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Abuso senile intrafamiliare: conoscere per prevenire

L’abuso senile è definito come qualsiasi azione di commissione o omissione, intenzionale o meno, che decresce notevolmente la qualità di vita dell’anziano

Di Guest, Chiara Di Nuzzo

Pubblicato il 20 Giu. 2016

Aggiornato il 21 Gen. 2020 14:08

L’ abuso senile è stato genericamente definito come qualsiasi azione di commissione o di omissione, intenzionale o non intenzionale, di natura fisica, psicologica o materiale, che decresce significativamente la qualità di vita dell’anziano.

Marco Pontalti, Chiara Di Nuzzo, OPEN SCHOOL STUDI COGNITIVI MILANO

 

L’abuso senile intrafamiliare: introduzione

[blockquote style=”1″]Per due anni Hisayuki Kuribayashi ha picchiato sua madre, che ha 81 anni ed è malata di Alzheimer. […] Quando si sono manifestati i primi segni della malattia, lui ha perso la testa. Solo ed oppresso dal lavoro di responsabile di una ditta di sicurezza, Kuribayashi non si è reso conto del progressivo peggioramento delle condizioni della madre e si è trovato rapidamente di fronte ad una situazione che non era in grado di gestire “Non ce la facevo più. La scuotevo, la colpivo e le gridavo contro”, ammette imbarazzato mentre fissa la sua tazza di caffè […]. Quando la malattia di sua madre si è manifestata Kurybayashi, che aveva una stanza in più, l’ha accolta nel suo appartamento. All’inizio la donna era autosufficiente, “poi, rapidamente, tutto è diventato molto difficile” ammette l’uomo. “Di giorno rimaneva sola e dormiva molto. Quando la sera tornavo a casa dal lavoro non potevo riposarmi: lei mi svegliava ogni cinque minuti e di notte a volte gridava. È andata avanti così per due anni”. Alla fatica si è aggiunta la tristezza per come era degenerato il loro rapporto. “Aveva fatto tanto per me, faticavo a riconoscere quello che stava diventando. La aiutavo a mangiare, a lavarsi e ad andare in bagno. Era una situazione che non riuscivo ad accettare. Mi faceva rabbia, mi irritavo e la picchiavo. Non lo facevo apposta”. Aggiunge che era più forte di lui. “Ogni volta rimpiangevo di averlo fatto e ogni giorno mi sentivo in colpa”.[/blockquote] (Internazionale, 10 luglio 2015)

Queste parole racchiudono parti di un articolo pubblicato recentemente su Internazionale dal titolo “Non c’è più rispetto”. L’intento del giornalista era quello di analizzare il fenomeno della violenza senile intrafamiliare dagli occhi dell’abusante. La sincerità e la direttività rendono particolarmente vivida e cruda la difficoltà e la sofferenza psico-sociale che pesavano sia al caregiver-abusante, sia al familiare-abusato aggravato dalla compresenza di una malattia degenerativa.
L’articolo ricalca una situazione giapponese, tuttavia non bisogna andare così lontani, poiché anche nel nostro Paese si possono riscontrare episodi simili.

[blockquote style=”1″]“Nei giorni successivi la signora trascorreva l’intera giornata seduta in cortile poiché la figlia al mattino, subito dopo il risveglio, la costringeva ad uscire dall’appartamento chiudendo la porta a chiave e impedendole di rientrare anche solo per bere un sorso d’acqua. Non le permetteva di rientrare neanche all’ora di pranzo e verso le 15 le lanciava dalla finestra una confezione di crackers o una merendina. Io e altri condomini quando la vedevamo in cortile le offrivamo riparo e qualcosa da bere e da mangiare. In diverse occasioni vedevo sul volto della signora la presenza di ecchimosi, escoriazioni e graffi”. La donna, rimasta vedova qualche anno fa, da un paese dell’hinterland si è trasferita in casa di una delle quattro figlie (una donna con problemi di alcolismo); l’accordo era che per l’assistenza all’anziana madre avrebbe tenuto metà della sua pensione; la convivenza è degenerata quando i sintomi della malattia senile si sono fatti più evidenti; a quel punto le violenze e i maltrattamenti sono diventati un’abitudine quotidiana. [/blockquote](Corriere della Sera, 16 marzo 2016)

