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Hikikomori e disturbo narcisistico di personalità: un caso trattato con Terapia Metacognitiva Interpersonale

I giovani Hikikomori, trovano nel loro ritiro e nell'uso di Internet, un rifugio dalla vergogna narcisistica: la TMI può aiutarli, come nel caso di Marta

Di Sonia Sofia, Giancarlo Dimaggio

Pubblicato il 31 Mag. 2017

Aggiornato il 16 Ott. 2017 11:43

Michela ha 20 anni ed è in reclusione volontaria da 3. A sedici anni abbandona la scuola e decide di rinchiudersi nella sua stanza, dedicandosi interamente a giochi online, chat e visione di cartoni animati in completa inversione del ritmo sonno veglia. La madre nel corso degli anni ha tentato invano svariati approcci per contrastare la reclusione della figlia.

Sonia Agata Sofia, Giancarlo Dimaggio

 

Il termine Hikikomori è stato formulato dallo psichiatra giapponese Saito Tamaki, per riferirsi al fenomeno di persone che hanno scelto una condizione di autoreclusione permanente al fine di ritirarsi dalla vita sociale.

Il ministero giapponese della salute definisce Hikikomori gli individui che rifiutano di uscire dalla casa dei genitori, isolandosi nella propria stanza per periodi superiori ai 6 mesi, con la possibilità che la permanenza in autoreclusione si prolunghi per anni, in una condizione di stabile dipendenza economica dalla famiglia. Essi sono soliti pranzare e cenare nella propria stanza con un vassoio passato dal genitore attraverso la porta socchiusa e si recano in bagno con percorsi che, per tacita intesa familiare, restano poco frequentati. Si interrompe ogni rapporto con il mondo della scuola o del lavoro.

Gli unici contatti con “il di fuori”, se avvengono, sono via internet, nei blog, nelle chat.

Gli Hikikomori sono, di solito, giovani maschi, ma la presenza femminile pare in aumento. Tendono ad invertire il ritmo giorno-notte, ad addormentarsi al mattino dopo ore trascorse a guardare la tv, a leggere, a giocare ai videogames o a chattare on line.

Da un punto di vista sociologico, si sono indagati i fattori legati al particolare sistema culturale giapponese, basato sul confucianesimo ed un atteggiamento di anomia sociale e di rifiuto verso le severe regole morali basate sull’estremo perfezionismo. Da un punto di vista psicologico, si sono studiate le variabili familiari legate a relazioni disfunzionali di tipo invischiato e la copresenza di disturbi psicopatologici associati come il Disturbo Depressivo Maggiore ed alcuni disturbi di personalità come profili schizotipico, evitante e narcisistico (il cosiddetto Narcisismo del Sol Levante).

Si punta, come fa Ogino Tatsushi, a sottolineare forti complessi d’inferiorità, i sofferenti non possono stabilire relazioni, non possono avere esperienze socializzanti, in quanto avvertono la gente attorno come nemica e hanno la certezza che nessuno li possa capire.

Hikikomori è una svolta inaspettata in un sentiero diventato insidioso ma qui non si cerca la morte bensì un luogo di difesa dove tenere nascosto il proprio sé stanco ed inadeguato […].

Ciò che si portano addosso questi giovani Hikikomori è paura, rabbia e vergogna. Attraverso un apparente rifiuto della vita essi compiono il loro atto di difesa dal mondo che sta fuori. Per il giovane la stanza è il suo mondo e non vuole che nessuno lo invada, è l’unico riparo e intende difenderlo a tutti i costi.

Ci sono alcuni stati d’animo e atteggiamenti che il giovane Hikikomori percepisce nei confronti della propria vita, che durante l’assessment emergono in maniera prorompente: ansia, rabbia e senso di colpa.

Molti adolescenti si trovano a fare i conti con idee grandiose rispetto al proprio sé, con aspettative enormi ed ideali di perfezione. La tendenza all’autoreclusione dei giovani maschi sta varcando i limiti geografici che l’hanno fino ad ora contenuta. Si diffonde in Corea e Cina ed è arrivata negli Stati Uniti [Block, 2008].

