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Assertività

L' assertività, area intermedia nel continuum aggressività-passività, si attua attraverso un comportamento partecipe e non in contrapposizione con l’altro

Cos’è l’ assertività?

La parola “assertività” deriva dal latino ad serere, e significa «asserire» o anche affermare se stessi. L’ assertività è la capacità di esprimere i propri sentimenti, di scegliere come comportarsi in un determinato momento/contesto, di difendere i propri diritti, di esprimere serenamente un’opinione di disaccordo quando lo si ritiene opportuno, di portare avanti le proprie idee e convinzioni, rispettando, contemporaneamente, quelle degli altri.

Assertività aspetti e caratteristiche del comunicare in modo assertivo - Psicologia

Andrew Salter nel 1949 fu il primo a delineare i contorni della persona assertiva, che definì come personalità eccitatoria: la personalità “eccitatoria” è quella di un individuo in grado di esprimere i propri punti di vista e le proprie emozioni apertamente, in modo entusiasta e spontaneo.

Al contrario, un soggetto con personalità “inibita” veniva descritto dall’autore come schiavo della logica e del pensiero, incapace di riconoscere ed esprimere i suoi sentimenti più intimi e di assecondare i suoi impulsi naturali. Salter ipotizzò che la maggior parte degli scompensi psicopatologici fosse riconducibile a tratti di personalità inibiti, cioè a tratti che si formavano nella relazione precoce con figure parentali che tendevano ad inibire, spesso anche con modalità punitive, la produzione di determinati comportamenti sociali.

Salter intese l’ assertività come un modello di comportamento interpersonale, capace di garantire non soltanto un livello di civiltà nei rapporti tra gli uomini, ma contemporaneamente uno stato di benessere emotivo per coloro che lo mettono in pratica.

Nel 1959 Joseph Wolpe introdusse il termine assertiveness e, riprendendo quanto teorizzato da Salter, sostenne che fosse necessario che le persone acquisissero la capacità di esprimere apertamente i loro sentimenti, al fine di assumere un comportamento sano.

La struttura concettuale dell’ assertività è basata sulla funzionalità di cinque livelli, ognuno dei quali ne definisce un aspetto:

  • Il primo livello è costituito dalla capacità di riconoscere le emozioni, il cui obiettivo riguarda l’autonomia emotiva e la percezione delle emozioni.
  • Il secondo livello è costituito dalla capacità di comunicare emozioni e sentimenti, anche negativi, attraverso molteplici strumenti comunicativi e riguarda la libertà espressiva.
  • Al terzo livello troviamo la consapevolezza dei propri diritti e la capacità di avere rispetto per sé e per gli altri;
  • al quarto livello la disponibilità ad apprezzare se stessi e gli altri, che implica la stima di sé e la capacità di valorizzare gli aspetti positivi dell’esperienza.
  • Il quinto ed ultimo livello è quello relativo alla capacità di autorealizzarsi e poter decidere sui fini e gli scopi della propria vita: per raggiungere tale obiettivo è necessario possedere un’immagine positiva di sé, fiducia e sicurezza personale.

Una condizione dell’ assertività è dunque la capacità di saper riconoscere i meriti propri e quelli altrui, ovvero esprimere e chiedere apprezzamenti legittimi. Ogni apprezzamento costituisce un segnale di riconoscimento.

Comunicare in modo assertivo

La comunicazione assertiva costituisce un metodo di interazione che si attua attraverso un comportamento partecipe attivo e non in contrapposizione con l’altro; un atteggiamento responsabile, caratterizzato da piena fiducia in sé e negli altri; un comportamento completo che manifesta pienamente il proprio sé, funzionale all’affermazione dei propri diritti senza negare i diritti e l’identità dell’altro; un atteggiamento che non giudica e avulso da critiche non costruttive verso l’altro ovvero senza pregiudizi; la capacità di comunicare i propri sentimenti in maniera chiara e diretta e onesta senza manifestare aggressività o essere minacciosi verso l’altro.

