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DSA e Metacognizione: l’importanza dell’approccio metacognitivo come parte integrante del percorso abilitativo ed educativo degli alunni con Disturbi Specifici dell’Apprendimento

I bambini con DSA presentano alcuni deficit a livello di metacognizione riguardo sia abilità scolastiche specifiche sia aspetti come memoria, autovalutazione, metodo di studio e autostima. Per questo il potenziamento dei processi metacognitivi dovrebbe essere parte integrante del percorso educativo di questi alunni.

Di Fabiola Colaci

Pubblicato il 14 Set. 2018

Aggiornato il 27 Giu. 2019 12:43

Si sente parlare sempre più spesso di metacognizione e della sua esplicazione nei campi più diversi, tanto che oggi la “didattica metacognitiva” riveste un ruolo primario già a partire dalla scuola dell’infanzia ed in particolare nel supporto di bambini con Disturbi Specifici dell’Apprendimento (DSA).

 

Il termine metacognizione, introdotto nel 1976 da John H. Flavell nell’ambito dei suoi studi sulle abilità cognitive e la memoria, indica l’insieme dei processi sovraordinati dell’attività cognitiva e prevede due aspetti fondamentali: la conoscenza che il soggetto possiede circa i propri processi e contenuti di pensiero e i processi strategici e di controllo, ovvero le modalità attraverso cui esercita un controllo su questi.

Metacognizione e processi di apprendimento

La metacognizione è sicuramente trasversale ai processi di apprendimento ed è il motivo per il quale trova un forte interesse nei contesti scolastici e negli attuali piani di formazione dei docenti. Essendo relativa allo sviluppo delle conoscenze sui propri processi cognitivi (includendo pertanto l’attenzione, la memoria e la comprensione), la “didattica metacognitiva”, oggi, costituisce un’area rilevante nei contesti di apprendimento ed educativi, andando a potenziare nell’alunno la conoscenza e l’utilizzo efficace di strategie per l’acquisizione di contenuti disciplinari e di abilità specifiche.

Il fine di questo approccio didattico è, dunque, quello di “imparare ad imparare”, in altre parole ad attivare consapevolmente tutte quelle capacità e quelle procedure volte ad acquisire apprendimenti efficaci e spendibili in contesti differenti e nuove situazioni.

Esiste, pertanto, un profondo legame tra processi metacognitivi e la prestazione legata ad un’attività di apprendimento, regolabile in base al potenziamento di opportune modalità di agire sul compito.

Una di queste, ad esempio, è quella di usare una strategia adeguatamente efficace, per cui un soggetto può decidere, ad esempio, di affrontare un’attività in un certo modo piuttosto che in un altro in base alla consapevolezza del suo stile di apprendimento. Nel momento in cui ci si trova ad affrontare un compito cognitivo, infatti, tendenzialmente si compiono una serie di valutazioni che riguardano: la stima della difficoltà del compito stesso, la previsione del tempo necessario per svolgerlo, la quantità di risorse che verranno impiegate, il monitoraggio dell’esecuzione, l’anticipazione del risultato e la valutazione dello stesso. Pertanto, le competenze metacognitive sviluppano nell’alunno la consapevolezza di quello che sta facendo, del perché lo fa, di quando è più opportuno farlo e, ancora, in quali condizioni.

L’individuo come protagonista del processo di apprendimento

Un aspetto positivo dell’approccio metacognitivo è rappresentato dal ruolo che viene attribuito all’utente: si punta infatti, esplicitamente, ad un ruolo attivo, competente e autonomo. Ciò significa che l’individuo diviene protagonista attivo del proprio processo di apprendimento.

Metacognizione e Disturbi Specifici dell’Apprendimento (DSA)

Negli ultimi anni, l’interesse della ricerca di ambito clinico e psicopedagogico, è stato rivolto alla relazione tra metacognizione e Disturbi Specifici dell’Apprendimento (DSA), riscontrando come questi bambini abbiano, effettivamente, una scarsa consapevolezza dei propri processi di pensiero e nel mettere in atto, quindi, adeguate strategie di esecuzione, controllo e autovalutazione del compito.

Cornoldi asserisce, infatti, che i bambini con Disturbo Specifico della lettura e del calcolo, hanno difficoltà nel riconoscere e mettere in atto strategie efficaci, nonché nell’autovalutazione rispetto al compito, notando come, in questi bambini, sia particolarmente evidente la passività e la meccanicità.