Anche in Italia, si riferiscono casi che per molti aspetti rispondono alle caratteristiche richieste: ritiro sociale da almeno 6 mesi, fobia scolare precedente, talvolta internet addiction con inversione del ritmo circadiano.

Un elemento accomuna la cultura giapponese a quella de giovani occidentali contemporanei: il sentimento profondo e straziante della vergogna narcisistica [Pietropoli Charmet, 2003].

Non sembra proprio che l’esistenza di internet e lo sviluppo tecnologico siano la causa di questa sindrome, sembra piuttosto che questi costituiscano un ritrovato tecnologico perfettamente funzionale rispetto all’esperienza della segregazione.

Da questo punto di vista l’accesso alla rete sembra funzionare almeno in 3 modi: da un lato consente la messa in atto di pratiche ludiche che hanno lo scopo di permettere una occupazione del tempo senza che il senso di vuoto sia troppo incombente. Da un altro lato, internet consente l’assunzione di personalità fasulle senza che esse corrano il rischio di essere sottoposte a svergognamento da parte di nessuno.

Infine, in terzo luogo la rete consente di conservare una parvenza di parola là dove essa rischia di essere esclusa e perciò di mantenere l’esperienza Hikikomori ancora all’interno di una dimensione immaginaria narcisistica. La rete non è perciò né il sintomo né la malattia, piuttosto è la membrana immaginaria nella quale il soggetto si colloca in bilico tra un sé non accettato e la sua perdita.

Accettando il concetto di timidezza, potremmo dedurne che coloro che sono particolarmente timidi ed introversi sono più esposti al rischio di Hikikomori, manca però una chiave di accesso che sembra rappresentata da una sorta di narcisismo che porta gli uomini a sentirsi feriti nell’orgoglio anche rispetto a situazioni che in uno stato emotivo normale risulterebbero sopportabili; la timidezza si amplifica in vergogna da cui prende corpo la paura verso gli altri (Saito Satoru, 2001).

C’è chi si fissa di avere un brutto volto e vuole ricorrere alla chirurgia plastica obbligando i genitori ad occuparsi di tutto, l’esito non è mai quello sperato e la clausura continua, alimentata da un ulteriore senso di fallimento.

Comune a tutti è l’inversione del ritmo giorno-notte, lo fanno l’81% di cui il 61% fa ricorso anche ai sonniferi. Questo fatto implica diversi elementi sia di carattere biologico che psicologico: l’aspetto biologico deriva dal fatto che l’equilibrio interno dell’organismo è sostenuto anche dalla luce solare ed una vita in condizione di Hikikomori ne riduce notevolmente l’esposizione determinando uno squilibrio che, anche se non crea un vero deficit, non è immune da effetti collaterali.

Circa il 46% dei casi presenta un desiderio di morte e pianifica il suicidio; in realtà anche se esiste il progetto, il suicidio non viene quasi mai realizzato: il ragazzo in Hikikomori vuole vivere.

Dimaggio (2016) nel suo ultimo volume “L’illusione del narcisista” associa la condizione di ritiro sociale al disturbo narcisistico di personalità:

Nelle mie memorie si affacciano piloti, manager, architetti, una sfilza di studenti universitari e una sequenza marciante di ragazzi pieni di fantasie che realizzavano solo dietro l’anonimato di un fake su Facebook, o che conquistano il titolo di campioni di World of Warcraft, ma incapaci di parlare seduti al tavolo di una pizzeria in mezzo ad un gruppo che ride.

Dimaggio offre una nota di speranza: la terapia è possibile.

Siamo convinti che il segreto per la cura dei narcisisti sia quello di ridargli il diritto di vivere. La strada della terapia è la ricerca del contatto con la propria natura, lo scavo per trovare le proprie inclinazioni, preferenze e passioni. Si può dire che sia una rieducazione alla ricerca di sé.

Il modello è la Terapia Metacognitiva Interpersonale, caratterizzata da procedure passo- dopo- passo manualizzate e strutturate in due macrofasi, definite da marcatori chiari di avanzamento.

