Sebbene non vi sia una definizione unica e condivisa del termine terrorismo, esso può essere descritto come l’uso sistematico di azioni criminali contro persone o beni, con lo scopo di diffondere paura e terrore nella popolazione.
Proprio in funzione di tale scopo, l’impatto e la risonanza che gli atti terroristici hanno sulla popolazione risultano, ai fini della causa terroristica, più importanti degli esiti fisici dell’azione (danni, numero di vittime).
Spesso gli atti terroristici hanno scopi politici particolari, ne sono esempio le numerose organizzazioni nate in Europa nel ‘900, ad esempio l’IRA in Irlanda del Nord, le Brigate Rosse in Italia, ecc (Living with terrorism, 2017). In altri casi, tali atti vengono esercitati in difesa di determinati valori culturali e religiosi, come nel caso delle organizzazioni terroristiche dei fondamentalisti islamici.
Effetti psicologici di un attacco terroristico
Le conseguenze del terrorismo sono diffuse non solo nelle vittime dirette, ma anche nella comunità, nella popolazione generale. Si diffondono infatti, tra la popolazione, paura, diffidenza e preoccupazione. La violenza, il numero degli attacchi e la diffusione mediatica della minaccia terroristica condizionano così la vita delle persone.
In generale la paura di rimanere coinvolti in un attacco terroristico può essere razionale, nei casi in cui la minaccia ed il rischio siamo costanti (vivere nelle grandi città), o irrazionale, quando si tende a sovrastimare il rischio di essere vittime di un attacco (Waxman, 2011).
Tra i sintomi più frequentemente riportati dalle persone colpite indirettamente da un attacco (vivere nelle prossimità dell’accaduto o avere dei parenti coinvolti) troviamo disturbi da stress e modifiche comportamentali, sintomi ansiosi, depressivi, traumatici, percezione di scarso controllo sugli eventi, diffuso senso di insicurezza e pericolo. Possono inoltre manifestarsi somatizzazioni e disturbi fisiologici (calo del sonno); conflitti, problemi relazionali, calo di produttività nel lavoro e diminuzione delle condotte psicosociali (ridotta partecipazione, scarso supporto sociale, ritiro ed isolamento) (Institute of medicine, 2003).
Tuttavia, nonostante l’alto livello di stress esperito, solo una bassa percentuale della popolazione generale esposta ad attacchi terroristici sviluppa disturbi psichiatrici. Il decorso di tali disturbi risulta inoltre molto variabile: essi possono essere transitori, reattivi ed acuti, vanno solitamente in remissione spontanea e solo una bassa percentuale della popolazione manifesta un disturbo, generalmente post-traumatico o depressivo (Grieger, 2006).
Se sulle vittime dirette gli effetti permangono più a lungo, come dimostra uno studio retrospettivo del 2004 svolto con vittime di attentati in Francia tra il 1995 e il 1996, il quale ha riportato un tasso di 31% di PTSD nelle vittime (Verger et al, 2004), studi condotti sulla popolazione generale dopo gli attentati alle Torri gemelle del 9/11 e di Madrid nel 2004 confermano come i sintomi da PTSD tendano col tempo a diminuire, mentre aumentano tuttavia i sintomi depressivi. I sintomi PTSD sembrano più correlati alla magnitudo dell’ attacco terroristico, mentre sembra che ci siano altri fattori a mediare lo svuluppo di disturbi e sintomi depressivi (Silver et al, 2002; Miguel-Tobal et al, 2006).
Nonostante l’impatto degli attentati tenda a diminuire nel tempo, le persone riportano cambiamenti e ripercussioni nei comportamenti e nello stile di vita, in particolare per quanto riguarda i viaggi e l’utilizzo dei mezzi di trasporto (Galea et al, 2003. Stein et al, 2004) Ciò avviene perché in tali contesti e con una minaccia così elevata, le persone sviluppano meccanismi e risorse per adattarsi alla situazione. Questa capacità adattiva risulta dunque fondamentale per convivere con situazioni di alto rischio e difendersi da processi cognitivi maladattivi che potrebbero portare a sofferenze, disturbi e psicopatologie.
Paura e psicosi: i nuovi obiettivi del terrorismo
Le organizzazioni terroristiche hanno progressivamente modificato i propri obiettivi, passando dal colpire i simboli più rappresentativi del potere politico di uno stato (Torri gemelle, Pentagono) ai luoghi in cui si svolgono le attività lavorative e ricreative della gente comune (vedi Bataclan, Nizza, Manchester e Londra). L’obiettivo è quello di trasmettere un senso di minaccia perpetuo e globale, generando modifiche comportamentali in buona parte della popolazione. L’assunto di base, fondato su una credenza erronea ma fortemente diffusa, è che un’attenta analisi delle proprie abitudini (scelta dei trasporti, dei luoghi da frequentare e degli eventi a cui partecipare oppure rinunciare a viaggiare all’estero o a frequentare i luoghi più rinomati e rappresentativi delle città) possa modificare il rischio di essere coinvolti in un attacco terroristico.
La diffusione della paura può anche portare a casi di “influenza” o “contagio” sociale, fenomeno che si verifica in situazioni ambigue e confuse in cui si tende a replicare il comportamento assunto dagli altri cospecifici (Deutsch e Gerard, 1955). Un esempio è dato dai fatti di Torino, dove abbiamo visto come la psicosi da attacco terroristico possa portare a conseguenze anche molto gravi.