globalizzato?

Verso la fine del secondo millennio gli uomini hanno dato vita ad una rivoluzione tecnologica (i computer, il web e i loro infiniti derivati, app ecc.) che retroattivamente ha modificato il modo di stare al mondo di miliardi di esseri umani e forse lo stesso cervello che quella rivoluzione ha prodotto (Baricco A. 2018 “the Game, ed. Einaudi, Milano). Considerato che tale rivoluzione riguarda principalmente proprio la codifica e la diffusione della conoscenza e che essa è strettamente connessa, secondo il modello cognitivista, con la salute mentale e lo sviluppo dei disturbi emotivi, viene da chiedersi a che tipo di pressioni selettive sarà sottoposta e dunque quali tipi di pensiero il cervello tenderà col tempo a privilegiare? Ad esempio secondo la interessantissima distinzione di Kahneman (2011) in pensieri veloci e pensieri lenti, il privilegiato sarà evidentemente il pensiero “veloce” con tutti i suoi pregi e gli innumerevoli difetti. Un pensiero intuitivo, automatico, impaziente, mirato alla gratificazione immediata, veloce, superficiale, approssimativo, attento solo all’essenziale, discontinuo, confermazionista, scorrevole, creativo, non faticoso e impegnativo e ne risulteranno penalizzate invece la complessità, lo spirito critico e l’approfondimento, caratteristici del cosiddetto “pensiero lento”.

Esistono e quali sono delle Weltaschuung nel senso di pacchetti di credenze che costituiscono una visione complessiva della realtà e generando un peculiare modo di stare al mondo che prolifereranno più facilmente in un tale ambiente? Con ciò non voglio dire che certe patologie aumenteranno, o meglio, “sì” se si mantenessero inalterati i vecchi criteri diagnostici, ed invece al contrario “no” se valutate in termini di egodistonia personale o di distonia sociale. Qualcosa di simile è già successo durante la stesura del DSM 5 con il dibattito sul conservare o meno nella nosografia il disturbo narcisistico di personalità perché nelle sue forme non estreme e maligne è del tutto allineato con i valori della società occidentale ricca (Liotti G., Lorenzini R. 2018). Del resto tutte le ricerche di psicologia delle grandi riviste internazionali utilizzano campioni cosiddetti “WEIRED” ovvero di soggetti occidentali, istruiti, ricchi, industrializzati e democratici che non rappresentano affatto l’umanità nel suo insieme. La stessa psicoterapia che di tale cultura è un prodotto mentre si sforza di descrivere il funzionamento degli uomini e soprattutto quello disfunzionale dei pazienti, ha un’assoluta cecità verso gli impliciti che ne costituiscono la premessa indiscutibile e che non sono affatto neutri come ci piace pensare ma esprimono i valori della cultura dove la psicoterapia si è sviluppata.

L’atteggiamento “non giudicante”, tanto sbandierato con unanime consenso tra le varie scuole, non afferma in fondo con forza, per usare un ossimoro, un “relativismo assoluto”? Per cui tutto va bene, tutto è ammissibile? Attenzione non sto affermando che questo sia sbagliato, dico solo che bisogna essere consapevoli che anch’esso è una premessa ideologica, non meno assoluta di tante altre e che non rappresenta l’unico modo possibile di stare al mondo. L’intolleranza verso gli intolleranti è pur sempre intolleranza. Voler mettere al rogo i tribunali dell’inquisizione brucia le nostre stesse chiappe. Se è vero che non si può fare a meno di assumere un punto di vista dal quale operare valutazioni, a meno di non votarsi al silenzio assoluto e trascorrere tutto il tempo dell’esistenza da spettatori disinteressati e senza opinione, almeno che si sia coscienti di averlo.