Il primo passo consiste nell’elicitare ricordi autobiografici dettagliati promuovendo la capacità del paziente di riconoscere i propri stati mentali sottostanti gli episodi narrativi. Lo scopo è di ricostruire il mondo interiore del paziente proprio a partire dagli episodi raccontati. E’ possibile lavorare con gli stimoli emotivi ed i sentimenti che i pazienti provano già nelle relazioni online.

E’ necessario raccogliere una serie di ricordi autobiografici associati per poter riconoscere l’esistenza di schemi rigidi per le relazioni interpersonali.

A questo punto è possibile promuovere progressivamente una consapevolezza condivisa dei modelli di interpretazione delle relazioni interpersonali. E’ chiaro che il lavoro di promozione delle abilità metacognitive superiori quali comprendere il punto di vista dell’altro (che può essere visto come ostile e dannoso), va realizzata solo dopo che il paziente è giunto a comprendere di essere guidato da schemi rigidi.

Hikikomori e disturbo narcisistico di personalita un caso clinico trattato con la TMILa seconda parte, denominata promozione del cambiamento comprende l’accesso alle parti sane di sé e promuove nuovi comportamenti sperimentali ed esplorativi che siano in sintonia con i desideri più intimi dei pazienti. In questa fase i pazienti sono aiutati a prendere distanza critica dai loro schemi, a costruire un repertorio più ampio di rappresentazioni di sé con gli altri ed acquisire proprietà di problem solving più sofisticate. E’ in fase avanzata che il paziente può infine riconoscere la propria responsabilità nelle interazioni problematiche ed il proprio coinvolgimento nei cicli interpersonali.

Durante tutto il corso della terapia, il terapeuta adotta un atteggiamento di costante validazione, regola la relazione terapeutica allo scopo di prevenire o riparare le rotture e la usa come luogo dove sperimentare nuove modalità di relazione.

 

Michela: un caso complesso

Michela ha 20 anni ed è in reclusione volontaria da 3. A sedici anni abbandona la scuola e decide di rinchiudersi nella sua stanza, dedicandosi interamente a giochi online, chat e visione di cartoni animati in completa inversione del ritmo sonno veglia. La madre nel corso degli anni ha tentato invano svariati approcci per contrastare la reclusione della figlia.

La sua è una famiglia del Sud con problemi economici ed in passato anche con la giustizia. Il padre, tirannico e violento, è una “presenza-assente” incapace di comunicare.

Al primo appuntamento Michela non è puntuale. Ricevo una telefonata della madre in forte agitazione. Si scusa perché la figlia ha deciso di saltare la seduta. Le chiedo di parlare telefonicamente con Michela. La ragazza mi spiega che vorrebbe venire ma che si è accorta solo adesso che i suoi trucchi, che non usava da tempo, sono inutilizzabili e che impiegherebbe troppo tempo per acquistarne altri e truccarsi. Le spiego che sono disposta ad aspettarla e che anch’io sono struccata. Lei mi risponde: –Allora arrivo subito. Il tempo della strada!

All’arrivo è tesa e tremante: le sue parole sono forti e decise ma il tono di voce rivela agitazione. Usa la borsa quasi fosse uno scudo per il suo corpo, frapponendola tra lei e me e allontana il suo sguardo dal mio. Si scusa per il ritardo dicendomi che lo è sempre precisandomi anzi che è la norma per lei. Quasi si autocompiace raccontandomi che la gente non la sopporta e si annoia ad aspettarla.

–  Insomma, sono grassa, senza titolo di studio, senza amici, senza ricordi, perché dovrebbero amarmi?

La guardo, Michela non è grassa come dice di essere, e sarebbe pure carina se si prendesse cura di lei.

So di avere davanti un caso complesso: da tre anni Michela ha interrotto ogni rapporto con il mondo della scuola e del lavoro, vive praticamente reclusa nella sua stanza, dormendo di giorno anziché la notte, e gli unici contatti con “il di fuori” li coltiva via internet, nei blog, nelle chat.

– Internet, ti dà un legame senza tristezza e profondità – mi spiega- posso scegliermi le compagnie ed i contatti, posso scegliermi anche l’identità.

