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Le forme vitali (2011) di Daniel Stern – Recensione del libro

Le forme vitali di Daniel Stern è un libro di nicchia psiconalitica (ma non solo) che è destinato a far riflettere. Molto utile agli artisti e agli eclettici. Interessante per lo psicologo, necessario per chi lavora nel cinema perché centrato sul modo in cui percepiamo noi stessi e la realtà che ci circonda

Di Maurilio Verdesca

Pubblicato il 12 Nov. 2018

Aggiornato il 25 Giu. 2019 11:54

Come bene esplicita negli ultimi passaggi del suo volumetto Le forme vitali, Daniel Stern teme di spingersi “troppo oltre”, senza un adeguato supporto empirico a sostegno delle affascinanti ipotesi, e nel contempo esprime il forte desiderio di farsi comprendere in maniera fedele e autentica, complessa.

 

Il testo in oggetto si legge tutto d’un fiato. Si potrebbe definire come una musa, in quanto, oltre ad essere fonte di ispirazione, si rivela capace di condurre in posti lontani dalla stanza d’analisi.

Anzitutto, colpisce il sottotitolo in copertina: Psicologia, psicoterapia, sviluppo ed espressione artistica dell’esperienza dinamica. Mi è parso subito richiamare un libro trasversale, eclettico, in grado di estendere le proprietà essenziali della mente a tutti i processi culturali che gli uomini plasmano e da cui sono plasmati. Esiste forse un collante in grado di legare la psicoterapia alla musica, al teatro o al cinema? Hanno forse questi domini – apparentemente lontani – la stessa consistenza?

Con queste premesse come avrei potuto resistere?

Vi lascio al succo che ho estratto dalle pagine di Le Forme Vitali: L’esperienza dinamica in psicologia, nell’arte, in psicoterapia e nello sviluppo di Daniel Stern (2011).

Le forme vitali: impressioni implicite che costruiscono e decostruiscono il sintomo

Movimento, tempo, forma, spazio, intenzione/direzionalità sono i parametri in grado di descrivere quelle che l’autore definisce Le Forme Vitali. Le caratteristiche sopra riportate sono amodali, difatti non descrivono mai il “cosa”, ma hanno a che fare con il “come”. Sono solitamente verbalizzabili sotto forma di aggettivi o di avverbi, percepibili (di solito in maniera inconsapevole) come sensazioni viscerali, impressioni d’un attimo. Se descrivessimo qualcosa come intenso, crescente, forte e di breve durata ci riferiremmo alla qualità di una esperienza o di una emozione, non di certo al suo contenuto. Diremmo, in altre parole, molto della sua dinamica, del suo comportamento ma niente circa il suo nome. E’ questo l’approccio che caratterizza e sintetizza la visione dell’autore: secondo Daniel Stern queste caratteristiche sono il fulcro della fenomenologia percettiva umana, la forma più irriflessiva e precoce che l’uomo dispone per conoscere e valutare. Esse sono ciò che precede il mondo dell’informazione e che dunque coincidono con il nostro modo implicito di elaborare il mondo sin dai primi istanti dell’esistenza. Stiamo parlando di impressioni inconsce, grezze e poco strutturate; difatti solo una piccola parte di esse diviene da noi dichiarabile ed esperibile sotto forma di vissuto emozionale. Buona parte di esse è accessibile da più linguaggi quali l’arte, il cinema, il teatro, quello della metafora e – aggiungerei – della costruzione e della decostruzione del sintomo.

L’ ARTICOLO CONTINUA DOPO L’IMMAGINE

Le forme vitali di Daniel Stern - Recensione del libro fig1

Imm. 1 – Le forme vitali: intensità e tempo

Ricordiamo che il neonato valuta la familiarità del caregiver tramite la visione periferica, questa micro abilità, apprezzabile al livello di millisecondi, guida le più disparate abilità intuitive adulte quali anche quella dei musicisti jazz nelle jam session, così da permettere loro d’essere a tempo l’un l’altro, sebbene in mancanza di un particolare accordo esplicito preventivo. Sono dunque più proprietà, queste, che concorrono a risolversi in una totalità Gestaltica. Proprietà che concernono con le modalità che utilizziamo nel quotidiano per relazionarci con gli altri, in gergo: conoscenza relazione implicita (Lyons-Ruth, 2007).