Stone, d’altro canto, aveva precedentemente affermato che i soggetti con DSA presentano frequentemente storie di insuccesso nella scuola dell’obbligo e, pertanto, ad una scarsa autostima di questi alunni, si associa una stima più bassa in merito alle proprie abilità specifiche.

Altri autori ancora hanno individuato che spesso i bambini con DSA risultano carenti per quattro aspetti metacognitivi principali:

  1. scarsa consapevolezza degli scopi della letto-scrittura
  2. carente attivazione di schemi di comprensione
  3. mancata autovalutazione della comprensione
  4. non applicazione di strategie per superare i problemi legati a quest’aspetto (non vanno alla ricerca di strategie per comprendere, ma di strategie per terminare presto il compito o evitarlo)

Palladino e collaboratori, nel 2000, asserirono in effetti che, confrontando un gruppo di adolescenti con DSA e un gruppo di coetanei senza DSA, il primo presentava minori capacità strategiche, minori attribuzioni interne e un numero maggiore di sintomi depressivi.

Alla luce dei dati raccolti dai ricercatori nel corso del tempo, si evince che i bambini con un Disturbo Specifico dell’Apprendimento sembrano avere inadeguate competenze metacognitive non solo riguardo alle abilità scolastiche in senso stretto (lettura, scrittura e calcolo), ma anche riguardo ad altri aspetti, come la memoria, l’autovalutazione, il metodo di studio e l’autostima.

Proprio sulla base di queste osservazioni, oggi i clinici identificano il potenziamento delle dinamiche e dei processi metacognitivi come parte integrante del percorso abilitativo ed educativo di questi alunni.

Come strutturare un percorso metacognitivo in ambito didattico o abilitativo?

Secondo Ianes, volendo articolare un percorso metacognitivo in ambito didattico o abilitativo, è importante lavorare su più livelli:

  • un primo livello riguarda le conoscenze generali in merito a quella che, più tecnicamente, viene definita Teoria della Mente, ovvero quelle conoscenze circa il nostro funzionamento cognitivo generale (memoria, immagazzinamento delle informazioni, attenzione…)
  • un secondo livello riguarda l’autoconsapevolezza del proprio funzionamento cognitivo e del proprio stile di apprendimento, a cui andrebbe affiancato un percorso di accettazione, senza il quale si potrebbero avere ricadute importanti sull’autostima e sulla motivazione
  • ad un terzo livello si lavora sull’uso delle strategie di autoregolazione: fissarsi un obiettivo e individuare la strategia per raggiungerlo (ad es. come posso fare per ricordare la procedura della moltiplicazione?). In tali alunni diviene importante, ad esempio, la riflessione sugli errori prodotti: quando un errore viene utilizzato come occasione di riflessione, i benefici sono molteplici. La semplice correzione è insufficiente: bisognerà cercare di entrare nel percorso metacognitivo del soggetto per capire le strategie inadeguate messe in atto e proporne di nuove e più efficaci. Ad esempio l’alunno potrebbe cercare di darsi delle istruzioni-guida (ad es. scrivere su un foglio una scaletta delle azioni da compiere ad ogni passaggio) e infine valutare il corretto svolgimento delle varie operazioni tramite la calcolatrice. In effetti, l’autoregolazione è, al pari dell’autonomia, un valore riconosciuto come estremamente prezioso nella cultura pedagogica attuale. Essa si può ottenere attraverso strategie di planning, che prevedono la programmazione di una sequenza stabile di azioni in modo tale che non sia omessa nessuna componente. Lo studio strategico, pertanto, risulta in stretta relazione con la metacognizione. Le conoscenze metacognitive relative allo studio riguardano ciò che l’alunno sa, o crede di sapere, relativamente a se stesso come studente, alle sue abilità didattiche, alle varie discipline e al compito specifico che deve affrontare in quel momento, alle strategie da utilizzare, agli scopi che si pone. Autoregolarsi vuol dire, inoltre, saper pianificare le proprie attività secondo tempi e modi, monitorarle in itinere, verificarne i risultati finali (Brown, 1987). A titolo di esempio, processi di autoregolazione attivati durante l’attività di studio possono essere: “questo testo richiede attenzione perché alcuni passaggi sono poco chiari”; “considerati gli impegni pomeridiani organizzerò i compiti in questo modo…”; ” questo capitolo lo studierò dividendolo in sequenze”, “prevedo queste fasi per portare a termine il problema”. Quando si diventa via via più consapevoli, si utilizzano le strategie in modo più automatico e spontaneo, con minor sforzo, maggiore soddisfazione personale e senso di autoefficacia.
  • ad un quarto livello si lavora sulle variabili psicologiche del soggetto legate alla concezione di sé: gli effetti legati all’immagine di se stesso come studente possono infatti interferire, positivamente o meno, sulle attività di studio e di successo scolastico

Questi quattro modelli sono strettamente interconnessi e pertanto l’approccio che ne deriva deve essere globale e integrato.