[blockquote style=”1″]Quando ancora abitavano assieme si udivano urla e insulti della figlia rivolti contro la madre […] I maltrattamenti sarebbero continuati anche quando l’anziana madre, all’epoca dei fatti settantenne malata di Parkinson e affetta da demenza senile, era ricoverata in un centro di lunga degenza. […] Un’infermiera aveva ricordato: “Ho assistito a tanti episodi. Una volta l’aveva spinta davanti allo specchio in bagno, ‘guarda in che stato sei, non ti vergogni’, le diceva. Un giorno ho visto la donna mentre faceva il gesto di metterle un dito nell’occhio. Si arrabbiava se non mangiava, ma a volte era lei stessa a non farla mangiare, la umiliava per i problemi di incontinenza. Era aggressiva anche con noi quando la volevamo accudire.”[/blockquote] (Targatocn, 9 giugno 2015).

 

I dati e le percentuali di abuso senile

Sono stralci di due fatti di cronaca distinti recuperati dalla stampa nazionale italiana che causano reazioni di stupore e disprezzo verso quelle persone, figli (53%), nipoti (19%) o coniugi (16%), che abusano e maltrattano il proprio famigliare anziano, spesso all’interno delle mura di casa (Davis e Medina, 2001) ma anche nelle case di riposo (Krug et al., 2002). Sono due dei tanti, perché la violenza agli anziani è molto più diffusa di quanto si possa immaginare, ed è presente in tutto il mondo, in paesi sia sviluppati che in via di sviluppo (Cooper, Selwood, & Livingston, 2008; Laumann, Leitsch, & Waite, 2008; Pillemer & Finkelhor, 1988). L’essere “anziano” è una condizione che si è radicalmente mutata nel tempo, passando da una visione come “vecchi saggi e rispettabili” a persone “neglette ed emarginate”. Oggi le persone anziane sono anacronistiche, non facilmente adattabili alla società odierna, confermato dalla letteratura geriatrica e criminologica che parla del maltrattamento in questa fascia di popolazione come un fenomeno in costante aumento (Bonnie e Wallace, 2002; Podnieks e Wilson, 2005).

L’Organizzazione Mondiale della Sanità (WHO, 2002) ha pubblicato ufficialmente il primo “Rapporto mondiale su violenza e salute”, individuando la prevalenza del 4-6% di violenza sulle persone in età senile. Più recentemente il rapporto dell’Ufficio Europeo dell’Organizzazione Mondiale della Salute (2011), si è stimato che ogni anno muoiono 2500 anziani per azione di commissione ed omissione da parte dei famigliari, che il 30% degli 8500 annuali omicidi di soggetti in età senile sarebbero dovuti a maltrattamenti subiti e che il 19,4% della popolazione anziana europea (circa 29 milioni di persone) sono vittime di abuso psicologico. In altri studi, l’ abuso fisico e psicologico in ambito domestico risulta una delle categorie più comuni e diffuse di maltrattamento subito dalla popolazione anziana (Barbagallo et al., 2005) per mano di un familiare che si prende cura di lui (Cyphers, 1999). Sono cifre che descrivono uno scenario piuttosto preoccupante le cui previsioni non sono rassicuranti a fronte di una costante crescita della popolazione in età avanzata e dell’allungamento della età media di vita.

In Italia è difficile discutere di questo fenomeno, nonostante i numerosi fatti di cronaca. I dati sono molto carenti e sottostimati poiché alto è il numero oscuro (l’insieme di reati commessi ma non denunciati), un aspetto problematico che rende molto sfocata la reale fotografia della violenza tra le mura domestiche. Alla base di questo distacco, in Italia ma anche nel mondo, sembra esserci una difficoltà intrinseca nell’ottenere informazioni precise, un’omertà delle stesse vittime nel denunciare gli abusi subiti se non di fronte ad azioni estremamente gravi (Krahé, 2005). In una revisione totalmente italiana, Molinelli et al. (2007) hanno stimato che i casi di maltrattamento nei confronti degli anziani dovrebbe aggirarsi attorno alle 500.000 unità all’anno, la maggior parte per mano dei figli delle vittime stesse (Correra, Martucci, 1994; Granata et al., 1996), per una prevalenza, stando ad ulteriori studi, attorno al 9% (Ogioni et al., 2007).

