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Adattarsi ai tempi del terrorismo: effetti sulla popolazione generale e cambiamento nelle abitudini

Le conseguenze di un attacco terroristico sono diffuse non solo nelle vittime dirette, ma anche nella comunità, nella popolazione generale.

Di Antonio Cozzi, Raffaele Guido

Pubblicato il 22 Nov. 2017

Aggiornato il 03 Set. 2019 15:19

In generale la paura di rimanere coinvolti in un attacco terroristico può essere razionale, nei casi in cui la minaccia ed il rischio siamo costanti (vivere nelle grandi città), ed irrazionale, quando si tende a sovrastimare il rischio di essere vittime di un attacco

Antonio Cozzi e Raffaele Guido – Open School Psicoterapia Cognitiva e Ricerca Milano

 

Terrorismo: quale definizione?

Per quanto non esista una definizione unica e condivisa del termine terrorismo, esso può essere descritto come l’uso sistematico di azioni criminali contro persone o beni, con lo scopo di diffondere paura e terrore nella popolazione. Proprio in funzione di tale scopo, l’impatto e la risonanza che gli atti terroristici hanno sulla popolazione risultano, ai fini della causa terroristica, più importanti degli esiti fisici dell’azione (danni, numero di vittime).

Spesso gli atti terroristici hanno scopi politici particolari, ne sono esempio le numerose organizzazioni nate in Europa nel ‘900, ad esempio l’IRA in Irlanda del Nord, le Brigate Rosse in Italia, ecc (Living with terrorism, 2017).

In altri casi, considerando ad esempio la minaccia attuale prodotta dal fondamentalismo islamico, le organizzazioni terroristiche agiscono in difesa dell’identità e dei valori religiosi e culturali che rappresentano, perseguendo coloro che sono considerati offensori e che ne minacciano l’identità e la sopravvivenza. L’accusa in questo caso può riguardare il non rispetto della cultura o religione (attantato di Charlie Hebdo), altre azioni possono essere attuate come vendetta nei confronti di paesi che hanno tentato di contrastare l’espansione estremista attraverso altre azioni militari (ne sono esempio gli attentati nelle principali capitali europee, e negli Stati Uniti, colpi inflitti al cuore del mondo occidentale) o che in generale ne abbiano minacciato i valori.

Gli effetti di un attacco terroristico sulla popolazione generale

L’attenzione a chi è stato fisicamente coinvolto in tali eventi è sicuramente la prima a dirigersi. Tuttavia, le conseguenze del terrorismo sono diffuse non solo nelle vittime dirette, ma anche nella comunità, nella popolazione generale.

La diffusione mediatica della minaccia terroristica, l’aumento degli attacchi e la loro violenza, condizionano in modo rilevante la vita delle persone, infondendo paura e diffidenza.

Non sono solo gli incidenti maggiori ad avere effetti sulle persone. Già un anno fa il sociologo Marco Orioles commentava l’aumentata diffidenza nei confronti dell’immigrazione sostenendo il ruolo delle immagini televisive riguardanti l’ingente flusso di migranti sui barconi e alle frontiere. In un’intervista, lo stesso Orioles commenta questa paura sottolineando come i migranti arrivavano anche 5 anni fa. Però finché la tragedia della migrazione rimaneva nel perimetro del Mediterraneo, coi barconi che affondavano, per noi era un fenomeno distante. Quando abbiamo visto le capitali dei paesi europei sotto assedio, ci siamo resi conto che la questione è ingestibile. La concomitanza con la minaccia jihadista ha facilitato l’associazione fra i due aspetti. (Orioles, 2016).

In generale la paura di rimanere coinvolti in un attacco terroristico può essere razionale, nei casi in cui la minaccia ed il rischio siamo costanti (vivere nelle grandi città), ed irrazionale, quando si tende a sovrastimare il rischio di essere vittime di un attacco (Waxman, 2011).

Le persone coinvolte indirettamente in tali eventi (vivere nelle prossimità o condizioni simili, avere parenti coinvolti in un attacco) riportano in particolar modo sintomi e disturbi da stress e modifiche comportamentali, sono presenti tuttavia anche sintomi ansiosi, depressivi, traumatici, percezione di scarso controllo sugli eventi, diffuso senso di insicurezza e pericolo. Possono presentarsi somatizzazioni e disturbi fisiologici (calo del sonno); ripercussioni, come già detto, sulla vita quotidiana (conflitti, problemi relazionali, calo di produttività nel lavoro) ed infine cali nelle risorse psicosociali (ridotta partecipazione, scarso supporto sociale, ritiro ed isolamento) (Institute of medicine, 2003).