Forme vitali: sono il nostro sesto senso

Non appartengono a nessun senso le Forme Vitali, anzi, si potrebbe immaginare come esse fungano da sesto senso in grado di rilevare e definire quelle tipologie di profili dinamici che hanno a che fare con lo stile di una persona, col modo in cui si muove, col ritmo e col volume con cui parla, ecc. A favore delle sue ipotesi, Daniel Stern, chiama in causa la teoria del campo sensoro-tonico secondo la quale all’inizio dell’esperienza vitale le modalità sensoriali sarebbero indifferenziate, solo in seguito diverrebbero discrete, separate e specializzate. Così la visione di una linea spigolosa, decisa e dentellata può evocare ansia, forza, energia, mentre una curva progressiva può associarsi a calma, gentilezza, tranquillità (fig.1). Sono vere e proprie sinestesie, non rare nei primi mesi di vita. Recentemente alcuni neuroscienziati hanno scoperto in diverse aree cerebrali dei neuroni multisensoriali. L’informazione riguardante le Forme Vitali è dunque estraibile e utilizzabile in più aree integrative corticali, è traducibile, trasponibile. Rappresenta una sorta di linguaggio universale, molto simile a una musicalità, irrazionale e coinvolgente, che si esprime a livello corporeo, incarnato e cinestetico. Meglio colta dal movimento Decadentista ottocentesco sotto il nome di ‘corrispondenze’ e dallo stesso autore come ‘sintonizzazione affettiva’. L’autore insiste nell’attribuire suddette forme vitali al concetto di arousal. E’ l’arousal che coincide e performa queste logiche emotive, fatte di picchi crescenti e decrescenti. Per chiarire meglio il mondo invisibile delle forme vitali, centrale e potente (in particolare) nel mondo interpersonale del bambino, l’autore sottolinea e ribadisce come tali notazioni sono letteralmente necessarie al musicista al fine di cogliere ed eseguire correttamente l’espressività e l’anima di una composizione. E’ utile, infatti, precisare come negli spartiti musicali sono riportati, secondo appositi segni convenzionali, indicazioni (dettagli cruciali) circa l’intensità, la pausa, la cadenza, il ritmo. Ciò si complica ancora di più nel teatro e nel cinema ove più linguaggi sono soliti incrociarsi in maniera cross-modale, esclusivamente secondo coordinazioni funzionali, sincroniche.

Forme vitali: sono il nostro sesto senso

Nell’ultima parte del libro Le forme vitali l’autore si rivolge al campo psicoterapeutico, chiarisce – a mio parere secondo un’impronta Loewaldiana (Loewald, 1962) – come l’identificazione sia un meccanismo più semplice e pragmatico di quanto si è soliti pensare; essa consisterebbe, infatti, in una investimento affettivo di forme vitali di una persona, in qualche modo, per noi significativa (interiorizzazione).

E’ l’esperienza emotiva [delle Forme Vitali] dell’interazione che viene identificata, non gli oggetti.

Quantomeno interessante sarebbe, alla luce di ciò, ripensare concetti quale quelli di Transfert e Controtransfert. Pertanto, il cuore pulsante della psicoterapia sarebbero proprio queste Forme Vitali in interazione. Personalmente ho sempre pensato che l’arte e la poesia siano parte della nostra visione periferica, così radicata in noi, così tanto sotto il nostro naso, da non essere vista, da sembrarci affascinante e mai del tutto afferrabile o comprensibile secondo le consuete norme del razionale.

E se davvero fosse questo il nostro modo di codificare la realtà? Se fosse questo il modo con cui ci riesce facile intenderci coi nostri gatti e i nostri cani? Se si esprimesse in quest’ordine il linguaggio dei nostri sogni e delle nostre paure? Se non fossero poi le pennellate di Van Gogh così lontane dai brividi che abbiamo sulle spalle di fronte a una ‘Notte Stellata’? Sono forse le Forme Vitali che ci fanno ballare secondo pattern inesprimibili nella danza e talvolta sublimi nella musica?

Un libro, questa operetta di nicchia psiconalitica (e non solo) che è destinato a far riflettere. Molto utile anche agli artisti e agli eclettici. Interessante per lo psicologo, necessario per chi lavora nel cinema.

 

 

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RIFERIMENTI BIBLIOGRAFICI
Loewald, H. W. (1962). Internalization, separation, mourning, and the superego. The Psychoanalytic Quarterly, 31(4), 483-504. Lyons-Ruth, K. (2007). La conoscenza relazionale implicita: il suo ruolo nello sviluppo e nella psicoterapia psicoanalitica. Carli L., Rodini C, 1-0. Stern, D. (2011). Le forme vitali. Psicologia, psicoterapia, sviluppo ed espressione artistica dell’esperienza dinamica. Milano: Cortina.
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