Questi dati fanno quindi riflettere sulla necessità di intervenire e nel prevenire situazioni di maltrattamento, in una società in cui gli anziani saranno sempre più numerosi e presenti (Proehl, 2012).

La testimonianza all’introduzione è un tipico esempio di situazione in cui un familiare è scelto (o si propone) come caregiver principale, ovvero come colui che assisterà in modo prevalente o totalizzante l’anziano, diventando quindi il suo responsabile della cura. Nello specifico, Kuribayashi è un caregiver “burden”, termine con il quale si identifica quella condizione di “carico” e “peso” psicologico, fisico ed economico che il caregiver assume nell’accudire il suo familiare, con un impatto negativo sulla sua salute e sulla stessa assistenza del malato, che spesso sfocia in un distacco emotivo determinando maggiore stress, sentimenti di rabbia e impotenza. Il Burden è un fattore di rischio che, come si potrà vedere più avanti, genera sì un contesto favorevole alla violenza ma non è da solo sufficiente: per certi studiosi prevale la qualità della relazione piuttosto che la condizione di Burden (Homer, Gilleard, 1990; Cooney & Mortimer, 1995; Reis & Nahamish, 1998). Inoltre, il caso del figlio giapponese rappresenta una delle tante forme di maltrattamento nei confronti degli anziani da parte dei caregivers. Facciamo un passo alla volta.

 

Che cos’è l’ abuso senile?

L’ abuso senile è stato per la prima volta oggetto di discussione negli Stati Uniti attorno agli anni Settanta e affrontato scientificamente nel 1975, grazie all’osservazione da parte di operatori sanitari di una manifestazione comportamentale dell’anziano, definita sotto il termine “granny-battering” o “elderly abuse syndrome”, non spiegata da un punto di vista medico (Baker, 1975; Burston, 1975).

Nel già citato rapporto dell’Organizzazione Mondiale della Salute (2002), l’ abuso senile è stato genericamente definito come qualsiasi azione di commissione o di omissione, intenzionale o non intenzionale, di natura fisica, psicologica o materiale, che decresce significativamente la qualità di vita dell’anziano. Action on Elder Abuse, un’organizzazione inglese che affronta esaustivamente il tema della violenza sulle persone in età avanzata, ha proposto una definizione dove mette la relazione di aspettativa di fiducia tra l’abusante e l’anziano il cuore della sofferenza e l’elemento di discriminazione tra le altre forme di violenza nei confronti degli anziani (per esempio, truffa, rapina, furto, omicidi, etc.) (Action on Elder Abuse, 2016). Tale caratteristica è stata accolta anche dalla International Network of Prevention of Elder Abuse, l’organizzazione adibita alla prevenzione del fenomeno, la stessa che ha promosso ed organizzato la “Giornata mondiale contro la violenza sugli anziani” il 15 giugno 2006.

L’anziano può subire danni fisici e dolore, essere umiliato, abbandonato (Salmon, Stobo e Cohn, 2002), subire furti di denaro (Chen et al., 2014) o essere negato di cibo e cure, con profonde conseguenze fisiche e psicologiche. Per maggior chiarezza espositiva, è possibile individuare diverse categorie di abusi subiti dall’anziano (Barbagallo et al., 2005):
Abuso fisico: dolore, danni fisici, ingiuria.
Abuso psicologico: sopraffazione verbale, umiliazione, intimidazione, minacce.
Abuso economico: furto, estorsioni, eredità anticipate, firme forzate.
– Violenza medica: eccessiva somministrazione dei farmaci.
– Violenza per omissione: negazione della necessità, dimenticanza, omissione.
– Violenza civica: arbitraria mancanza di rispetto della figura dell’anziano.
Abuso sessuale: contatto sessuale di ogni tipo senza consenso.
– Autolesionismo: azioni e comportamenti dell’anziano che mettono in pericolo la propria salute e sicurezza.

 

Fattori di rischio e conseguenze del maltrattamento e dell’ abuso senile

Non ci sono singoli fattori ma una eterogeneità di fattori di rischio che può favorire la violenza sugli anziani per mano di familiari o persone vicine. Per indagare in maniera più strutturata ed esaustiva, ricercatori hanno adottato il modello ecologico come chiave di lettura, per cui è possibile individuare i fattori di rischio a più livelli: individuale, relazionale, sociale/comunitario (Schiamberg & Gans, 1999; Carp, 2000).