In generale tuttavia, nonostante l’alto livello di stress esperito, solo una bassa percentuale della popolazione generale esposta ad attacchi terroristici sviluppa disturbi psichiatrici. Il decorso di tali disturbi risulta inoltre molto variabile: essi possono essere transitori, reattivi ed acuti, vanno solitamente in remissione spontanea e solo una bassa percentuale della popolazione manifesta un disturbo, generalmente post-traumatico o depressivo (Grieger, 2006).

Se sulle vittime dirette gli effetti permangono più a lungo, come dimostra uno studio retrospettivo del 2004 svolto con vittime di attentati in Francia tra il 1995 e il 1996, il quale ha riportato un tasso di 31% di PTSD nelle vittime (Verger et al, 2004), studi condotti sulla popolazione generale dopo gli attentati alle Torri gemelle del 9/11 e di Madrid nel 2004 confermano come i sintomi da PTSD tendano col tempo a diminuire, mentre aumentano tuttavia i sintomi depressivi. I sintomi PTSD sembrano più correlati alla magnitudo dell’ attacco terroristico, mentre sembra che ci siano altri fattori a mediare lo svuluppo di disturbi e sintomi depressivi (Silver et al, 2002; Miguel-Tobal et al, 2006).

Vari studi, tra cui uno condotto pochi giorni dopo l’attacco a Londra del 2005 e con follow up a 7 mesi di distanza, indicano inoltre come l’impatto di tali attentati tenda a diminuire nel tempo, in particolare il livello di stress percepito dalla comunità. Nonostante ciò, tuttavia, le persone riportavano cambiamenti e ripercussioni nei comportamenti e nello stile di vita, in particolare per quanto riguarda i viaggi e l’utilizzo dei mezzi di trasporto (Galea et al, 2003. Stein et al, 2004) Ciò avviene perché in tali contesti e con una minaccia così elevata, le persone sviluppano meccanismi e risorse per adattarsi alla situazione. In un ambiente di violenza minacciata e prolungata, ciò che è normalmente considerato inaccettabile ed estraneo alla quotidianità diventa normale ed accettabile (Living with terrorism, 2017). Questa capacità adattiva risulta dunque fondamentale per convivere con situazioni di alto rischio e difendersi da processi cognitivi maladattivi che potrebbero portare a sofferenze, disturbi e psicopatologie.

Terrorismo: Paura e psicosi

Le organizzazioni terroristiche hanno progressivamente modificato i propri obiettivi, passando dal colpire i simboli più rappresentativi del potere politico di uno stato (Torri gemelle, Pentagono) ai luoghi in cui si svolgono le attività lavorative e ricreative della gente comune (vedi Bataclan, Nizza e gli ultimi avvenimenti di Manchester e Londra). L’obiettivo è quello di trasmettere un senso di minaccia perpetuo e globale, generando modifiche comportamentali in buona parte della popolazione. L’assunto di base, fondato su una credenza erronea ma fortemente diffusa, è che un’attenta analisi delle proprie abitudini (scelta dei trasporti, dei luoghi da frequentare e degli eventi a cui partecipare) possa modificare il rischio di essere coinvolti in un attacco terroristico.

Da un’indagine del Censis, successiva all’ attacco terroristico al Bataclan, emerge come più del 10% della popolazione italiana abbia adottato in modo sistematico una serie di evitamenti, dettati dalla diffusione della paura: si evitano i mezzi pubblici, le uscite serali e la partecipazione ad eventi molto affollati. Ma circa i due terzi della popolazione ha modificato le proprie abitudini sotto la minaccia terrostica: si rinuncia a viaggiare all’estero o a frequentare i luoghi più rinomati e rappresentativi delle città.

Questa situazione sta portando ad un lento decremento dei flussi turistici con effetti sempre crescenti sugli introiti nel settore.

Un dato che colpisce è che i più influenzati siano i giovani dai 18 ai 35 anni (il 77% del totale). Una possibile spiegazione è data dall’efficace rete di comunicazione e propaganda delle organizzazioni terroristiche, in grado di raggiungere attraverso il web soprattutto la fascia più giovane della nostra società.