Ancora l’egodistonia e l’autodeterminazione degli obiettivi, regola aurea e faro orientante la prassi psicoterapeutica, mettono al centro di tutto l’individuo, il suo benessere e il conseguente diritto ad autodeterminarsi per ottenerlo che potremo definire come “egocentrismo edonico”. Il messaggio che passa più o meno esplicitamente è “pensa a te, ai tuoi bisogni e desideri” (autodeterminazione) e “fai di tutto per realizzare il tuo benessere” (assertività) con l’unica attenzione a non essere guidato solo dal principio del piacere immediato ma di tener conto anche del principio di realtà per perseguire un piacere che non sia solo a breve ma anche a medio e lungo termine”. Le parole d’ordine sembrano essere “tutto, subito, per me”.

Una volta archiviate con l’illuminismo le religioni teiste gli umani negli ultimi tre secoli hanno elaborato religioni senza Dio che comunque hanno tentato di dare un significato unitario al mondo ponendo al centro di tutto l’uomo stesso e l’ordine naturale delle cose conoscibile, non per rivelazione ma indagabile attraverso la scienza (Harari 2018 A,.Harari 2018 B). Dal ceppo comune dell’umanesimo si sono sviluppati tre filoni. Il liberalismo che ha posto al centro la libertà individuale, l’umanesimo sociale che ha posto in primo piano la socialità e la solidarietà ed infine l’umanesimo evoluzionista che si è tradotto nel nazismo. Il ‘900 è stato il terreno di confronto tra le prime due identificatesi con il capitalismo ed il comunismo ma il problema di una sintesi tra libertà individuale e solidarietà ed equità è tuttora irrisolto. Sul finire del secolo scorso è divenuta patrimonio comune l’idea umanistica che l’uomo ha diritto alla felicità ed è suo dovere rimuovere tutti gli ostacoli che vi si frappongono avendo come unico limite la felicità altrui. Ma che il bilancio della felicità sia individuale o sia riferito ad un gruppo di appartenenza più o meno ampio resta comunque che non esiste altro riferimento al di fuori dell’uomo stesso. Mai era successo prima che ci fosse così unanime accordo sul fatto che i sentimenti dell’uomo costituiscano l’unica misura di tutte le cose. Mi astengo da qualsiasi giudizio in proposito volendo limitarmi a suscitare la consapevolezza che questo è un modello di uomo sano tipico della attuale cultura occidentale di matrice capitalistica in cui ognuno deve darsi da fare al massimo per costruire il proprio personale benessere (tralascio la banalità più superficiale che lo si pensa legato all’avere piuttosto che all’essere e raggiungibile con il fare piuttosto che con il sentire) in un ambiente di libero mercato del benessere in cui il fatto che ognuno persegua il proprio comporta un miglioramento complessivo per tutti. In tale clima di darwinismo sociale l’agonismo spietato per la sopravvivenza del più forte ed il piacere hanno preso il nome molto più presentabile su cui non si può non essere d’accordo di “meritocrazia” che non ha più oppositori essendo considerata appunto una ovvietà e turba alcune anime belle solo quando arriva all’eutanasia dei meno performanti o alla eugenetica mengheliana, che gode però di pessima stampa, di cui però è fatalmente premessa. La cultura capitalista che certamente ha contribuito in modo decisivo alla sconfitta delle piaghe che affliggevano l’umanità come la fame, le malattie e le guerre, è per noi così scontata che non riusciamo a vederla con distacco critico e certe cose ci appaiono del tutto naturali come i sacrifici umani per gli Atzechi o i mortali spettacoli di gladiatori al Colosseo per i romani che non si consideravano affatto incivili.

Le idee vivono nelle menti come virus o parassiti e tendono a diffondersi e moltiplicarsi per proprio conto talvolta anche a discapito dei loro portatori. Se l’evoluzione naturale si basa sull’affermazione dei geni che mirano a replicarsi indifferenti al benessere del loro portatore individuale, l’evoluzione culturale consiste nel diffondersi e nell’affermarsi dei “memi” (unità di informazione culturale o come definita prima una weltaschuung, di cui comunismo, capitalismo, femminismo o nazismo sono alcuni esempi). Le culture vincenti sono quelle che diffondono i loro memi anche a discapito degli umani che ne sono portatori. Tornando ora alla domanda che ci eravamo posti può essere riformulata così: che caratteristiche deve avere oggi una certa conoscenza per affermarsi, diffondersi e proliferare attraverso gli strumenti tecnologici di intermediazione tra gli umani?