– Individuale. Relativamente agli abusanti, sono soggetti che tendenzialmente presentano disturbi di personalità e problemi legati all’alcol e alla droga (Wolf & Pillimer, 1989; Bristowe & Collins, 1989; O’Leary, 1993), difficili condizioni economiche (Krug et al., 2002), il sovraccarico di responsabilità assistenziale o alti livelli di stress nel caregiver (Podniekes et al., 2010). Relativamente agli anziani abusati, la maggior parte delle vittime appartiene al genere femminile, con un’età maggiore di 80 anni e spesso in una condizione sociale disagiata (Aitken & Griffin, 1996). Non c’è invece un consenso sulla correlazione tra indebolimento cognitivo, fisico o demenza e maltrattamento. Uno studio rileva che tende ad essere correlata a una situazione di maltrattamento per il 51% dei casi (Dyer et al., 2000), altri che non sussiste alcun legame (Pillemer, 1989; Paveza et al., 1992; Cooney & Mortimer, 1995).

– Relazionale. I fattori di rischio relazionali, ossia quelli relativi agli intercorsi tra l’anziano e i caregivers, sono il sovraccarico di responsabilità di coloro che si prendono cura dell’anziano e la differenza di potere nella relazione di accudimento della persona in età avanzata (Steinmetz, 1988; Eastman, 1994). Il sovraffollamento e la perdita di privacy dovuta alla presa in carico dell’anziano in casa dei parenti favorirebbero situazioni di conflitti e di violenza in ambiente familiare (Scali, 2013). La relazione di dipendenza, intesa come il vivere in funzione del bisogno dell’altro, tra l’anziano e il caregiver (i figli in particolare) sarebbe un fattore di rischio nell’instaurazione di una dinamica interpersonale perversa, deviante e pericolosa (Pillemer, 1989). La demenza comporta profondi cambiamenti nel comportamento e nella personalità del paziente e rappresenta un evento critico che coinvolge anche l’intero gruppo familiare che si trova a vivere in elevate condizioni di stress e di impegno. Tuttavia da sola, come discusso precedentemente, non sarebbe in grado di favorire l’ abuso senile, sottolineando come sia la qualità della relazione ad essere l’aspetto determinante (Homer, Gilleard, 1990; Cooney & Mortimer, 1995; Reis & Nahamish, 1998). Per esempio alcuni studi hanno visto come la relazione tra la sindrome dell’Alzheimer e l’ abuso senile sia mediata dalla natura della relazione tra l’anziano affetto da tale patologia e il caregiver (Cooney & Mortimer, 1995; Hamel et al., 1990; Nolan, Grant & Keady, 1996).

– Sociale/comunitario. Tra i fattori sociale/comunitari si riscontra l’isolamento sociale dovuto all’indebolimento delle condizioni psicofisiche e alla riduzione di opportunità di socializzazione, facendo aumentare il numero oscuro (Podnieks, 1992; Wolf & Pillemer, 1989; Phillips, 1989; Grafstrom, Nordberg & Winblad, 1994). Le norme culturali e i pregiudizi come l’ageismo, il sessimo e la cultura della violenza, sono aspetti che fino a poco tempo fa erano sottovalutati, ma che stanno contribuendo in maniera significativa al rischio di abuso alle persone anziane (Krug et al., 2002). Fattori che contribuiscono ad una maggiore presenza di abuso senile all’interno di una nazione sono da considerare i veloci mutamenti delle strutture sociali ed economiche legati alla globalizzazione, l’isolamento delle vittime, una inadeguata conoscenza della legge e dei servizi, il conflitto intergenerazionale, la povertà, la cultura, i livelli di scolarizzazione, la mancanza di mobilità e di fondi per il sostentamento della popolazione, la scarsa familiarità e accessibilità ad internet (Podniekes et al., 2010).

Per quanto riguarda le conseguenze, il maltrattamento è una situazione traumatica cronica che comporta gravi conseguenza psicologiche oltre che fisiche per la vittima (Wolf, 2000), portando, come abbiamo visto in precedenza dalla disamina statistica del fenomeno, alla morte.
Gli studi sulla popolazione anziana mostrano che le persone abusate manifestano significativi livelli di depressione e di stress psicologico, si presentano timorosi, agitati, irritabili e, nelle situazioni più gravi, mostrano sintomi dissociativi (Phillips, 1983; Bristowe et al., 1989; Comij et al., 1999). Presentano inoltre sensazioni di impotenza, di alienazione e di negazione dell’evento traumatico, nonché emozioni di colpa, vergogna, paura, ansia e sintomi da stress post-traumatico (Booth, Bruno & Marin, 1996; Goldstein, 1996).