Internet mi dà motivazioni, scopi. So che devo arrivare al livello successivo del gioco: questo mi dà lo stimolo per alzarmi dal letto. La mia vita è lì, ferma, immobile a guardarmi, e invece il videogioco è un mare che mi trascina e io non mi fermo. Mi dà impatto, senza prendere i rischi della vita, senza quella paura legata al corpo. La paura di una vita di insuccessi.

Le chiedo in che modo posso aiutarla. Lei mi risponde che è cosciente di avere dei problemi ma che le persone non possono aiutarla. – Nessuno deve toccarmi il computer e poi quando ti chiedo di allontanare lo sguardo per me è importante che mi ascolti. Non sono più abituata a due occhi che mi guardano.-  dice sfidandomi.

Vengo da te perché ho problemi con la rabbia. Divento una cattiva persona. Perdo il controllo.

Le chiedo di narrarmi degli episodi in cui si presenta la rabbia all’interno delle sue relazioni virtuali e lei ne sciorina una lunga serie durante i quali si è lasciata andare a insultare i compagni di gioco, se non seguono le regole da lei dettate.

Sono una brutta persona– conclude con amarezza- ieri l’ho fatto anche con Aldo, il mio fedele compagno di giochi. È il mio socio su League of Legends, lui mi ha detto che doveva occuparsi di sua madre perché stava male e io l’ho accusato di essere un coglione.  Esco dalla stanza solo la notte per mangiare un budino e mi tengo attiva con la coca cola. Per dormire uso lo Xanax di mia madre. Capita che quando sei troppo eccitata non ti addormenti più. Io sono al Diamond e devo raggiungere il Master che è semplicemente la sala d’attesa del Challenger, praticamente sei già un campione. Ho bisogno di raggiungere quel livello, sarà una rivincita verso tutti, verso mio padre, la scuola, le mie cugine… nessuno mi guarderà più come una comparsa, un fantoccio, un fantasma. Perché è questo quello che sono adesso. A casa hanno finalmente capito che non devono cercarmi, prima mi stressavano perché pranzassi con loro ma io non vado e non li faccio neanche più entrare nella mia stanza. Permetto un unico accesso, quello della mia sorellina di 6 anni, la riconosco dal suo bussare gentile. Apro un spiraglio e mostro la mia testa, senza parlare. Lei non mi chiede nulla e non mi giudica. Solo mi accarezza i capelli. Vedi questo è l’amore Assoluto.

Il primo mese della terapia cerco di iniziare un “Hikikomori time a due”, entrando nel mondo di Michela. Mi sorprendono le sue capacità relazionali online, il numero di contatti e la sua abilità nel dare consigli. Michela scrive in tutte le lingue, anche in giapponese, lo ha appreso studiando da Internet. Ha contatti in tutti i paesi del mondo e ottime capacità di gestione dei gruppi. In effetti, è lei che tiene la squadra di uomini di League of Legends.

In seduta porterà Manga e Anime su mia richiesta (le spiego che da tempo leggo solo Dylan Dog e sono curiosa delle sue letture e dei suoi cartoni) e porta anche i suoi ritratti e fumetti rivelando spiccate qualità artistiche.

Quando mio padre mi vedeva i fumetti manga diceva a mia madre che era il caso di cominciare a sbrigare tutta la documentazione per farmi dichiarare scema e prendersi la pensione, così con me poteva almeno guadagnare in soldi, dato che non servo a niente. Invece tu sei interessata a miei stessi fumetti e non mi dici che sono pazza. Addirittura mi stimi per le mie capacità su Internet. Io comincio a sentire una sensazione positiva nel corpo e non voglio che se ne vada. A volte vorrei che questa seduta non finisse mai, penso che vorrei tornare a casa a piedi per prolungare questa sensazione positiva, invece con la macchina arrivo subito a casa e tutto è di nuovo come prima. Ma io non vedo l’ora di tornare qui.- dichiara al termine del primo mese di terapia.

A questo punto la relazione terapeutica è salda, ed è possibile stabilire l’alleanza di lavoro.

Durante le sedute con Michela il tema dell’essere scartata e umiliata ritorna sempre. Lo stesso accade nelle sue relazioni online. Gliene chiedo il motivo e lei mi risponde che risale all’infanzia, a quando per essere accettata alle feste, occorreva l’intervento della madre. Questo, mi spiega, non può avvenire nel Team Speak (una chat che permette ai videogiocatori online di comunicare tra loro durante il gioco). Lì ha il controllo.

