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Amore, Transfert e Psicopatologia: il caso di Carl Gustav Jung e Sabina Spierlein

La relazione tra Jung e Sabina Spielrein è un esempio di transfert erotico, frutto di emozioni positive o fuga dalla realtà che può trasformarsi in delirio.

Di Santina Micieli

Pubblicato il 20 Mar. 2019

Aggiornato il 28 Mar. 2019 13:56

Chi era Sabina Spierlein? E quale tipo di relazione ha avuto con Carl Gustav Jung, l’allievo di Freud? La loro storia ci porta a comprendere più da vicino come si legano amore, transfert e psicopatologia nel caso del transfert erotico.

 

Quando morirò voglio che il dottor Jung abbia la mia testa, solo lui potrà aprirla e sezionarla. Voglio che il mio corpo sia cremato e che le ceneri siano sparse sotto una quercia, e voglio che qualcuno scriva: “Anche lei era un essere umano”.

 

Queste parole sono tratte dal film “Prendimi l’anima”, è Sabina Spielrein a pronunciarle, in uno dei periodi più cupi della sua vita.

Sabina Spielrein è nata a Rostov sul Don nel 1885 da una famiglia ebrea benestante dell’Unione Sovietica. A 19 anni, dopo la morte della sorella, emersero delle profonde crisi depressive che la costrinsero ad internarsi in uno dei più importanti ospedali di Zurigo. Fu proprio in quell’ospedale che ricevette delle cure, che, in un anno, la fecero rinvigorire. Ad occuparsi di lei fu il giovane dottor Carl Gustav Jung. Le cure furono diverse rispetto a come venivano trattate le persone che avevano turbe mentali in quel periodo. Il giovane Jung si occupò di aiutare la Spielrein attraverso la parola. Inizialmente la paziente era impaurita e persa nel suo mondo interno, ma a poco a poco, Jung attraverso la parola e le tecniche psicoterapeutiche che aveva appreso dal suo maestro Freud, riuscì a tranquillizzarla e ad instaurare una buona alleanza terapeutica. Per la prima, volta dopo tanto tempo, Sabina si sentì rassicurata e a poco a poco riuscì a raccontarsi e ad aprirsi al giovane e premuroso dottore.

Dai racconti della paziente, Jung riuscì a comprendere e a dare un nome alle sue turbe che le tormentavano l’animo. La ragazza infatti aveva una fissazione sulle feci, che cercava di trattenere in tutti i modi, e problemi di masturbazione compulsiva; soffriva inoltre di «pavor nocturnus», di allucinazioni, accessi di riso, urla e pianto, diversi problemi del comportamento (che oggi potremmo definire borderline) e, infine, di depressione. Jung le diagnosticò un’isteria psicotica.

Secondo alcune ricerche la psicosi isterica potrebbe essere il risultato di uno stile di attaccamento di tipo traumatico (McWilliams, 2011). Tuttavia nella versione attuale del DSM non viene più riportata questa diagnosi; ciò ha indotto i clinici a diagnosticare la schizofrenia, anche nei casi in cui sembrerebbe più corretto prendere in considerazione un processo isteroide di tipo traumatico (McWilliams, 2011).

Jung scrisse a Freud:

… sto applicando attualmente il Suo metodo alla cura di un’isteria. È un caso difficile: una studentessa russa ventenne, ammalata da sei anni. Primo trauma: verso il terzo-quarto anno di vita. La bimba vede il padre che percuote sul sedere nudo il fratello maggiore. Forte impressione. In seguito è costretta a pensare di aver defecato sulla mano del padre. Dal quarto al settimo anno continui tentativi di defecare sui propri piedi, compiuti nel modo seguente: si siede per terra tenendo un piede ripiegato sotto il corpo, preme il calcagno contro l’ano e cerca di defecare e, al tempo stesso, di impedire la defecazione. In questo modo frena più volte l’evacuazione anche per due intere settimane! Non so come sia arrivata a questa storia stranissima; si trattava, così pare, di un fatto di carattere assolutamente pulsionale, accompagnato da una deliziosa sensazione di orrore. In seguito questo fenomeno è stato sostituito da una masturbazione intensa. Le sarei estremamente grato se volesse comunicarmi in poche parole la Sua opinione su questa storia (Freud & Jung, 1990).

Dalle parole di Jung è possibile comprendere che la Spielrein aveva vissuto un evento perturbante in età edipica.

Rimozione, sessualizzazione e regressione

I meccanismi di difesa principalmente implicati nell’isteria, sono: la rimozione, la sessualizzazione e la regressione (McWilliams, 2011).