La diffusione della paura può anche portare a casi di “influenza” o “contagio” sociale, fenomeno che si verifica in situazioni ambigue e confuse in cui si tende a replicare il comportamento assunto dagli altri cospecifici (Deutsch e Gerard, 1955).

Un esempio è dato dai fatti di Torino, dove abbiamo visto come la psicosi da attacco terroristico possa portare a conseguenze anche molto gravi. Nella piazza in cui veniva trasmessa un’importante partita di calcio, per la quale erano affluite migliaia di persone, in circostanze non del tutto chiare, e dunque in assenza di un evidente segnale di reale pericolo, si è diffuso il timore che uno dei presenti fosse un terrorista. A seguito del primo clamore alcuni hanno pensato ad una bomba e chi era distante ha valutato lo sguardo di terrore di chi fuggiva come una prova sufficiente per confermare quell’ipotesi.

Da esseri sociali, quali siamo, l’espressione di paura di persone vicine può condizionare la nostra interpretazione della realtà, portandoci ad esperire noi stessi paura ed adottare una strategia di fuga. Viene da chiedersi quanto la vicinanza temporale dei fatti di Manchester e Londra e il persistere di un clima di imminente attacco terroristico abbiano aumentato l’intensità di questo fenomeno. Sicuramente le particolari modalità adottate dai terroristi hanno condizionato la folla nella valutazione della pericolosità degli stimoli: nel marasma della fuga c’è chi si è convinto di aver visto visto un camion, chi ha sentito urla in arabo, chi era certo si trattasse di una bomba.

È sotto gli occhi di tutti come un obiettivo raggiunto dai terroristi sia quello di aver diffuso il terrore anche attraverso una sorta di condizionamento: stimoli una volta neutri, come una valigia in una stazione, un giaccone un po’ più largo del solito (che adesso tutti associano ad una cintura esplosiva) oppure un furgone o un camion vicino ad aree affollate, sono ad oggi considerati potenzialmente dei pericoli per la nostra incolumità.

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RIFERIMENTI BIBLIOGRAFICI
  • Deutsh M & Gerard H (1955) A study of normative and informational social influence upon individual judjement. Journal of abnormal and social psychology 51, 629-636.
  • Institute of Medicine (US) Committee on Responding to the Psychological Consequences of Terrorism; Stith Butler A, Panzer AM, Goldfrank LR, editors. (2003) Preparing for the Psychological Consequences of Terrorism: A Public Health Strategy. Washington (DC): National Academies Press (US); 2003.
  • Galea, S., Vlahov, D., Resnick, H., et al (2003) Trends of probable post-traumatic stress disorder in New York City after September 11 terrorist attacks. American Journal of Epidemiology, 158, 514 -524.
  • Grieger TA (2006) Psychiatric and societal impatcs of terrorism. Psychiatric Times. June 01, 2006
  • "Living with Terrorism: Everyday Life and the Effects of Terror." History Behind the Headlines: The Origins of Conflicts Worldwide. Retrieved June 14, 2017 from Encyclopedia.com
  • Miguel-Tobal JJ, Cano-Vindel A, Gonzalez-Ordi H, Iruarrizaga I, Rudenstine S, Vlahov D, Galea S. (2006) PTSD and depression after the Madrid March 11 train bombings. J Trauma Stress. Feb;19(1):69-80.
  • Orioles M (2016) Terrorismo, quanta paura hanno gli italiani. www.marcoorioles.it/rassegna/terrorismo-quanta-paura-gli-italiani
  • Silver RC, Holman EA, McIntosh DN, Poulin M, Gil-Rivas V. (2006) Nationwide longitudinal study of psychological responses to September 11. JAMA. Sep 11;288(10):1235-44.
  • Stein, B. D., Elliott, M. N., Jajcox, L. H., et al (2004) A national longitudinal study of the psychological consequences of the September 11, 2001 terrorist attacks: reactions, impairment, and help-seeking. Psychiatry, 67, 105 -117.
  • Verger P, Dab W, Lamping DL, Loze JY, Deschaseaux-Voinet C, Abenhaim L, and Rouillon F (2004) The Psychological Impact of Terrorism: An Epidemiologic Study of Posttraumatic Stress Disorder and Associated Factors in Victims of the 1995–1996 Bombings in France. American Journal of Psychiatry 2004 161:8, 1384-1389
  • Waxman D (2011) Living with terror, not Living in Terror: The Impact of Chronic Terrorism on Israeli Society. Perspectives on Terrorism. Vol 5, no 5-6.
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