Mi sembra che siano sei le dimensioni lungo i cui assi la pressione selettiva sulla conoscenza si va spostando:

La prima è quella della semplicità contro la complessità. Le terribili semplificazioni verso cui metteva in guardia Bateson sono diventate il golden standard della strategia politica e delle comunicazioni sui social media strutturalmente predisposte per essere brevi, cogliere pochi aspetti ed estremizzarli perdendo di vista la complessità e l’approfondimento.

La seconda è quella di essere associata ad un immediata ricompensa edonica e dunque non necessitare di fatica che come il dolore e la morte sono banditi dalla nostra cultura (non a caso forse sul web si resta in eterno).

La terza è la rapidità che comporta che tutto invecchi molto rapidamente ed essere novità rappresenta di per sé un pregio: si sta affermando il pregiudizio che “nuovo” equivalga a “migliore” per cui qualsiasi rottamazione sia buona di per sé trascurando che l’ignoranza del passato porta spesso a ripeterne gli errori. Le notizie invecchiano subito e con altrettanta rapidità se ne perde la memoria. Presto l’amnesico e il demente chiederanno di uscire dalla nosografia perché tener conto solo dell’ultima informazione significherà essere aggiornati, stare sul pezzo, sulla notizia. In questa continua ricerca di stimoli nuovi, di città che non dormono mai, di realtà aumentata, di ipertesti, di prolungamento della vita e di eterna giovinezza mi pare si celi la normalizzazione della maniacalità e dell’abuso di psicostimolanti come la cocaina che sballa le anguille del Tamigi come quelle dell’Arno (se non sapete di cosa sto parlando, molto male, vuol dire che non siete aggiornati).

La quarta è il privilegio della quantità sulla qualità e dunque l’approssimazione sulla precisione. Gli ossessivi saranno sempre più patologizzati e le loro fatiche derise, l’importante è farsi un idea in generale, per poi agire in maniera agile e veloce.

La quinta dimensione potremmo chiamarla il predominio delle narrazioni sui fatti, o come dicono gli esperti, l’affermarsi della “post-verità”. Sappiamo bene che da sempre il mondo in cui vivono gli esseri umani non è fatto solo di cose ma soprattutto di opinioni e narrazioni sulle cose e sono esse che causano emozioni, stati d’animo e comportamenti. Anzi su tale assunto si fonda la teoria e la pratica cognitivista. Tuttavia oggi il legame con la realtà dei fatti concreti è sempre più labile e quasi sovvertito e ciò su cui si hanno opinioni sono, a loro volta, anch’esse opinioni (sarà capitato a tutti di leggere per giorni e giorni commenti su commenti di commenti dopo aver perso completamente di vista il fatto originario che finisce per diventare ininfluente al punto che non si ricorda più l’oggetto del contendere). Oggi la narrazione, lo “story telling” come dicono i più colti, si è sostituito alla realtà oggettiva che ne è un prodotto. Le storie sono la vera realtà e dunque forse aumenterà la consapevolezza che ciascuno di noi vive in un mondo di significati proprio ed autoreferenziale con la speranza che ciò aumenti la tolleranza tra gli individui.

L’ultima dimensione è quella “democratica” per cui nel web “uno vale uno” decretando così la morte degli esperti e delle elitè culturali. Il sapere è a disposizione di tutti, non servono mediatori e i pazienti che arrivano in consulenza sono già informatissimi su diagnosi e terapie per cui anche il ruolo del terapeuta deve modificarsi non godendo più di una autorevolezza tout court, a priori. Il suo ruolo sarà simile a quello del Virgilio della Commedia che accompagna il paziente alla scoperta della conoscenza per lui rilevante facendo da guida e da mediatore ed il suo valore aggiunto sarà nella relazione di sicurezza che riuscirà ad istaurare con il paziente facilitando l’esplorazione esteriore e interiore, per tutto il resto c’è Wikipedia. L’autorità culturale è rifiutata ed il confronto tra le idee si fa più democratico e serrato sui contenuti in sé. Il pericolo, però, è che i rapporti di rango un tempo definiti dal grado di formazione e di cultura (le stesse lauree non contano più) non scompaiano ma vengano fondati sulla violenza delle argomentazioni (si veda l’imbarbarimento dei commenti dei partecipanti ai blog protetti dall’anonimato). Comportamenti un tempo considerati antisociali stanno diventando accettabili nel mondo virtuale dove la possibilità dello scontro fisico che fungeva da moderatrice è assente. L’utopia originaria dei visionari della Silicon valley di una parità tra gli uomini prodotta dal web sta andando delusa e sembrano cambiare solo i criteri per definire il rango, perde terreno la cultura e prende campo la forza e la ricchezza.

