All’interno di questo studio si è cercato di indagare in particolare il punto di vista degli allievi rispetto alle credenze sull’intelligenza degli insegnanti. Infatti, come sottolineano i paradigmi di tipo costruttivista, è fondamentale indagare come l’ambiente viene percepito dalle persone, specialmente in adolescenza, periodo in cui l’individuo fa maggiormente ricorso al pensiero logico- paradigmatico
Susanna Paterlini e Enrica Giaroli – OPEN SCHOOL Studi Cognitivi, Modena
Gli studi recenti nel campo della motivazione hanno esaminato, oltre ai costrutti personali, cognitivi e affettivi che gli individui elaborano nelle interazioni sociali, il ruolo dei contesti in cui gli individui stessi si trovano ad agire.
Tra questi contesti, il gruppo classe rappresenta una vera e propria “arena sociale” dove hanno luogo i processi di sviluppo e maturazione che si traducono nel consolidamento di rapporti affettivi e nella sperimentazione ed elaborazione di modelli di identità personale (Mariani, 2012). In particolare, oltre al gruppo dei pari, appare centrale la figura del docente che, come molti studi dimostrano, svolge un ruolo importante nello strutturare un ambiente adeguato, nel promuovere il coinvolgimento scolastico dei suoi allievi e nel favorire il superamento dei compiti di sviluppo caratteristici di questa età (Vacirca, Giannotta & Ciairano, 2007). Superare con successo la fase adolescenziale nella società contemporanea, infatti, si configura sempre più come un’impresa evolutiva congiunta che riguarda più di un contesto di sviluppo (Di Stefano & Vianello, 2002). Si tratta di un’impresa che compete sempre meno esclusivamente al nucleo familiare di origine e che coinvolge sempre più la scuola e nello specifico, soprattutto, il lavoro svolto dagli insegnanti.
Altrettanto centrali per lo sviluppo di una buona motivazione a scuola sono le concezioni dell’intelligenza. Le ricerche in questo campo hanno mostrato come esse tendano a strutturasi attorno a due poli: uno innatista, che considera l’intelligenza un’entità stabile, innata e poco o affatto incrementabile, l’altro costruttivista, che concepisce l’intelligenza in modo dinamico, un repertorio di abilità malleabili che aumenta con lo sforzo e l’impegno (Dweck, 2000; Albanese & Fiorilli 2001; Fiorilli, 2003).
Questi due poli rappresentano un continuum. Non è possibile, infatti, collocare la concezione di un individuo in modo assoluto su polo piuttosto che sull’altro. Queste concezioni, rinvenute sia nei docenti sia negli allievi, inoltre, si trasformano nel tempo, con l’esperienza e in relazione alla natura del rapporto che si ha con l’individuo che si sta valutando.
Come è già stato illustrato precedentemente, queste concezioni svolgono la funzione di guidare l’insegnante nella pratica educativa, nelle sue decisioni, nel suo modo di interpretare gli eventi e di intervenire di fronte alle difficoltà (Fiorilli, 2009).
Gli insegnanti, le loro credenze sull’intelligenza e il punto di vista degli allievi: la ricerca
All’interno di questo studio si è cercato di indagare in particolare il punto di vista degli allievi rispetto alle credenze sull’intelligenza degli insegnanti. Infatti, come sottolineano i paradigmi di tipo costruttivista, è fondamentale indagare come l’ambiente viene percepito dalle persone, specialmente in adolescenza, periodo in cui l’individuo fa maggiormente ricorso al pensiero logico- paradigmatico (Petter, 2002).
Il primo obiettivo della ricerca è stato, per l’appunto, quello di esplorare le concezioni dell’insegnante sull’intelligenza dal punto di vista dei ragazzi. A tal fine, si è utilizzato uno strumento appositamente costruito sulla base della Scala delle Concezioni Costruttiviste dell’Intelligenza (SCCI) sviluppata da Albanese e Fiorilli (2003) per misurare le concezioni costruttiviste degli insegnanti. Nella costruzione del questionario si sono inseriti item relativi alle teorie dell’insegnante sull’intelligenza e item che, invece, ne rispecchiano le pratiche.