I capisaldi del comportamento assertivo sono impliciti nei diritti di ciascun essere umano che vengono di seguito riportati:

  1. Essere trattato con rispetto, poiché ognuno ha il diritto di gestire la propria vita come desidera e di perseguire i propri scopi ed obiettivi, senza però danneggiare gli altri. Inoltre ognuno ha il diritto di essere trattato dagli altri con gentilezza e cortesia, a prescindere dalla propria posizione sociale; il rispetto e la dignità sono i prerequisiti di una società civile.
  2. Esprimere le proprie opinioni ed i propri sentimenti, dato che ciascuno di noi ha il diritto di esprimere se stesso; il proprio punto di vista circa una situazione e i sentimenti che ne scaturiscono sono validi tanto quanto quelli degli altri. Se si nascondono le proprie opinioni ed i propri sentimenti, gli altri non avranno la possibilità di conoscerci o di capirci. In tal modo ci verrà negato il valore e la bellezza dell’amicizia vera.
  3. Fissare i propri scopi ed i propri obiettivi, dal momento che tutti hanno il diritto di perseguire i propri scopi. Ciascuno ha il diritto di perseguire le priorità che ritiene essere più consone a se stesso, altrimenti si può avere la percezione di vivere la vita di altri.
  4. Rifiutare una richiesta o dire di no, poiché ognuno ha il diritto di rifiutare.
  5. Chiedere ciò che si desidera, dal momento che ognuno ha il diritto di esprimere i propri bisogni. Ciascuno ha delle necessità e desideri ed è utile esprimerli nelle relazioni.
  6. Commettere degli errori; sbagli ed errori sono elementi essenziali dell’apprendimento.
  7. Essere i giudici del proprio comportamento, indipendentemente dalla benevolenza degli altri, infatti ognuno ha il diritto di giudicare se stesso. Si può giudicare il proprio comportamento, senza avere bisogno dell’approvazione o delle critiche altrui.
  8. Cambiare la propria opinione, dato che il cambiamento può essere associabile alla crescita ed allo sviluppo personale.
  9. Decidere se far valere o meno i propri diritti, in conformità al diritto di scelta.
  10. Decidere se dare spiegazioni e scuse per il tuo comportamento.

In ogni situazione le persone coinvolte hanno diritti particolari e correlati al contesto e alla cultura di appartenenza. Esistono, però, dei principi qualificabili come diritti inviolabili della persona che proprio in quanto tali, sono comuni a tutte le situazioni di relazione e non possono essere dimenticati.

I vantaggi a breve termine, che permettono il mantenimento del comportamento assertivo possono essere riconducibili alla soddisfazione della necessità umana di esprimere i propri bisogni, desideri e pensieri e di avere un ruolo costruttivo nella relazione sociale. La disponibilità nel gestire in modo produttivo le eventuali divergenze costituirà un vantaggio condiviso per il soggetto e per il suo interlocutore, a breve ed a lungo termine.

A lungo termine la coerenza con se stessi permetterà una serenità nella relazione con il sé e la chiarezza nei confronti degli altri permetterà la costruzione di rapporti interpersonali veritieri. Sarà, inoltre, possibile aumentare il senso di autoefficacia per aver raggiunto gli obiettivi desiderati ed una maggiore tolleranza alla frustrazione legata alla sconfitta o all’interloquire con persone aventi punti di vista differenti dal proprio.

Gli Stili di Comportamento assertivi e non assertivi

L’ assertività può esprimersi a livello comportamentale lungo un continuum che va dalla “passività” all’ “aggressività”, i comportamenti che si situano agli estremi del continuum risultano disfunzionali e non in grado di esprimere un comportamento propriamente assertivo, per questo vengono definiti stili anassertivi.

L’ assertività si esprime nell’area intermedia del continuum e corrisponde a un comportamento sociale funzionale ed efficace (Anchisi, Gambotto Dessy, 1989; Campanelli, 1995).

La differenza basilare sta stili assertivi e anassertivi infatti sta nel fatto che l’ assertività è fondata su rispetto e autoresponsabilità, fattori assenti nell’ anassertività. Il soggetto con un comportamento assertivo è colui che è capace di avere un atteggiamento positivo verso se stesso e verso gli altri e di riconoscere, rispettare ed esprimere i propri bisogni nel rispetto di quelli altrui. Quando mancano, invece, la fiducia in sé e nell’altro e il rispetto verso se stessi e gli altri, è molto più probabile che le persone reagiscano ad una particolare situazione con modalità non-assertive.

Il livello di autostima infatti, sembra essere direttamente proporzionale al livello di assertività che si riesce a mettere in gioco nei confronti degli attori sociali con i quali ci si relaziona. Essere capaci di dar valore ai propri bisogni ed esprimerli in maniera adeguata senza lasciarsi invadere dalle necessità e dalle opinioni dell’altro o senza il bisogno di imporli a tutti i costi, ci permette di percepirci come persone consapevoli e integre, piene di valore e centratura.