Una conseguenza a dir poco problematica è la difficoltà a denunciare l’ abuso. Questo accade perché spesso l’anziano non è a conoscenza dei propri diritti ed ha una scarsa consapevolezza di subire un abuso, vede il maltrattamento come il pegno da pagare in cambio di gratitudine nei confronti del caregiver che si sta impegnando a prendersi cura di lui, attribuisce al proprio invecchiamento e alla propria persona la responsabilità e la colpa dell’accaduto, si vergogna profondamente di non essere stato in grado di tutelarsi e ammettere che persone vicine a lui possano commettere certi comportamenti, ha timore che a far presente l’abuso possa minacciare la propria sopravvivenza, in particolare nelle case di riposo (Scali, 2013).

 

Intervento e prevenzione dell’ abuso senile

L’Organizzazione Mondiale della Salute (2002, 2011) ha descritto come gli interventi volti a contrastare e prevenire l’ abuso senile derivino per la maggior parte dei casi come risposta da realtà nazionali e locali. L’obiettivo generale è quello di favorire, diffondere e sensibilizzare la conoscenza sul tema dell’ abuso senile nella popolazione e ancor di più nei servizi socio-saniatari ed assistenziali dove lavorano persone che con più probabilità e frequenza sono a contatto con gli anziani. Per far ciò, si necessiterebbe di una vera e propria rete capillare di servizi su tutto il territorio, sia a livello nazionale che locale, garantita e tutelata attraverso un sistema legislativo specifico in materia di maltrattamento ai danni dei soggetti in età avanzata.

A livello nazionale, alcuni Paesi hanno reso realtà questo tipo di sistema, come gli Stati Uniti, il Regno Unito, la Norvegia dove hanno delle vere e proprie strutture governative e/o non governative nel proprio territorio specializzate al contrasto dell’ abuso senile e all’assistenza dell’anziano a livello sanitario, psico-sociale e giuridico. Altri Paesi, come la Francia, la Germania, l’Italia e la Polonia hanno attività di prevenzione limitatamente affidata a centri studi od organizzazioni locali. Altri ancora, come alcuni Stati del Sud America, riconoscendo il problema, hanno proposto piani di intervento formativo volti ad addestrare il personale professionale a contatto con gli anziani al fine di riconoscere i segni dell’ abuso. Paesi asiatici, come Cina, India, Giappone e Repubblica della Corea hanno sottolineato il problema dell’ abuso senile da un punto di vista scientifico, ma non sono state avviate politiche di intervento (Krug et al., 2002).

Legante e rappresentante della quasi totalità dei Paesi in tutti i 6 continenti è International Network for the Prevention of Elder Abuse (INPEA) che ha l’obiettivo di sensibilizzare il tema dell’ abuso nella popolazione, promuovere una corrispettiva educazione e formazione, promuovere la ricerca per evidenziare cause, conseguenze, trattamento e prevenzione dell’ abuso in età avanzata. INPEA si appoggia anche a organizzazioni particolarmente attive e attente al tema, come l’inglese Action on Elder Abuse e il sistema governativo statunitense National Center on Elder Abuse.