Il secondo obiettivo ha previsto la somministrazione dello Study Process Questionnaire (R-SPQ- 2F) (Biggs, Kember & Leung, 2001). Lo scopo è verificare la scala sul campione di studenti delle superiori. Coerentemente ai dati in letteratura, si dovrebbe ottenere una struttura a due fattori. Uno di essi rispecchierebbe una motivazione profonda allo studio, l’altro una superficiale.
Come terzo obiettivo si è analizzato il rapporto tra le percezioni degli alunni rispetto alle credenze dell’insegnante sull’intelligenza e la loro motivazione allo studio della materia. L’ipotesi è che percepire l’insegnante come costruttivista (nelle sue teorie e nelle sue pratiche) porti a una maggior motivazione profonda allo studio.
Infine si è esaminato il ruolo esercitato dalle variabili età, genere, materia prescelta per completare il questionario (quella in cui si ha più difficoltà o meno difficoltà) e voto (scritto e orale).
Popolazione
A questa ricerca hanno partecipato 199 studenti, 92 maschi (41,3 %) e 107 femmine (48 %), frequentanti un liceo scientifico del Nord Italia. L’età dei soggetti è compresa tra i 15 e i 20 anni, con una media di 16,20.
Risultati della ricerca
Le concezioni dell’intelligenza dell’insegnante dal punto di vista dei loro alunni
Le tre dimensioni emerse dalla scala utilizzata dal presente studio sembrano rispecchiare diversi indici che lo studente utilizza per farsi un’idea di quello che l’insegnante pensa.
Il primo fattore (Le teorie dell’intelligenza) si struttura su due poli. Uno restituisce l’immagine di un insegnante che vede l’intelligenza come qualcosa di non rigidamente determinato, ma come un’abilità che, con l’esercizio, può essere sviluppata. Questo insegnante appare ai ragazzi non solo consapevole dell’impatto che la relazione educativa esercita sul loro sviluppo cognitivo, ma anche fiducioso nella possibilità che essi potranno affinare le loro doti intellettive. Al contrario l’insegnante percepito come innatista sembra considerare il suo intervento educativo come meno incisivo e le possibilità di miglioramento come poco probabili.
Il secondo fattore riguarda le pratiche dell’insegnante e, in particolar modo, la discussione in classe e le modalità con cui l’insegnante affronta l’errore. Esaminando meglio questo fattore vediamo emergere i due poli costruttivista e innatista. L’insegnante percepito come costruttivista cerca di suscitare nell’alunno la riflessione sull’errore e coinvolge la classe nella discussione, mentre quello innatista tende a rivolgersi maggiormente al singolo alunno in errore e a non lasciargli spazi di argomentazione e negoziazione.
Come già precisato, le teorie informali guidano l’insegnante nella sua pratica educativa, nelle decisioni, nella programmazione e nell’intervento di fronte alle difficoltà dell’alunno (Fiorilli, 2009). Sembra, quindi che i ragazzi riescano a trarre informazioni sul costruttivismo o innatismo dell’insegnante durante questi momenti. Suggerire la risposta corretta e lasciare scarso spazio alla discussione tra compagni sugli argomenti sono indicatori, per i ragazzi, di ciò che l’insegnante pensa di loro, della loro possibilità di migliorare e di riparare all’errore.