La rimozione, in accordo con le idee di Freud, è un processo mentale centrale nell’isteria (McWilliams, 2011). Nello specifico, Freud riteneva che i vissuti traumatici infantili (spesso incestuosi) fossero rimossi dai pazienti (McWilliams, 2011). Attraverso l’ipnosi, i pazienti rivivevano i traumi e li riportavano alla coscienza ed i sintomi isterici scomparivano (McWilliams, 2011). Quindi, eliminare la rimozione e far emergere il ricordo traumatico, era uno dei compiti più importanti dell’analista (McWilliams, 2011). Freud infine si convinse che i ricordi che venivano rimossi da questi pazienti, erano fantasie ed impulsi di tipo sessuale, paure ed affetti dolorosi (McWilliams, 2011). In particolare, secondo lo psicoanalista, l’educazione che mira alla censura e alla repressione delle pulsioni sessuali può aumentare il rischio dell’insorgenza di isteria in quanto questa forza biologica viene deviata ma non eliminata (McWilliams, 2011).

Fu proprio da queste considerazioni, che Freud, cominciò a vedere alcune malattie come conversioni dell’impulso in sintomi biologici (McWilliams, 2011). Tuttavia, secondo Freud l’isteria è il risultato della lotta tra l’Es e il Super-Io (McWilliams, 2011).

Oltre la sessualizzazione e la rimozione, le pazienti isteriche utilizzano la regressione, soprattutto nelle situazioni in cui si sentono insicure, rifiutate; per evitare sensi di colpa o paure inconsce, nel tentativo di disarmare chi potrebbe maltrattarle o rifiutarle, adottano un atteggiamento infantile ed indifeso (McWilliams, 2011). Infatti possono diventare dipendenti, piagnucolose, ammalarsi fisicamente e lamentose (McWilliams, 2011).

Il trattamento e la fine della “relazione” terapeutica

Fu proprio attraverso “la parola”, come affermato in precedenza, che Jung si avvicinò a Sabina per condurla alla riappropriazione del senso di sé e reimmetterla nella pensabilità umana. Tuttavia, con la parola le dona confidenze e aspetti di sé fino ad allora custoditi in privato, con la parola la calma, la rassicura, la guarisce, ma anche la seduce.

Sabina, anche grazie alle cure di Jung, guarì, si iscrisse all’Università e si laureò in medicina, specializzandosi in psicoanalisi e pedagogia presso la facoltà di medicina dell’Università di Zurigo. La Spielrein si laureò con una tesi su un caso di schizofrenia: “Il contenuto psicologico di un caso di schizofrenia”, che fu pubblicato nel 1911 sullo Jahrbuch. Nello stesso anno divenne membro della Società di Psicoanalisi di Vienna. La Spielrein parlò nei suoi scritti della paura del sesso nello psicotico, collegandola alla paura di disintegrazione del paziente: la paura di perdere se stessi, di dissolversi in un’altra persona amata. Per questo, secondo la Spielrein gli schizofrenici sostituiscono la realtà con le loro fantasie. Anche nei suoi lavori successivi la Spielrein tornò più volte su questo tema del perdere se stessi.

Nel tempo, intanto, la relazione terapeutica e professionale con Jung era diventata amore: iniziò infatti fra loro una relazione intensa, che sarebbe durata sette anni. Anche Jung si lasciò coinvolgere completamente da questa storia d’amore e vi si spinse forse molto al di là di quanto avrebbe dovuto. Il rapporto fra Jung e la Spielrein andò nettamente in crisi quando, sul finire della relazione, Sabina cominciò pressantemente a chiedere un figlio a Jung che invece, essendo sposato, non voleva darglielo, per non rischiare lo scandalo.

Lo scandalo tuttavia emerse ugualmente in quanto la madre di Sabina un giorno si vide recapitare una lettera (forse scritta in forma anonima dalla moglie di Jung) in cui le si suggeriva di prestare più attenzione ai comportamenti della figlia. Nel 1912 Sabina Spierlein sposa il medico russo Pavel Scheftel, anche se, dentro di lei, non dimenticherà mai Jung (infatti i due continuarono il rapporto epistolare fino al 1919).

La Spierlein e la psicoanalisi

I contributi della Spierlein vengono ripresi dallo stesso Freud, con il quale la donna ha avuto una fitta corrispondenza.