Riguardo l’immagine che l’individuo ha di se stesso, De Beni e Moè nel 1996, affermavano che, gli alunni con DSA, tendono ad avere uno stile attributivo poco adeguato: tendono ad attribuire i fallimenti a fattori interni (come la scarsa capacità o limitata intelligenza) e i successi a fattori esterni (come la fortuna o un aiuto), ovvero situazioni che risulterebbero al di fuori del loro controllo. Non usano le strategie in modo spontaneo, necessitano di aiuti esterni, spendono più risorse cognitive senza trarre evidenti vantaggi.

È necessario, pertanto, stimolare nel soggetto un senso di controllo positivo, almeno in alcuni settori della vita scolastica, discutendo con lui il rapporto tra la propria attività, gli effetti prodotti da questa e quelli attribuiti a fattori esterni, andando a potenziare i meccanismi del locus of control.

Altresì importante risulta verificare gli atteggiamenti e le convinzioni che possiede riguardo alle strategie e alla loro utilità nel processo di apprendimento: è importante aiutarlo a capire in che modo le sue convinzioni influiscono sulla motivazione e sull’autostima. Ciò significa aiutarlo a capire se stesso e i suoi processi di pensiero e iniziare ad attribuire nuovamente valore all’apprendimento, accorgendosi come quest’ultimo sia in relazione con i suoi interessi e obiettivi personali.

Per concludere

Il bambino con DSA, in effetti, è generalmente un bambino che non ama ciò che fa: le attività scolastiche sono spesso fonte di ansia e frustrazione, pertanto, se non si cambia radicalmente questo segno negativo nel rapporto che egli ha con il proprio lavoro, viene a mancare la molla fondamentale per ogni reale progresso.

Quanto detto finora ci porta a riflettere sul fatto che un intervento specialistico è fondamentale per realizzare un percorso “clinico” e/o educativo significativo e davvero utile.

È fondamentale elaborare dei training basati su un approccio metacognitivo che tenga conto delle caratteristiche individuali dello studente, degli aspetti cognitivi, metacognitivi ed emotivo-motivazionali.

Abituare il bambino ad un assetto di lavoro più ordinato e consapevole è premessa indispensabile perché egli possa provare gratificazione e interesse per ciò che sta facendo.

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RIFERIMENTI BIBLIOGRAFICI
  • Brown, A.L. (1987). Metacognition, executive control, self-regulation, and other more mysterious mechanism. In F.E. Weinert - R.H. Kluwe (a cura di), Metacognition, Motivation, and Understanding. Hillsdale. NJ: Lawrence Erlbaum, pp.65-116.
  • Cornoldi, C. (2017). Le difficoltà di apprendimento a scuola. Il Mulino.
  • De Beni, R., Moè, A. (1996). Stile attributivo e abitudine di studio: confronto tra soggetti normali e con difficoltà di apprendimento. In Orientamenti Pedagogici. Trento: Erickson, vol. 43, pp. 599-617.
  • Flavell, J.H. (1976). Metacognitive aspects of problem solving. In L. B. Resnick (a cura di), The nature of intelligence. Hillsdale. NJ: Lawrence Erlbaum, pp.231-235.
  • Ianes, D. (1996). Metacognizione e insegnamento. Trento: Erickson, pag.15.
  • Palladino P., Poli P., Masi G., Marcheschi, M. (2000). The relation between metacognition and de-pressive symptoms in preadolescents with learning disabilities: Data in support of Brokowski’s model. In Learning Disabilities Research and Practice. Wiley Blackwell, vol. 15, pp. 142-148.
  • Stone, W.L., La Greca, A. (1990). The social status of children with learning disabilities: a reexamination, in Journal of Learning Disabilities. SAGE Publications, vol. 23, pp. 32-38.
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