E’ importante sottolineare che queste caratteristiche (semplicità, piacevolezza, velocità, leggerezza, attualità) non vengono scelte consapevolmente ma percepite naturalmente come buone e soprattutto esteticamente eleganti e dunque da preferire automaticamente: non scegliamo di comportarci così, lo siamo proprio e lo stiamo diventando sempre più. La cultura in cui si è immersi non si limita a prescrivere certi comportamenti ma ce li fa sembrare buoni e giusti in assoluto modellando gli stessi desideri.

E’ del tutto inutile ancorché sciocco chiedersi se quello verso cui stiamo andando sarà o meno un mondo migliore, da sempre ogni generazione e anche ogni individuo rispetto alla propria storia personale, vede nostalgicamente nel passato l’età dell’oro e nel futuro un degrado dei valori sacri e irrinunciabili anche quando si era alle soglie del rinascimento. Gli uomini grazie proprio a quel processo di continua crescita congetturale della conoscenza ad ogni problema trovano una soluzione che poi nel tempo si dimostrerà essa stessa un problema e sarà a sua volta superata. Ciò che oggi ci spaventa sarà occasione di un ulteriore inaspettato salto in avanti della conoscenza. I nostri figli troveranno soluzioni che oggi non possiamo neppure immaginare e fronteggeranno problemi scientifici, tecnologici ed etici che sono molto oltre ogni nostra possibile fantasia anche sostenuta da pesanti stupefacenti.

E’ scientificamente dimostrato quanta poca previsionalità e controllo abbiamo sugli eventi futuri della nostra esistenza individuale. Siamo in balia del caso per la maggior parte degli accadimenti decisivi dell’esistenza (la nascita e il suo luogo, le fortune e la morte). Minuscoli viventi sparati in un universo sconosciuto ma dotati di quella autoconsapevolezza cosciente che renderebbe la vicenda intollerabile (Ligotti T. 2016) se non fosse bilanciata dai fondamentali bias del cosiddetto narcisismo sano che sono l’illusione di valore, di immortalità e di controllo (Liotti G., Lorenzini R. 2018). A livello sovraindividuale l’umanità si è sempre interrogata su dove stiamo andando e quantunque sia ormai provato che le previsioni sono quasi sempre fallimentari, non smettiamo di provarci e dopo che i fatti sono accaduti con il cosiddetto bias “del senno di poi” ci sembra che le cose non potessero che andare come effettivamente sono andate. Gli storici hanno un compito molto più facile dei profeti.

Che ci sia un architetto esterno che ha per l’umanità un progetto intelligente ma secondo logiche sue a noi imperscrutabili, o che il procedere sia casuale per tentativi ed eliminazione degli errori come nell’evoluzione delle specie viventi, il problema dell’ignoranza sul futuro non cambia. La storia è ben lontana da essere finita con il XX°secolo come ipotizzava il politologo Francis Fukuiama (Fukuyama F. 1992 “la fine della storia” ed BUR, Milano) e ci riserva sempre nuove sorprese, curve pericolose, svincoli inaspettati, tanto da sembrare preoccupata, come un buono sceneggiatore, soprattutto di non annoiare noi spettatori di questo grandioso spettacolo di specie, mondi e civiltà che nascono, si assolutizzano e scompaiono al segnale del capocomico che decreta “avanti un altro!!”.