Nel 1913 nasce sua figlia Renate con la quale torna in Russia nel 1923. Si stabilisce a Mosca, che era in pieno fermento per le idee e le riforme introdotte da Lenin. Qui si specializza nel campo della psicoanalisi e della psicologia infantile e diventa direttrice dell’asilo bianco, così chiamato per il colore con il quale erano dipinti i suoi interni. L’asilo bianco, fondato da Vera Schmidt, rappresenta un esperimento ambizioso in cui Sabina non smise mai di credere: in esso i bambini (tra cui anche il figlio di Stalin) venivano fatti crescere in assoluta libertà, per aiutarli a diventare uomini e veramente liberi.

Il sogno dell’asilo bianco si interrompe tuttavia bruscamente durante gli anni della dittatura di Stalin. Il regime fa chiudere l’asilo, bandisce la psicoanalisi, infatti, nel 1924 Stalin dichiarò la psicoanalisi fuori legge, ma Sabina continuò, illegalmente, a praticarla in privato. Durante il regime staliniano morirono sia i fratelli che il marito della Spielrein (1938). Nel 1941 Rostov sul Don fu occupata dall’esercito Tedesco. La psicoanalista non credeva fino in fondo alla crudeltà nazista e per questo si rifiutò di fuggire dalla sua città. Con molti altri ebrei e con le sue due figlie (28 e 18 anni), fu invece portata in una sinagoga e uccisa dai nazisti nell’agosto del 1942. Non si conosce la data precisa della sua morte.

Le ricerche sulla seconda parte della vita della Spielrein sono state difficili, ma hanno avuto una svolta decisiva quando Roberto Faenza, il regista del film “Prendimi l’anima” ha rintracciato per caso il figlio di Vera Schmidt, ultimo sopravvissuto tra i bimbi che avevano frequentato l’asilo bianco. I suoi scritti di psicoanalisi sono stati giudicati interessanti ed originali. Spicca fra tutti l’epistolario intrattenuto con Freud e Jung ed il diario che Sabina scrisse durante la sua relazione terapeutica e sentimentale con Jung stesso, dalla quale esce non solo guarita ma anche desiderosa di condividere con la sua intelligenza la storia della psicoanalisi. Infatti fu la prima donna ad esercitare la psicoanalisi in Russia.

Implicazioni sulla psicoanalisi

Durante la terapia, Sabina idealizza Jung e gli confessa di avere una forte attrazione verso di lui. Inizialmente Jung le conferma e pare che ricambi questi desideri (De Masi, 2012), dopo desiste e cerca in tutti i modi di sopprimere questa pericolosa relazione (De Masi, 2012).

Attraverso la storia di Sabina Spielrein e Jung, è stato possibile studiare ed inserire nelle tipologie di transfert, il transfert passionale-erotico (De Masi, 2012) (che pare abbia accompagnato per diversi anni la Spierlein, anche durante il matrimonio e le gravidanze). Il transfert erotico può prendere avvio da emozioni positive per costruire nuove esperienze condivise oppure, trarre alimento da costruzioni falsificate e distorte (De Masi, 2012). Nel primo caso viene inteso come una forza propulsiva al cambiamento, nel secondo caso corrisponde ad una fuga dalla realtà psichica e può trasformarsi in un vero e proprio delirio (De Masi, 2012). Sul versante clinico, ci sono casi in cui è possibile analizzarlo e ricorda un amore ideale infantile e casi in cui è difficile da trattare e quindi assume un carattere maligno, simile ad uno stato delirante (De Masi, 2012).

Infine, secondo Freud, occorrerebbe mantenere in vita questo tipo di transfert per poterlo interpretare e per poter comprendere le origini infantili e risolverle e nel frattempo l’analista dovrebbe fare affidamento alle sue competenze analitiche per poter resistere alle continue provocazioni delle pazienti (De Masi, 2012).

Nonostante Sabina Spielrein tentasse in tutti i modi di spiegare la natura delle sue fantasie, l’allievo di Freud non le analizzava (De Masi, 2012). Tuttavia la natura delle sue fantasie gli servì per le sue teorizzazioni future (aveva solo 21 anni!) (De Masi, 2012).

 

GUARDA IL TRAILER DEL FILM “PRENDIMI L’ANIMA”:

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RIFERIMENTI BIBLIOGRAFICI
  • Mc Williams, N. (2012). La Diagnosi Psicoanalitica. Astrolabio, Roma.
  • De Masi, F. (2012). Lavorare con i pazienti difficili. Bollati Boringhieri.
  • Freud, S., Jung, C.G. (1990). Lettere tra Freud e Jung (1906-1913). Bollati Boringhieri.
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