Inoltre mettere in atto un comportamento assertivo stimola l’ assertività dell’interlocutore e promuove un feedback relazionale positivo, nutriente per la propria autostima ed utile a migliorare la percezione dell’immagine di sé.

Comportarsi in modo assertivo vuol dire bilanciare i bisogni degli altri con i propri. È un gioco a due a variabile zero, in cui non c’è uno sconfitto e un vincente, ma entrambi gli interlocutori della relazione sono vincenti. I bisogni di entrambi vengono tenuti in considerazione e si può scegliere se dare la priorità alle necessità altrui o se considerare maggiormente le proprie necessità.

Gli stili di comportamento possono quindi essere definiti aggressivi, passivi o assertivi: chi si situa all’estremo aggressivo del continuum si mostra concentrato sui propri desideri, ha la tendenza a dominare gli altri e l’unico obiettivo che si pone è il potere personale e sociale. Il suo stile espressivo è inequivocabile: tono autoritario, ritmi rapidi, tendenza a sovrapporsi all’interlocutore, accuse, domande calzanti. Chi invece si situa all’estremo passivo del continuum asseconda gli altri per evitare il conflitto e subisce spesso le situazioni senza opporsi. In questo caso lo stile espressivo è ricco di affermazioni vaghe ed incompiute e frequenti sono i richiami ai propri doveri e le espressioni di giustificazione e di autocommiserazione.

Sembra che entrambi gli atteggiamenti, aggressivo e passivo, abbiano un elemento in comune: la paura che il proprio pensiero o bisogno non venga riconosciuto e accolto, che la propria persona non venga accettata e valorizzata. I comportamenti che si mettono in atto sono diversi, ma entrambi compensatori: la persona aggressiva si mostra ostinata e giudicante, mentre la persona passiva appare compiacente e dipendente dal giudizio altrui.

Lo stile manipolativo è un’ interessante variante di stile non assertivo che mescola aspetti di entrambi gli stili che si situano agli espremi del continuum; lo stile manipolativo infatti è caratterizzato da comportamenti di tipo passivo-aggressivo: le persone che manifestano questo stile di comportamento utilizzano una modalità di comunicazione e interazione interpersonale indiretta, che gli permette di esprimere passivamente l’aggressività.

Spesso si riscontra in soggetti con bassa autostima, poco espansivi, che nutrono forti emozioni di rabbia non espressa (o che credono non sia lecito esprimere liberamente). L’obiettivo comunicativo non è mai esplicitato o condiviso con l’altro, ed è perseguito attraverso metodi come l’ironia o i discorsi allusivi.

Sebbene le persone non siano mai sempre e solo aggressive, passive o assertive, ciascuno di noi protende verso un determinato stile relazionale o tende ad adottarlo in particolari circostanze esterne o interne.

La stessa persona può essere, infatti, remissiva e passiva con i propri genitori, ma allo stesso tempo aggressiva con il partner o con i propri figli. Gli stili comunicativi, pertanto, si riferiscono a comportamenti e non a strutture di personalità e come tali possono essere appresi e modificati.

Lo stile comunicativo stesso, inoltre, può differenziarsi sulla base di alcune variabili insite nella situazione specifica o relative allo stato psico-fisiologico della persona in un determinato momento. Un esempio di ciò può essere costituito dal silenzio, il cui valore assertivo, aggressivo o passivo è strettamente vincolato alla situazione specifica.

Passività e non assertività

Uno stile comportamentale passivo porta la persona ad arrendersi al volere altrui ed a reprimere i propri desideri, compiacendo l’altro in cerca di approvazione e benevolenza.

Tale comportamento può essere mantenuto da un dialogo interno disfunzionale che incide sulla paura di irritare gli altri, sulla paura di essere rifiutati o sul sentirsi responsabili dei sentimenti altrui, fino ad ipotizzarsi responsabili delle sofferenze altrui per aver ferito l’interlocutore con le proprie parole, non aver ricambiato i sentimenti o aver disatteso le sue aspettative, pervenendo difficilmente alle cause della sofferenza nel comportamento altrui.

Le motivazioni o scopi che sostengono un simile comportamento sono di solito quelli di essere accettati e giudicati positivamente dagli altri, quello di evitare abbandoni, quello di evitare i conflitti, per la convinzione di non saperli gestire o per il timore delle conseguenze; quello di evitare rimproveri, disprezzo e colpevolizzazioni; quello di evitare le responsabilità, quello di ottenere con più facilità la simpatia e l’approvazione da parte degli altri, ecc.