Mi confessa pure di non avere il ciclo da 3 anni.

Mi sto trasformando anche fisicamente – dice – ho un nickname maschile e gestisco squadre di uomini, ma io non sono un uomo e a me piacciono gli uomini. Mi chiedo se sarò mai presentabile, adesso faccio proprio schifo!

Il desiderio di riprendere possesso delle sua vita e dei suoi sogni è frenato dalla paura dello sguardo giudicante del mondo esterno. Le spiego che lo stile di vita alterato dal ritmo sonno/veglia, i digiuni e le notti insonni davanti ad uno schermo comportano ripercussioni fisiche ed ormonali oltre che psicologiche.

Le chiedo di capire insieme cosa possiamo fare per “smettere di fare schifo.”

Michela inizia a condividere alcuni pasti con i familiari, si mostra ai parenti e va al cinema per la prima volta dopo tre anni. L’aspetto fisico la ossessiona, vorrebbe sottoporsi alla chirurgia bariatrica per ridurre il peso.

Comincia ad esserci qualche progresso, mi confessa che le piacerebbe andare alla mostra dei fumetti a Lucca ad ottobre, conoscere gli amici del web: “Ma io ho sempre avuto delle regole online ed ho sempre fatto di tutto per rispettarle. Non posso permettermi d’innamorarmi né di mischiare la vita reale con quella virtuale. Io sono solo un fantoccio”.

Le chiedo come pensi di riappropriarsi della sua identità, ma lei non risponde e la settimana dopo, al nostro incontro, è aggressiva. Mi accusa di avere avuto una vita facile, piena di amore, mentre lei si è dovuta confrontare con un padre violento che la riempiva di botte. Per questo si è rifugiata in internet; per riprendersi la spensieratezza ed evitare i pericoli.

Ma adesso tu mi vedi, tu mi credi… non sono più una maschera. Ma è così difficile farlo anche fuori ed io ho tanta paura… ti prego, stammi vicino.

Nel corso delle sedute costruiamo insieme la descrizione degli schemi attraverso altri numerosi episodi autobiografici e pianifichiamo il cambiamento ma la preoccupazione per la sua salute mi induce a indirizzarla dapprima dall’ endocrinologo per i problemi legati al ciclo mestruale. Questo si rivela un episodio che permette a Michela delle riflessioni.

Questo professore mi guardava come se fossi un aliena, mi chiedeva  “Come ti sei ridotta così? Da quanto tempo non esci da casa? La tua psicologa lo sa che sei grave?” … Gli specializzandi guardavano me e mia madre sghignazzando. Volevo scappare, tornare a casa davanti al computer… In macchina mia madre piangeva e io ero arrabbiata con te. Non avresti dovuto espormi così presto.

Durante la seduta mi scuso, lei si calma e inaspettatamente dice che le è stato utile.

Tu hai sbagliato per eccessivo amore, il professore per presunzione. Le persone non sono tutte uguali e dannose. L’endocrinologo può aiutarmi a sbloccarmi, mentre a te posso aprire il mio cuore.

La domenica Michela comincia a partecipare alle scampagnate di famiglia, si sveglia un po’ prima, mostra di trovare i parenti simpatici.

Anche sul web la rabbia è ridotta, riesce a rispettare le persone senza insultarle. Inizia ad apprezzare la luce del giorno, ad essere attiva.

Quegli orari mi stavano uccidendo, – dice- avevo la testa ovattata. Adesso dormo, niente più Xanax, mi addormento con le poesie di Bukowski e la “Desiderata” di Ehrmann.

Un altro tema a lei molto caro è la ricerca di perfezione negli altri.

Io merito di essere amata dalla persona perfetta… Intorno ai 16 anni avevo un fidanzato. Mi aspettavo che mi difendesse da mio padre, che mi consolasse, insomma mi amasse. Ma lui pretendeva troppo da me. Un giorno gli dissi che non ero disposta ad ascoltarlo e lui rispose che mio padre faceva bene a picchiarmi. Ci rimasi malissimo.