Sembra proprio difficile intravedere un filo conduttore unitario e hanno buoni argomenti sia i pessimisti (T. Ligotti2016) che intravedono un progressivo imbarbarimento e un futuro di violenza e guerre totali sia gli ottimisti come Serres (Serres M. 2018 “Darwin, Napoleone e il Samaritano. Una filosofia della storia” Bollati Boringhieri, Torino) che descrivono la nostra come la migliore delle epoche dove è solo l’aumentata sensibilità ad evidenziare maggiormente il male che, in realtà non è più accettato e sta battendo rapidamente in ritirata. Il compito di dare un senso all’universo si è spostato da Dio all’uomo.

La felicità non è riducibile al piacere dei sensi ed è strettamente connessa, secondo autorevoli studi scientifici, con l’avere un senso per la propria vita e percepirla come importante e valida, esserne soddisfatti. Una vita che ha senso permette di affrontare ogni cosa, senza un senso dell’esistenza ogni agiatezza è insoddisfacente. Anche se scientificamente la vita non ha alcun senso le illusioni sono salvifiche che siano le antiche religioni o il moderno umanesimo nelle sue varie versioni o più limitatamente l’alimentazione vegana, la perfetta forma fisica o la “magica Roma”. Favorisce il benessere il fatto che le proprie illusioni personali siano sincronizzate con quelle collettive della cultura in cui si vive.

Rispetto alla storia universale forse dobbiamo superare un modello esplicativo unidirezionale che ci porta a chiederci in che direzione vada la storia. L’andamento della storia dell’umanità e forse anche di quella individuale è meglio descrivibile con un modello multidimensionale (di nuovo sono da preferire per descrivere qualsiasi realtà le dimensioni e le sfumature che le categorie dai confini netti) e oscillatorio secondo il quale esistono numerose dimensioni o costrutti esprimibili con polarità estreme contrapposte come, a solo titolo di esempio: mono-oligarchia versus democrazia; individualismo versus solidarietà; localismo versus globalizzazione; espansione versus ritiro; competizione versus cooperazione; creatività versus ripetizione; parità versus disuguaglianza e se ne potrebbero aggiungere decine di altre relativi ai vari campi dell’esperienza umana collettiva e personale.

Ciò che a mio avviso accade è che quanto più si realizza attivamente una polarità ritenuta migliore, più se ne avvertono i difetti e la parzialità che non sono invece avvertite nella polarità non realizzata. E’ lo stesso meccanismo che ci fa autocriticare per le scelte fatte in quanto, dimentichi dei bisogni (ormai soddisfatti) che ce l’hanno fatta preferire, avvertiamo solo i difetti e le mancanze dell’opzione praticata (esempio tipico è la scelta di un percorso che trafficato ci fa rimpiangere quello alternativo il cui traffico o l’eccessiva lunghezza semplicemente non vediamo).

Lo stato delle cose futuro è determinato dalla sommatoria delle oscillazioni su tutte queste dimensioni che si muovono indipendentemente l’una dall’altra dando dunque luogo a possibili infinite combinazioni a nostra protezione dalla noia.

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RIFERIMENTI BIBLIOGRAFICI
  • Baricco A. 2018 “the Game”” ed Laterza, Bari
  • Fukuyama F. 1992 “la fine della storia” ed BUR, Milano
  • Harari Y. N. 2018. A “Sapiens: da animali a dei, breve storia dell’umanità” ed. Bompiani, Firenze
  • Harari Y. N. 2018.B “Homo deus: breve storia del futuro” ed. Bompiani, Firenze
  • Kahneman D. 2011 “Pensieri lenti e veloci” Mondadori, Milano
  • Ligotti T.2016 “La cospirazione contro la razza umana” il saggiatore, Milano
  • Lorenzini R., Liotti G. “Note sul narcisismo nella prospettiva cognitivo evoluzionista” Cognitivismo clinico vol. 15 num. 1giugno 2018
  • Serres M. 2018 “Darwin, Napoleone e il Samaritano. Una filosofia della storia” Bollati Boringhieri, Torino.
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