La difficoltà nell’essere in disaccordo
Litigare con qualcuno non è mai piacevole: un conflitto fa soffrire, produce crisi e tensione e ci fa sentire in difficoltà. A seconda del modo in cui lo viviamo, possiamo vedere una discussione come un’occasione di confronto produttivo o come una situazione di stress che provoca emozioni intense e disregolate. Chi non ha particolari problemi ad affrontare scontri dialettici si potrà sentire confortato dalle risorse comunicative e relazionali che può utilizzare durante un conflitto; diversamente, chi ha paura di litigare e sente di non essere ben equipaggiato per farlo tenderà ad evitare ogni situazione in grado di generare dissapori e contrapposizioni.
Spesso le persone vengono in terapia con la richiesta di imparare a discutere in modo “sano”. Alcuni degli sfoghi più esemplificativi sono “Perché non riesco mai a dire quello che penso quando discuto con qualcuno?” o “Ogni volta che litigo, è come se il mio cervello si congelasse e non riuscisse a trovare delle argomentazioni valide” o “Evito i conflitti perché la mia rabbia porta sempre a un crollo: le persone non mi prendono mai sul serio quando inizio a piangere”. Situazioni del genere sono molto più diffuse di quanto si pensa e, in questo senso, sarebbe importante esplorare le radici di tale difficoltà emotiva e relazionale.
Perché ci chiudiamo in noi stessi anziché discutere?
Ci possono essere molteplici ragioni alla base della difficoltà ad affrontare apertamente le discussioni.
Le persone che tendono a rifuggire dai conflitti possono subire il fenomeno del people-pleasing, ossia la tendenza a voler piacere agli altri a tutti i costi pur di ottenere la loro approvazione. Molto spesso sono stati bambini inibiti nell’espressione dei loro bisogni e sono diventati adulti compiacenti e servili, che hanno imparato a non dire quello che pensano per assicurarsi la vicinanza dell’altro.
Altre persone che vivono il litigio con estrema fragilità e sofferenza possono aver sviluppato la chiusura emotiva come una risposta al trauma. Gli individui che hanno vissuto esperienze traumatiche nelle relazioni di attaccamento hanno visto recidere alla base la loro fiducia epistemica e, con essa, la possibilità di confrontarsi serenamente con l’altro. Alcuni di loro possono provenire da sistemi familiari altamente conflittuali dove la litigata e l’esternalizzazione di una rabbia esplosiva sono state le modalità di comunicazione dominanti.
Cosa ostacola una discussione?
Alla luce di queste possibili radici comuni, tre potrebbero essere le principali ragioni alla base della difficoltà a discutere.
Predisposizione alla sopraffazione emotiva
Se il solo pensiero di litigare inizia a far battere forte il cuore e a far scendere le lacrime, è possibile che la disregolazione emotiva stia prendendo il sopravvento e ostacolando la possibilità di comunicare in modo efficace durante un conflitto. Emozioni intense come rabbia, frustrazione o tristezza possono diventare opprimenti e rendere difficile impegnarsi in modo costruttivo nella conversazione. La chiusura, in quest’ottica, può diventare un meccanismo di difesa utile a proteggersi da ulteriori stress emotivi.
In questi momenti, tuttavia, cercare di farsi strada attraverso l’onda emotiva può rivelarsi inefficace: l’intensità emotiva, infatti, tende a frenare le funzioni cognitive, rendendo più difficile il ricorso ad argomenti convincenti con cui controbattere alle argomentazioni dell’interlocutore.
Utilizzo dell’ostruzionismo come tattica offensiva
In alcuni casi, le persone possono utilizzare la chiusura come un modo passivo-aggressivo per vendicarsi o punire l’altro durante una discussione: ritirandosi e rifiutando di impegnarsi in una conversazione difficile, essi sperano di trasmettere il loro dispiacere e manipolare così la situazione a loro favore. Questo comportamento è generalmente indicato come ostruzionismo ed è caratterizzato dal non stabilire un contatto visivo, dall’abbandonare le discussioni prima che siano risolte, dall’evitare del tutto alcuni argomenti e dall’interrompere bruscamente le discussioni se la situazione si fa troppo calda. Il problema dell’ostruzionismo, tuttavia, è che è un’arma a doppio taglio: nel soddisfare il bisogno immediato di respingere l’altro e preservare la tranquillità, finisce per lasciare inespresse le proprie emozioni e per far covare risentimento.
Litigare ripetutamente
In alcuni conflitti, indipendentemente da quanto la persona cerchi di ottimizzare il proprio stile di discussione, ci sono dei problemi irrisolvibili su cui è disfunzionale continuare a discutere. Può infatti succedere che, a causa di un trauma o di una fragilità emotiva, alcune aree della conversazione debbano essere limitate per proteggere le emozioni di una o entrambe le parti. A volte, il problema può essere troppo grande e si può semplicemente non parlarne, facendo affidamento sul passare del tempo per guarire la ferita.
Come imparare a discutere in modo sano
Qualsiasi sia la ragione alla base della difficoltà a litigare, le discussioni non sono mai esperienze intrinsecamente negative: ci aiutano a capire meglio noi stessi e a sviluppare abilità che altrimenti non saremmo in grado di maturare. Chiudersi durante il conflitto potrebbe aiutare a sentirsi meglio temporaneamente, ma non entrare mai in conflitto può rimandarne la risoluzione a tempo indeterminato.
In questa direzione, tre potrebbero essere le soluzioni utili a discutere in modo più sano e assertivo:
- Riconoscere e validare i propri sentimenti, comunicando all’altro il bisogno di una pausa temporanea per ristabilire il proprio equilibrio emotivo e, così, prevenire un’escalation del conflitto;
- Rimandare momentaneamente la discussione e cercare di capire cosa ha causato la personale reazione di ostruzionismo, affinché tale consapevolezza possa aiutare ad aprirsi e a comunicare con l’altro senza inibire ciò che si sente;
- In presenza di una fragilità significativa, consultare un professionista della salute mentale per capirne le radici profonde e riconoscere quando smettere di confliggere per prendersi cura del proprio benessere psicologico.