L’ultimo fattore è, anche esso, relativo a un comportamento osservabile dall’alunno: l’uso delle domande. Anche in questo caso, si osservano due polarità riconducibili alle diverse strategie adottate dal docente per porre domande. L’insegnante costruzionista utilizza maggiormente domande aperte, quello innatista domande a cui si può rispondere anche solo con “sì” o “no” o “vero” o “falso”. La pratica del fare domande agli alunni è molto frequente a scuola e acquista caratteristiche paradossali, dovute al fatto che nella conversazione insegnante-alunno le convenzioni che regolano il rapporto tra domanda e risposta sono spesso violate. Infatti, chi fa le domande (insegnante) conosce già la risposta e chi risponde (studente) non sempre è colui che detiene la conoscenza. Inoltre bisogna ricordare il potere valutativo detenuto dal docente (Fiorilli, 2009). Le domande in classe, infatti, sono spesso seguite dalla valutazione della risposta dell’allievo. Anche in questo caso, quindi, il tipo di domande poste in classe sono indicative per l’alunno di ciò che l’insegnante pensa. Domande aperte, infatti, aprono lo spazio a risposte per le quali non sono previsti a priori rigidi criteri di correttezza, mentre le domande chiuse lasciano poca possibilità di espressione ai partecipanti alla discussione.
Questi dati mettono in evidenza come le percezioni che lo studente possiede rispetto alle credenze dell’insegnante derivino dall’osservazione del modo in cui il docente interagisce con la classe e con lo studente singolo. I momenti di discussione, le domande poste e i metodi di correzione dell’errore rappresentano indizi che l’alunno sembra utilizzare per capire cosa l’insegnante pensa della sua intelligenza. Questo dato si potrebbe spiegare tenendo in considerazione che nei momenti di discussione e di riflessione sull’errore (si pensi, magari, alla correzione di un compito in classe o a un’interrogazione) il docente detiene una conoscenza che può non essere condivisa con l’alunno e, in quei momenti, spesso, ha il compito di valutare la prestazione degli allievi (Fiorilli, 2009).
Questi si trovano, quindi, in una posizione in cui ciò che il docente pensa è fondamentale per essi, non solo ai fini della valutazione scolastica ma anche per lo formulazione del concetto di sé. In questa fase della loro vita, infatti, gli adolescenti si trovano a dover completare un compito di sviluppo fondamentale, la costruzione dell’identità. Secondo Petter (1999) gli insegnanti possono dare un contributo essenziale riguardo alla formazione dell’idea di sé. Genitori e insegnanti occupano, infatti, un posto rilevante nella vita del ragazzo ed esprimono di frequente giudizi sulle sue abilità e competenze.
La motivazione allo studio
Dalle analisi condotte emerge la presenza di due fattori. Il primo descrive uno studente che trae molta soddisfazione dallo studio e che prova interesse per ciò che si insegna a scuola al punto di ricercare, volontariamente, approfondimenti sulle materie studiate. Al contrario lo studente raffigurato dal secondo fattore sembra maggiormente guidato da una motivazione estrinseca: la necessità di ottenere un voto sufficiente con il minimo sforzo possibile.
Il rapporto tra le percezioni degli alunni rispetto alle credenze dell’insegnante sull’intelligenza e la loro motivazione allo studio della materia.
La relazione tra i fattori relativi alle credenze degli alunni e la loro motivazione allo studio è stata analizzata tramite il coefficiente di correlazione prodotto-momento di Pearson. Si è trovata una significativa correlazione positiva tra il fattore denominato “la discussione e il trattamento dell’errore in classe” e l’approccio profondo allo studio. Trattandosi di una correlazione non è possibile stabilire un nesso causale tra le variabili, né la direzione della correlazione. E’ pertanto altrettanto possibile ipotizzare una relazione tra una maggior motivazione ad apprendere in modo approfondito il materiale di studio e la percezione dell’insegnante come maggiormente costruttivista nei momenti di discussione. Questo risultato unito alla mancanza di una relazione tra la percezione delle teorie dell’insegnante e la motivazione allo studio mette veramente in risalto il ruolo che le pratiche del docente (e in particolare le modalità di gestione della discussione e dell’errore) svolgono nel favorire l’approccio profondo alla materia.