A livello locale rientrano invece tutti quei programmi che per sensibilità ed interesse sul tema dell’ abuso senile, autonomamente promuovono e gestiscono programmi di contrasto e di prevenzione. Sono misure per lo più avviate da Paesi sviluppati, di ampio respiro, ossia rivolte alla violenza familiare in genere, e non solo specificatamente a quella agli anziani. Alcuni servizi sociali, in collaborazione con figure professionali specializzate, personale giuridico e forze dell’ordine, hanno per esempio delineato linee guida e protocolli per affrontare i casi di maltrattamento agli anziani predisponendo un numero telefonico per poter denunciare i fatti (Action on Elder Abuse, 1997; Yamada, 1999) e uno spazio protetto dove accogliere gli anziani abusati e condividere in gruppo l’esperienza. Le strutture mediche che più frequentemente di ogni altra realtà locale sono a contatto con gli anziani, sarebbero i luoghi principe per rilevare indicatori e segni dell’ abuso: in tale direzione, medici ed infermieri dovrebbero essere addestrati a riconoscerli e a prendere le misure di intervento adeguate. Purtroppo spesso il personale non è formato perché non è previsto nel piano di studi e gli apparati medico-sanitari non hanno ideato protocolli specifici (Sanders, 1992; Lachs & Pillemer, 1995). A tal riguardo, l’Organizzazione Mondiale della Salute (2002), per aiutare gli addetti al settore e diffondere, ha fornito gli indicatori di sospetto di abuso senile, dividendoli tra quelli relativi all’abusante e quelli relativi all’abusato, questi ultimi ulteriormente categorizzati per tipo di maltrattamento (Tab. 1).

Indicatori relativi all’anziano

Indicatori relativi all’abusante

Fisici

Comportamentali ed emotivi

Sessuali

Economici

Lamentare di essere aggrediti fisicamente

Cadute inspiegabili e ingiurie

Bruciature e lividi o in parti del corpo inusuali o insolite per tipologia

Tagli

Eccessiva assunzione (o ridotta) di farmaci

Malnutrizione e disidratazione senza che ciò sia legato ad una specifica malattia

Condizioni generali di scarsa igiene o apparire poco curato

Cercare l’attenzione medica attraverso la consultazione di diversi medici o strutture sanitarie

Cambiamenti nelle abitudini alimentari

Alterazioni del ritmo del sonno/veglia

Disturbi del sonno

Paura, confusione o avere un’aria rassegnata

Passività, ritiri, tratti depressivi

Tratti d’ansia

Affermazioni contraddittorie o altre ambivalenze

Riluttanza a parlare apertamente

Evitare il contatto oculare, fisico o verbale con il caregiver

Isolamento sociale

Lamentare di essere vittima di abusi sessuali

Frequenti lamentele di dolori nella regione genitale

Comportamenti sessuali fuori dalle precedenti relazioni o personalità

Cambiamenti nei comportamenti come aggressioni, ritiro o automutilazioni

Frequenti lamentele circa dolori addominali, emorragie genitali

Lacerazioni, macchie, tracce di sangue nella biancheria

Prelievi di soldi non abituali

Prelievi di soldi che non in linea con le sue risorse

Cambiamenti nell’intestatario/ beneficiario di titoli, proprietà, beni di varia natura

Le proprietà/beni vengono occultati

L’anziano non trova più i gioielli o altri beni

Movimenti sospetti sulla carta di credito

Mancanza di attrattive quando l’anziano se la potrebbe permettere

Problemi medici o di salute mentale non trattati

Il livello di cura non è commisurato con il reddito o le risorse dell’anziano

Il caregiver appare stressato, cronicamente teso o eccessivamente disimpegnato

Il C. biasima l’anziano per alcuni comportamenti (esempio: essere incontinenti)

Il C. si comporta aggressivamente

Il C. tratta l’anziano come un bambino o in modo de-umanizzante

Il C. ha una storia di abuso di sostanze stupefacenti o alcol

Il C. non permette che l’anziano parli con nessuno

Il C. risponde in modo difensivo, evasivo o ostile quando gli vengono rivolte domande sull’anziano

Il C. si prende cura dell’anziano da molto tempo

[blockquote style=”1″]Nel caso di Kuribayashi sono stati i lividi sul corpo della madre ad allarmare il personale medico del centro di assistenza diurna che la donna frequentava due volte alla settimana. Si sono resi conto che gli ematomi non erano dovuti all’applicazione di cateteri e una mattina si sono presentati a casa di Kuribayashi con un messaggio esplicito: “Dovete separarvi”. Stremato, il figlio ha accettato senza esitare.[/blockquote]

Grazie all’occhio del personale medico della struttura che ospita la madre del protagonista giapponese è stato possibile fermare la situazione di violenza, questo a sottolineare nuovamente l’importanza di una formazione e di un addestramento specifici in grado di rilevare gli indicatori di sospetto di abuso. C’è anche da evidenziare che è stato possibile interrompere questo tipo di maltrattamento perché i segni erano evidenti e visibili. Molte altre forme di abuso, in particolare quello psicologico o la negligenza, richiedono un occhio più attento e a tal riguardo sembra che non ci siano strumenti e metodi standardizzati di screening per la rilevazione dei campanelli di allarme (Molinelli et al., 2007). La depressione, che è una reazione piuttosto diffusa in situazione di abuso e negligenza, può essere valutata tramite la Geriatric Depression Scale (GDS; Yesavage, Rose & Huang, 1983), la Hamilton Rating Scale for Depression (HRSD; Hamilton, 1960) e la Cornell scale for depression in dementia (Alexopoulos et al., 1988).