Ho capito che i rapporti online sono troppo fugaci, voglio staccare la connessione ADSL anche se sono molto spaventata, soprattutto per League of Legend ma la mia famiglia mi sta accanto, mio padre è contento di questa mia scelta, mi ha fatto i primi complimenti della mia vita!

Michela inizia un lavoro estivo in un panificio, vuole mettere da parte una somma per raggiungere gli amici a Lucca. A settembre inizia la scuola, desidera diplomarsi e iscriversi all’università.

Vorrei aiutare tutti quei ragazzi prigionieri della rete, fargli capire che si stanno distruggendo… Sono numerosissimi e conosco i loro cuori. Vorrei un lavoro che mi permettesse di restituire loro la speranza e la voglia di vivere. Insomma… C’ho la testa piena di sogni.

Il lavoro la soddisfa: il giorno in cui entra una cliente inglese e lei è l’unica a poter comunicare con la donna, riceve i complimenti della titolare.

Non è vero che gli altri ti giudicano e non è detto che se ti giudicano ti condannano per sempre! Stare chiusa in una stanza stava trasformando ogni granello di sabbia in un deserto del Sahara! Ricordi l’immagine che ti mandai allora? Il fuoco era il computer, intorno il BUIO.  Poi ho sentito la tua voce calda  dietro il muro, e ho capito che potevo farcela. E’ difficile, c’ho una paura fottuta, posso anche cadere… ma tu mi chiami e il buio è scomparso. Non è sempre facile, l’altra sera, per esempio ricevo un messaggio su FB, una vecchia conoscenza di League of Legends che mi dice di aver  raggiunto il livello Master. Ecco, ho pensato, un’altra persona mi ha superato mentre io sono rimasta la solita nullità. Per fortuna lo sconforto è durato poco, poi  il piacere d’impastare, sporcarmi le mani, infornare torte e biscotti mi ha invasa insieme al profumo che si diffonde in tutto il negozio. Sono cambiata. Penso che il mio valore personale non dipende più dal livello raggiunto sul gioco, che le persone non mi amano perché sono una campionessa ma semplicemente perché sono Michela, quella senza trucco.

C’è un’altra cosa che vorrei analizzare con te: la velocità.

A volte anche al lavoro vorrei essere la prima, ma sento che mi allontana dai miei desideri. Vorrei innamorarmi, non m’importa più se l’altro non corrisponde o se l’amore finisce. Vorrei poter pensare che non sarà tempo sprecato. Vorrei innamorarmi per poter dedicare all’altro il mio Tempo e la mia Lentezza.

Dopo un anno e mezzo di terapia, Michela si è fidanzata. Frequenta con costanza e successo le lezioni scolastiche e si diplomerà l’anno prossimo. Ora sogna di fare l’architetto e viaggiare. Con entusiasmo mi racconta del suo primo giro in motorino quando per proteggersi dal gelo di un pomeriggio invernale affonda le sue mani infreddolite nelle tasche del giubbotto del suo fidanzato che guida: “… mi accorgo che posso trovare calore nelle tasche di un altro senza avere paura e capisco che è straordinario stare bene ed avere vent’anni!”.

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Giancarlo Dimaggio
Giancarlo Dimaggio

Psichiatra e Psicoterapeuta - Socio Fondatore del Centro di Terapia Metacognitiva-Interpersonale

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RIFERIMENTI BIBLIOGRAFICI
  • Dimaggio, G., Montano, A., Popolo, R., Salvatore, G., (2015). Terapia Metacognitiva Interpersonale dei disturbi di personalità, Cortina Editore, Milano.
  • Dimaggio, G. (2016). L’illusione del narcisista. La malattia nella grande vita. Baldini e Castoldi, Milano.
  • Piotti A. (2008). “La società degli hikikomori” in Hikikomori: adolescenti in volontaria reclusione, Franco Angeli, Milano.
  • Ricci C. (2010), Hikikomori. Narrazione da una porta chiusa. Aracne. Roma.
  • Saito, T. (1998). Shakaiteki Hikikomori: Owaranai shishunki. PHP Kenkyuujo, Tokyo
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