Le principali convinzioni e credenze che sostengono tale comportamento possono essere “non sono in grado di ottenere i risultati sperati”; “se perdo il controllo mi comporto in modo inappropriato”; “i desideri/bisogni altrui sono prioritari rispetto ai miei”.

A lungo termine, però, questo comportamento può comportare progressivamente la perdita della stima di sé e del senso di efficacia personale, frutto della rinuncia prolungata a se stessi in favore dei bisogni altrui. Può, inoltre, comportare risentimento, frustrazione e rabbia verso desideri ed obiettivi non realizzati, irritazione, sensi di rabbia crescenti e percezione di repressione.

Il comportamento anassertivo passivo tende a comportare conseguenze anche sull’interlocutore che può non sentirsi stimolato da una conversazione in cui non vengono posti punti di vista alternativi o contrastanti, percependola come mancanza di partecipazione. L’interlocutore, inoltre, può sentirsi confuso dal mantenere una interazione con un soggetto che non esprime le proprie idee, opinioni e sentimenti o percepire sensi di colpa legati alla sensazioni di prevaricare l’altro.

Di solito lo stile educativo a cui le persone che usano prevalentemente uno stile passivo sono state sottoposte è stato quello tendente a dare valore agli aspetti formali, ad inibire l’espressione di bisogni e desideri, a colpevolizzare e a rendere precario il legame affettivo.

Anche il comportamento passivo può, in alcune circostanze, essere considerato assertivo, se utile e necessario e, quindi, se scelto e non automatico o derivante da emozioni incontrollate.

In alcuni casi uno stile comunicativo passivo è utile a non ingaggiarci in un interazione che potrebbe risultare disfunzionale per i nostri scopi:

  1. Se abbiamo poco tempo a disposizione per poter esporre le proprie opinioni è meglio rimandare ad un momento più propizio in cui avremo tempo di esprimerci e ad essere ascoltati
  2. Se l’emotività nostra o del nostro interlocutore è alta e rischia di travolgere la comunicazione è meglio rimandare il confronto a un momento di maggiore calma

Aggressività e non assertività

Il comportamento anassertivo di tipo aggressivo si realizza nel momento in cui la persona per raggiungere i propri obiettivi ed ottenere la propria gratificazione si afferma con violenza, minimizzando, calpestando o disconoscendo il valore altrui. E’ presente la difficoltà nel considerare punti di vista diversi dal proprio ed una percezione di non essere mai in errore. In tale caso i fallimenti vengono attribuiti all’ esterno, quindi alle circostanze o agli altri, compare una svalutazione dell’altro, rigidità, inflessibilità rispetto alle sue posizioni, ed incapacità nel distinguere le opinioni dalla realtà oggettiva.

La risposta che ne determina risulta essere imprevedibile, espressiva, sproporzionata rispetto allo stimolo, inadeguata e causa di sensi di colpa, espressione di ostilità o rancore; tali emozioni si possono realizzare nell’invasione dello spazio vitale altrui, nell’umiliazione o nel disprezzo.

Le motivazioni o scopi che sostengono un simile comportamento sono di solito quelli di dominare sugli altri, giudicati inferiori; quello di essere riconosciuto come essere unico e speciale; quello di evitare di essere alla mercé di altri e quello di evitare di apparire vulnerabile.

Le principali convinzioni e credenze che sostengono tale comportamento possono essere “gli altri devono adeguarsi alla mia volontà”, “se sfogo la mia rabbia poi mi sentirò meglio”, “con le maniere dure si ottengono più risultati”, etc.

Anche il comportamento anassertivo aggressivo viene mantenuto da vantaggi a breve e a lungo termine. Uno tra i maggiori vantaggi a breve termine è caratterizzato dal soddisfare i propri bisogni in un breve arco di tempo, la persona può avere la percezione di controllo della situazione, di forza ed apprezzamento all’esterno. Anche nel caso del comportamento aggressivo nel breve termine attraverso tale comportamento viene ridotta l’ ansia legata al timore di non riuscire ad ottenere il soddisfacimento ai propri bisogni, dando all’esterno l’immagine di forza. Un ulteriore fattore di mantenimento del comportamento è, infatti, costituito dal rinforzo sociale, dato dalla percezione di apprezzamento perché capaci di ottenere quanto desiderato.

