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La radicalizzazione violenta: fattori di rischio e linee di intervento

Adolescenti e giovani adulti sono più esposti al rischio di radicalizzazione poiché sono alla ricerca di un'identità e vulnerabili a influenze esterne

Di Giacinto D`Urso

Pubblicato il 16 Mag. 2022

La radicalizzazione è una strategia finalizzata a convincere le persone ad abbracciare opinioni e idee radicali con l’ausilio dei social media e del web.

 

Sono trascorsi oltre 20 anni dagli attacchi terroristici che colpirono gli Stati Uniti l’11 settembre 2001. Tali eventi avviarono una “scia di sangue” che si è propagata anche nel nostro continente attraverso una lunga serie di attentati (28 fra il 2004 e il 2019) nelle principali capitali e città europee. In tale contesto, la comprensione delle motivazioni che possono spingere un individuo a compiere simili gesti è quanto mai necessaria per poter definire le misure di prevenzione e di mantenimento della sicurezza nazionale.

Una nuova strategia di reclutamento

La struttura organizzativa dei gruppi terroristici è profondamente diversa rispetto a quella che era stata conosciuta nei primi anni del nuovo millennio (Sageman, 2004). La reazione della comunità internazionale ha, infatti, reso necessaria l’attuazione di nuove modalità di funzionamento che, attraverso una fitta rete di “cellule operative e silenti” in varie aree del mondo, hanno consentito di progettare e di finalizzare azioni criminali contro obiettivi civili o militari e di mantenere, al contempo, un adeguato standard di reclutamento incentrato sul complesso fenomeno della radicalizzazione (McGilloway et al, 2015). Quest’ultima è una strategia di alimentazione finalizzata a convincere le persone ad abbracciare opinioni e idee diffuse con l’ausilio dei social media e del web (European Union Agency for Law Enforcement Cooperation, 2018), a mantenere il proprio impegno radicale, a compiere azioni violente di natura terroristica (Commissione Europea, Comunicazione della Commissione al Parlamento Europeo e al Consiglio, 2005) contro il proprio ambiente sociale o a fuggire per riunirsi ad altri militanti in aree di guerra (Campelo et al., 2018). Questa è una tendenza crescente in Europa, infatti secondo le Autorità circa 5.000 cittadini hanno lasciato il nostro continente per raggiungere la zona di conflitto iracheno-siriano di cui almeno 2.500 hanno deciso di combattere per Daesh.

Cosa accresce la vulnerabilità degli individui?

Gli adolescenti ed i giovani adulti (di cui una su tre è una donna) sono particolarmente esposti al rischio di radicalizzazione poiché attraversano una fase turbolenta dell’esistenza (Oppetit et al., 2019) in cui sono alla ricerca di una identità (Feddes et al., 2015), più inclini all’imitazione e più vulnerabili alle influenze esterne. La provenienza da un ambiente familiare problematico rappresenta un importante fattore di rischio perché accresce la fragilità agli stress e facilita il consolidamento del convincimento di non possedere le capacità di affrontare gli eventi della vita e di integrarsi nel proprio contesto sociale. Inoltre, il COVID-19 ha aumentato la dipendenza dai social media e ha diffuso l’idea di dover affrontare un futuro sfavorevole o irto di difficoltà. Per questo motivo, una parte importante della letteratura ritiene che la presenza di una malattia psichiatrica sia la principale causa di un impegno radicale e della partecipazione ad attività violente. Nel panorama scientifico non esiste, tuttavia, una uniformità di vedute. Una fronda emergente di esperti sta riconsiderando queste affermazioni, ritenendo che la presenza di una patologia non rappresenti la conditio sine qua non per poter giustificare la scelta di compiere crimini di natura terroristica (Schulten et al., 2019). Una precaria salute mentale, infatti, può incidere con modalità diversificate da caso in caso sulla condotta di un individuo. Inoltre, se è comune identificare problemi sanitari negli estremisti solitari (Zeman et al., 2018), tale quadro tende a modificarsi fra gli individui che agiscono in gruppo (Misiak et al., 2019), attestandosi a livelli statistici di massima vicini a quelli riscontrati nell’ambito della popolazione generale. Le “dinamiche del branco”, peraltro, agevolano il superamento delle difficoltà connesse con l’isolamento sociale, facilitano la gestione dello stress e delle emozioni, sostengono i processi di decision making o problem solving (Thijssen et al., 2021), offrono un quadro di valori e di relazioni che è di supporto alla resilienza e fornisce agli individui una visione più chiara e positiva di sé.

La religione è un fattore determinante?

È un comune convincimento che esista un rapporto di causa-effetto che lega il terrorismo alla religione. Ciò ha indotto gli esperti a ritenere che il contrasto all’estremismo religioso sia la linea d’azione da preferire per contrastare il dilagante fenomeno della violenza. Tale scelta ha consentito il proliferare di stereotipi negativi che hanno alimentato la paura e la discriminazione nei confronti di ciò che è considerato “diverso”. L’estremismo religioso, tuttavia, non è un argomento riconducibile ad una mera valutazione binaria “buono – cattivo” e richiede un esame multidimensionale per poter identificare le condizioni che rendono più probabile il ricorso ad azioni violente. In tale prospettiva, è necessario chiarire che la religione non rappresenta un rischio se vissuta come una libera espressione del culto di un Dio i cui precetti sono rivolti a creare un cambiamento positivo (Esposito, 2002) e a ricercare la pace e la fratellanza dei popoli. Diversamente, la situazione può diventare critica quando prevalgono indicatori politici (es. l’allineamento delle norme giuridiche ai precetti religiosi), sociali (es. il rifiuto di una coesistenza pacifica con altri gruppi religiosi), teologici (l’imposizione di un Dio autoritario che ordina e punisce i peccatori) e rituali (es. il mancato riconoscimento della libertà di culto) che descrivono la fede come  un mezzo per affermare un potere politico, per reprimere le libertà individuali, i diritti universalmente riconosciuti e la democrazia.

In conclusione

Non sono ancora noti tutti i meccanismi che spingono un individuo a compiere atti di natura terroristica. È possibile che simili comportamenti derivino da una interazione fra psicopatologia ed estremismo religioso (Vermeulen, 2022), ma è altresì probabile che questo processo risenta della propaganda dei centri jihadisti o dell’influenza esercitata da gruppi familiari o di amici. La multidimensionalità (Wibisono et al., 2019) di queste cause, la validazione di tecniche di indagine e di strumenti di valutazione (Barracosa, March, 2022) coniugati a interventi di social support risultano necessari per poter individuare situazioni potenzialmente a rischio (Bronsard et al., 2022), sostenere la popolazione nei momenti di difficoltà, infondere fiducia per il futuro, limitare la dipendenza dai social media e, conseguentemente, l’efficacia dei meccanismi della radicalizzazione.

 

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