[blockquote style=”1″][…] la madre è stata messa in un ospedale e poi in una casa di cura specializzata, più costosa. Per pagare i 150 mila yen (1200 euro) della retta mensile della struttura, la pensione della donna non basta, e il figlio deve contribuire di tasca proprio. Ma lo fa volentieri: “Mia madre è contenta, sta molto bene in quel centro”, assicura Kuribayashi mostrando alcune foto della donna, minuta e sorridente.[/blockquote]

La soluzione del nostro protagonista giapponese, per evitare l’aggravarsi di una situazione di violenza già in corso, è stata quella di inserire la madre in una struttura specializzata, salvaguardando in questo modo la relazione tra la madre anziana e il figlio, pagando proficuamente i costi economici in termini di benessere psico-emotivo.

 

Agire sulla qualità delle relazioni intrafamiliari: un modello di prevenzione CBT

Ad oggi sono molti gli interventi di prevenzione dell’ abuso senile promossi dalle associazioni e dalle autorità locali. Oltre alla formazione mirata degli operatori sanitari e al supporto dei caregiver, sarebbe utile avviare programmi che agiscano attivamente sul nucleo familiare con lo scopo di migliorare la qualità relazionale tra l’anziano e le persone che gli stanno accanto.

A tal proposito, Khanlary e colleghi (2016) hanno pubblicato recentemente il primo intervento basato sull’approccio psicoterapico di tipo cognitivo-comportamentale (CBT) rivolto alle famiglie in cui sono avvenuti casi di abuso senile. L’intervento, sviluppato su 5 incontri che hanno coinvolto attivamente l’intero nucleo familiare, si è basato sulla promozione sia di una maggiore consapevolezza del fenomeno del maltrattamento, dei triggers ad esso implicati e dei principi di cura dell’anziano, sia di una comprensione dei comportamenti e dei pensieri funzionali da adottare in situazioni di conflitto. Ogni sessione comprendeva una parte teorica ed una di intervento, quest’ultima basata sull’utilizzo di tecniche CBT quali la ristrutturazione cognitiva, il modelling, il role-playing e gli homeworks. Questo intervento, sostenendo la partecipazione attiva della famiglia, ha ottenuto risultati efficaci nel ridurre lo stress intrafamiliare e i comportamenti di abuso senile, quali abbandono finanziario e maltrattamento fisico. Agendo direttamente sui fattori di rischio individuali e relazionali, è stato così possibile promuovere una maggiore comprensione del problema e l’instaurarsi di relazioni positive e appaganti, concretizzandosi in un reale ed effettivo supporto alla famiglia e, in particolare, all’anziano.

 

Conclusioni

L’ abuso senile è un fenomeno latente purtroppo molto diffuso nella nostra società, è un problema ancora sottostimato e trascurato perché difficilmente individuabile. I motivi sono diversi, ma la sottovalutazione del fenomeno è sicuramente legata alla poca informazione e alla scarsa volontà/capacità di riconoscere e accettare un evento così “disturbante” che tocca a livello umano ed etico la nostra collettività.

Oggi sono numerosi gli interventi di prevenzione basati sulla formazione degli operatori sanitari, sul supporto dei caregivers e sull’assistenza di strutture specializzate esterne alla famiglia, ma ancora non basta. Il maltrattamento domestico è causato da numerosi fattori le cui radici sono la maggior parte all’interno dello stesso nucleo familiare. Ed è proprio qui che la prevenzione dovrebbe cominciare: non solo nell’informare e nel sostenere i familiari, ma anche nell’educare e nel ristrutturare le relazioni con l’anziano in termini cognitivo-comportamentali, con l’obiettivo di promuovere un ambiente sereno, funzionale e capace di risolvere i conflitti che troppo spesso sfociano in maltrattamento.

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