A lungo termine si può verificare un progressivo isolamento sociale oppure i rapporti interpersonali che la persona intrattiene possono essere caratterizzati da inimicizie, rancore, sudditanza psicologica. La persona aggressiva è talmente irritante da provocare negli altri rigetto, reazioni violente oppure sottomissione ed annullamento, con conseguente logoramento ed impoverimento delle relazioni interpersonali, fino al completo isolamento. Il soggetto può, dunque, percepire di non essere accettato, di essere in pericolo oppure di dover lottare contro gli altri per mantenere la propria supremazia.

Al comportamento aggressivo è direttamente riferibile stanchezza e stress poiché tale comportamento implica il costante monitoraggio delle azioni altrui e l’incessante lotta per imporre il proprio valore.

Di solito lo stile educativo a cui le persone che usano prevalentemente uno stile aggressivo sono state sottoposte è stato di tipo punitivo e normativo tendente alla negazione di ogni forma di fragilità e debolezza.

Anche il comportamento aggressivo, come quello passivo, può in alcune circostanze, essere considerato assertivo. Un comportamento aggressivo è funzionale:

  1. Se vengono infrante delle regole (es. è il caso, ad esempio, del genitore che, dopo diversi falliti richiami alla prudenza, alza la voce con il proprio figlio per farsi ubbidire);
  2. Se si ha a che fare con persone ostili o esigenti. Ci sono persone a cui è praticamente impossibile far comprendere l’inadeguatezza del loro comportamento; in questi casi è meglio mettere subito in chiaro le cose.

Training di assertività

Nel 1949 lo psichiatra statunitense Andrew Salter, con il testo Conditioned Reflex Therapy, gettò le prime basi per lo sviluppo delle tecniche di quello che oggi, in Psicoterapia Cognitivo-Comportamentale, viene chiamato Training Assertivo.

Robert E. Alberti e Michael L. Emmons (1974) idearono il primo training assertivo rivolto all’attivazione di potenziale e non al trattamento clinico di disturbi psichiatrici. Essi enfatizzarono l’importanza dei diritti di ciascun essere umano, a prescindere dal suo status sociale. Secondo gli autori, ognuno ha il diritto di essere padrone della propria vita e di agire secondo il suo personale interesse e secondo le sue credenze, nonché di esprimere liberamente il suo punto di vista e i suoi sentimenti. Il principale obiettivo del training creato da Alberti ed Emmons era quello di aiutare le persone ad agire sulla base dei propri irrevocabili diritti personali. Lo sviluppo dell’autostima e di uno stile comportamentale assertivo non erano considerati, dunque, solo desiderabili, ma anche necessari per tutti i soggetti.

Nel 1981 Arnold P. Goldstein sviluppò una serie di esercizi volti ad acquisire certe competenze sociali. Questi esercizi erano rivolti a soggetti con difficoltà di apprendimento che venivano erroneamente ricondotte a deficit intellettivi, invece che a difficoltà relazionali. Tra gli esercizi ideati vi erano: osservare l’interlocutore, esprimere disaccordo, fare richieste, rispondere alle critiche, relazionarsi con persone insistenti, parlare in pubblico, etc.

Il training di assertività nasce innanzitutto come metodologia per trattare i sintomi di ansia sociale. Molte persone con difficoltà interpersonali attribuiscono i loro problemi a fattori interni di tratto (“sono timido”, “sono ansioso”), piuttosto che ad elementi di apprendimento e di interazione con l’ambiente. Chi ha questo tipo di difficoltà non ha sviluppato un variegato repertorio di azioni sociali adattive, imparando ad evitare le situazioni temute, sviluppando così “poca dimestichezza” in molte situazioni sociali ed un repertorio piuttosto tipico di convincimenti che favoriscono le inibizioni e l’espressione dell’ansia.

Il training di assertività è concepito soprattutto come trattamento di gruppo (anche se può essere applicato, con alcune varianti, individualmente). È costituito normalmente da 10-15 sedute di circa due ore ciascuna e comprende una parte teorica e molte parti pratiche.

Nella prima vengono illustrati i principi generali dell’ assertività, gli aspetti che normalmente favoriscono il comportamento non-assertivo (anassertivo), il modo per identificare correttamente le critiche improprie, le diverse tipologie di comunicazione di tipo verbale e non verbale, ecc.

Nelle seconde vengono svolte esercitazioni pratiche, role-playing (giochi di ruolo), esercizi di esposizione, per aiutare la persona ad applicare praticamente quanto appreso, ad esporsi e a vincere talune inibizioni.

Il training di assertività non ha solo applicazioni cliniche, ma può essere applicato anche in contesti organizzativi ed in gruppi di lavoro professionali.

 

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