Come già accennato l’insegnante costruttivista utilizza pratiche che mirano a coinvolgere gli alunni nella co-costruzione del sapere, stimolando dunque la loro partecipazione attiva al processo di apprendimento e non la semplice riproduzione dei concetti proposti.
I fattori che incidono sulla percezione che i ragazzi hanno dell’insegnante e sulla motivazione allo studio
E’ stata condotta un’analisi della varianza a una via per esplorare l’impatto dell’età sulla percezione dell’insegnante e sulla motivazione allo studio. I soggetti sono stati divisi in due gruppi (Gruppo1: Biennio; Gruppo2: Triennio)
In questo caso i ragazzi più grandi (triennio) e le femmine sembrano più propense a percepire il costruttivismo che emerge dalle discussioni e dalle pratiche di gestione dell’errore. Questi dati potrebbero essere spiegati facendo riferimento ai processi maturativi durante l’adolescenza. Il periodo dell’adolescenza viene di solito suddiviso in due periodi. Il primo è quello della preadolescenza, che può avere inizio prima della maturazione puberale, ed estendersi fino ai 14-15 anni (e coincide quindi con gran parte del ciclo della scuola media, ma si estende, soprattutto per i ragazzi, anche fino alla prima classe della scuola secondaria superiore) Questo momento è caratterizzato da numerosi cambiamenti e, in particolare, dallo sviluppo del pensiero ipotetico-deduttivo. Questi mutamenti, tuttavia, subiscono una ulteriore maturazione durante l’adolescenza vera e propria (Petter, 1999). In questa fase l’adolescente ha a disposizioni maggiore risorse intellettuali ed emotive per affrontare i problemi, farli oggetto di analisi e, in qualche modo, gestirli. Per queste ragioni è probabile che i ragazzi più grandi abbiano a disposizioni più strumenti per farsi un’idea del pensiero dell’insegnante durante le discussioni in classe.
Nel completare il questionario gli studenti hanno anche dovuto pensare all’insegnante della materia in cui avevano più difficoltà oppure meno difficoltà.
I dati dell’Anova permettono di fare ulteriori considerazioni. Prendendo in esame i primi due fattori (“le teorie dell’intelligenza” e “la discussione e il trattamento dell’’errore in classe”) si notano delle similitudini. In primo luogo si evince il ruolo che la difficoltà percepita della materia svolge nell’influenzare la percezione dell’insegnante come costruttivista o innatista.
Chi ha completato il questionario pensando all’insegnante della materia in cui ha meno difficoltà e chi ha ottenuto voti buoni ha totalizzato mediamente punteggi più alti negli item dei fattori sopra citati e mostra, quindi, di percepire un’insegnante più costruttivista. Le possibili spiegazioni a questi risultati potrebbero essere due. Prima di tutto si potrebbe ipotizzare che l’ottenere un buon profitto e l’avere scarse difficoltà in una materia portino ad una percezione più positiva dell’insegnante e delle sue pratiche. Allo stesso tempo è anche probabile che se lo studente avverte che l’insegnante crede in lui e nella sua possibilità di migliorare ottenga poi risultati buoni e senta di incontrare meno difficoltà in quella materia.
I risultati riguardanti il terzo fattore della scala delle percezioni dell’insegnante mostrano notevoli discrepanze con quanto appena detto. Nel fattore “le domande dell’insegnante” i gruppi che ottengono medie più alte sono quelli di coloro che hanno completato il questionario facendo riferimento alla materia in cui hanno più difficoltà e in cui ottengono voti insufficienti. Questo aspetto potrebbe essere ricondotto al fatto che gli alunni in difficoltà si sentono maggiormente stimolati con domande che richiedono una risposta articolata, al fine di pervenire da soli allo soluzione del quesito. E’ probabile che a questi alunni vengano rivolte più spesso domande aperte mirate a capire i processi che hanno portato all’errore. Agli alunni che di solito ottengono voti buoni, invece, potrebbe non essere richiesta la riflessione sul modo in cui sono pervenuti alla risposta esatta.
