Molto è stato sin oggi scritto e detto circa l’effetto protettivo e terapeutico della meditazione e delle pratiche mindfulness per coloro che si interfacciano a realtà fortemente stressanti come gli operatori negli ospedali (inferiemieri, oss, medici) o coloro che lavorano in reparti “difficili” come la psichiatria e l’oncologia, ma un campo che ha catturato il mio interesse, come di molti ricercatori a Roma, è l’effetto di pratiche di consapevolezza su una particolare categoria di professioni a rischio, che sono gli insegnanti, e quindi dell’importanza della mindfulness nei contesti educativi.
La seconda conferenza internazionale di Roma sulla mindfulness ha sicuramente apportato numerosissimi contributi provenienti da tutto il mondo, a tal punto che risulta difficile scegliere su quali argomenti “appoggiare l’attenzione” poiché, in un contesto molto democratico, ogni simposio (50 in totale) della durata di 90 minuti ha visto susseguirsi 4 oratori per un pro capite di 15 minuti ciascuno, (domande e chiarimenti esclusi), per un totale di circa 200 interventi.
La mindfulness per prevenire il burnout nelle professioni di aiuto
Si può tuttavia evidenziare uno spiccato interesse per lo studio della mindfulness nelle professioni di aiuto come fattore protettivo dal burnout negli operatori che hanno a che fare con la sofferenza (direi che si comprende come il tema sia autobiograficamente caro a molti di coloro che hanno preso parte alla conferenza). E le prove di efficacia sono piuttosto evidenti (Lamothe et al., 2015).
Non ha stupito la presenza di un intero simposio di sabato mattina dedicato alle figure professionali di aiuto “Health professional Facing High stress Situation: meditation as a Burnout Syndrome Prevention and Treatment” né che nel pomeriggio dello stesso giorno abbia potuto sentir parlare Antonio T. Fernando da Aukland circa la compassione nella professione medica come fattore protettivo per il burnout e il ruolo della mindfulness nell’aumentare tale abilità, e Moitree Banerjee che ha illustrato i risultati di uno studio qualitativo circa il progetto MindSHINE (Mindfulness Self-Help Intervention for Nhs Employers) presso l’ ospedale inglese nel quale lavora come ricercatrice.
Molto è stato sin oggi scritto e detto circa l’effetto protettivo e terapeutico della meditazione e delle pratiche mindfulness per coloro che si interfacciano a realtà fortemente stressanti come gli operatori negli ospedali (inferiemieri, oss, medici) o coloro che lavorano in reparti “difficili” come la psichiatria e l’oncologia, ma un campo che ha catturato il mio interesse, come di molti ricercatori a Roma, è l’effetto di pratiche di consapevolezza su una particolare categoria di professioni a rischio, che sono gli insegnanti, e quindi dell’importanza della mindfulness nei contesti educativi (terreno che funziona da ponte per il nuovo trend di ricerca sulla mindfulness nei bambini e nei ragazzi adolescenti).
Nel coffee-break (che poi era anche il tempo concesso all’esposizione dei poster, sempre una ventina al giorno), girando con la tazzina del mio espresso bollente in mano, ho avuto il piacere di conoscere e notare un contributo italiano su questo argomento portato da Viviana Capurso con la collaborazione di Franco Fabbro e Cristiano Crescentini e di espandere le mie letture ad una serie di lavori portati avanti da Fabbro e dalla sua equipe proprio su una forma revisionata di intervento basato sulla Mindfulness chiamato Mindfulness oriented Meditation (MOM). (Fabbro, F. & Muratori, F., 2012).
La mindfulness contro il burnout degli insegnanti
In particolare il poster dal titolo “The effect of Mindfulness-Oriended Meditation (MOM) on school teachers’ stress, burnout and personality traits” ha cercato di indagare gli effetti di questo intervento in un campione di insegnanti sullo stress occupazionale, il burnout e i tratti di personalità.
È dimostrato come l’importanza del benessere degli insegnanti sia particolarmente rilevante per un buon clima degli ambienti educativi ed è proprio questa una popolazione che negli ultimi anni è stata identificata come particolarmente a rischio per lo sviluppo di problematiche psicologiche, stress e burnout.
Lo studio del gruppo italiano ha messo a confronto 20 insegnanti che hanno partecipato al protocollo MOM con 21 del gruppo di controllo per valutare gli effetti di questo nelle variabili misurate. Ai partecipanti sono stati somministrati i seguenti questionari: Big Five per i tratti di personalità, Teacher Stress Inventory per la valutazione dello stress occupazionale, il Five Facet Mindfulness Questionnaire per le skills relative alla mindfulness e il Maslach Burnout Inventory per la valutazione del Burnout.
Da questo ne è emerso che gli insegnanti sottoposti al protocollo riportano, dopo 8 settimane, un punteggio maggiore alle skills di mindfulness e alla scala conscienziosità e una riduzione dei livelli di nevroticismo e stress percepito.
Lo studio è in linea con la letteratura che indica come un alto livello di nevroticismo e una bassa coscienziosità siano spesso correlati a comportamenti rischiosi per la salute, portando a peggiori modalità di reazione allo stress.
Pertanto la diminuzione dello stress occupazionale percepito potrebbe essere dovuta all’impatto del MOM nei tratti di personalità.
Soprattutto lo studio sottolinea la fattibilità e fruibilità nonché l’utilità di certi tipi di intervento basati sulla mindfulness in contesti educativi come quelli scolastici riportando un chiaro impatto positivo rispetto agli indici di benessere della meditazione.
Il metodo di Meditazione Orientato alla Mindfulness
Un cenno lo merita, a questo punto, il protocollo di Fabbro e Muratori (2012) che in un articolo di qualche anno fa hanno illustrato il “metodo di Meditazione Orientato alla Mindfulness”.
Si tratta di un protocollo sviluppato in 8 settimane, per 8 incontri a cadenza settimanale di 2 ore ciascuno associato ad una pratica giornaliera di circa 45 minuti che trae origine dal protocollo MBSR di Kabat-Zinn; ogni incontro prevede un primo momento introduttivo seguito da un breve insegnamento circa il contenuto della sessione, poi una pratica di meditazione e infine un momento finale di condivisione.
Gli argomenti discussi vanno dagli aspetti filosofici e storici della meditazione e della mindfulness, ai rapporti tra la psicoterapia e la meditazione, ai fondamenti di questa, al vivere nel momento presente, fino allo sviluppo della compassione.
Le pratiche meditative sono di tipo sia “anapanasati” (attenzione al respiro), pratiche di attenzione al corpo e pratiche di origine vipassana (coltivare una visione della mente).
In conclusione, al di là degli aspetti clinici e di ricerca, quello che senza dubbio si è potuto notare durante i 4 giorni di conferenza è sicuramente la crescente attenzione rivolta al tentativo di portare la mindfulness nei diversi contesti.
Numerosi sono stati gli accenni di studi, i poster e le presentazioni circa la mindfulness nelle scuole, così come più simposi hanno avuto la tematica di “Mindfulness at work” in un’ottica certamente cosmopolita dove i vari Paesi hanno potuto, ciascuno con le sue leggi e situazioni, illustrare il proprio modo di contribuire alla diffusione della pratica mindfulness al fine di promuovere il benessere.
Sebbene alcuni contesti appaiano più difficili di altri, come Israele o il Sud Africa le cui testimonianze lasciano trasparire una società e un contesto davvero molto difficile e pluritraumatico, appare altresì evidente come l’idea centrale di “prestare l’attenzione al momento presente” non abbia lingua o confini.