Quali pratiche per favorire un approccio profondo allo studio?
Durante l’adolescenza il mondo della scuola rappresenta un luogo di investimento privilegiato e, nonostante i ragazzi si sforzino di sminuirne il peso, la scuola ha grosse ricadute sulla loro vita affettiva e sui loro stati mentali (Iaccarino, 1993). Per questo è sembrato utile prendere in esame il punto di vista dei ragazzi, analizzare le variabili che lo influenzano e cercare di capire se esso possa incidere sulla loro motivazione allo studio.
Tante sono le variabili che possono incidere sulla motivazione in ambito scolastico. Lo studio presentato ha, però, permesso di fare alcune considerazioni sulle pratiche messe in atto dal docente e sul loro ruolo nel favorire la motivazione.
Prima di tutto è necessario che nell’interazione con l’alunno singolo e con la classe il docente metta in atto pratiche costruttiviste, che facciano sentire all’allievo di avere un ruolo attivo nel suo processo di apprendimento. Durante queste discussioni è bene che sia coinvolta tutta la classe e non il singolo alunno in errore e che il docente svolga il ruolo di facilitatore dell’intervento degli alunni, ponendo domande e attendendo risposte, stimolando la riflessione sui processi piuttosto che sui prodotti. Queste pratiche consentono all’insegnante di intervenire nella zona di sviluppo prossimale e, come si è visto, sembrano correlate ad un approccio profondo allo studio.
A questo proposito Rizzato e De Beni (2004) sottolineano la complessa relazione tra i concetti di metacognizione e motivazione. Le autrici affermano che per incrementare l’abilità dei ragazzi di attingere dalla propria motivazione intrinseca ad apprendere, bisogna aiutare gli alunni a comprendere le modalità con cui i loro pensieri possono influenzare i loro stati d’animo e i loro comportamenti. Gli studenti devono arrivare ad appropriarsi dell’idea di sé come agente attivo. Per arrivare a ciò, l’ambiente educativo deve offrire la possibilità di riflettere sui propri processi cognitivi.
Bisogna, inoltre, tenere presente il grande impatto che la relazione alunno docente svolge nel favorire il coinvolgimento scolastico e, in particolare, come suggeriscono i dati, il percepire un insegnante che crede nelle possibilità che l’alunno possa incrementare la sua intelligenza.
A riguardo Vacirca, Giannotta & Ciairano (2010), in un’indagine svolta nella scuola secondaria di primo grado circa la relazione tra lo stile educativo degli insegnanti e il coinvolgimento scolastico degli alunni, evidenziano come le relazioni nel contesto classe siano il risultato di un processo graduale di co – regolazione nel quale assumono particolare importanza la flessibilità del docente e la capacità di fornire sostegno ai preadolescenti in modo continuativo nel corso del tempo La disponibilità al dialogo, in particolare, è risultata collegata a un maggior coinvolgimento scolastico soprattutto se tale disponibilità è stabile nel corso del tempo.
Infine, è bene interrogarsi sulle cause del declino della motivazione all’adozione di un approccio profondo allo studio lungo il percorso scolastico che sono emerse sia nel presente studio sia in ricerche precedenti (Kember, 2000; Biggs & Moor, 1993). Questo dato potrebbe indicare, come suggerito da Biggs (2001), che il sistema di valutazione valorizza e premia le strategie di mera riproduzione a scapito della comprensione e dell’interesse verso il materiale di studio. Vista la relazione tra obiettivi di padronanza, motivazione intrinseca e risultati accademici positivi (Matos, Lens & Vansteenkiste, 2007; Linnenbrink-Garcia, Tyson & Patall, 2008) appare, quindi, essenziale che il contesto educativo valuti non solo la prestazione ma anche il reale sviluppo delle competenze.