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Realtà virtuale: nuove frontiere per le patologiche psichiatriche

In campo psichiatrico la realtà virtuale offre grandi opportunità ai pazienti: nuovi modelli di terapia per fobie, ossessioni, schizofrenia, psicosi e altro

Di Caterina Fusco, Guest, Antonietta Moccia, Marianna Di Nunzio

Pubblicato il 26 Lug. 2017

Aggiornato il 03 Set. 2019 15:52

Realtà Virtuale: nuove frontiere per le patologie psichiatriche

Caterina Fusco (Psichiatra psicoterapeuta cognitivo-comportamentale AslNa2nord), Maddalena Pizziferro (Psicologa psicoterapeuta cognitivo-comportamentale), Antonietta Moccia (Tecnico della riabilitazione psichiatrica), Marianna Di Nunzio (Tecnico della riabilitazione psichiatrica)

 

Abstract

Gli Autori ripercorrono la storia della realtà virtuale partendo dai primi suggestivi esperimenti, risalenti alla prima metà del secolo scorso, fino ai nostri giorni. Vengono messi in evidenza i numerosi e stimolanti campi applicativi che questa nuova scienza oggi offre a chi vuole esperire nuove frontiere di applicazione allargando le possibilità terapeutiche in diversi campi della medicina. Fantascienza o reali possibilità? La cybertherapy appare ora una reale e nuova opportunità in grado di favorire l’apprendimento di tecniche complesse in maniera rapida ed efficace. In questa review gli Autori riportano anche le differenze tra i tipi di realtà virtuale ed infine si soffermano in campo psichiatrico mettendo in evidenza l’opportunità che la realtà virtuale offre ai pazienti:nuovi ed efficaci modelli di terapia per la cura di fobie, ossessioni, disturbi del comportamento alimentare e possibilità di trattamento di sintomi produttivi di pazienti più gravi. In particolare esaminano la possibilità di “sfruttare” la realtà virtuale per velocizzare percorsi riabilitativi per pazienti cronici come l’apprendimento di abilità sociali, messa in discussione dei vissuti deliranti. Il lavoro svolto finora dagli A.A. citati induce a pensare che la realtà virtuale potrebbe essere indubbiamente inserita nei protocolli di trattamento di diversi disturbi psichiatrici e allo stesso tempo suggerisce studi per aprire nuove strade e nuove frontiere a favore delle patologie psichiatriche più complesse.

Definizione di realtà virtuale

Si può definire la realtà virtuale come la simulazione di un ambiente tridimensionale costruito al computer, che può essere esplorato in tempo reale mentre con l’aiuto di particolari dispositivi,è possibile interagire con oggetti contenuti al suo interno e con situazioni come se fossero presenti realmente (Riva, 2005).

La realtà virtuale è definita da Riva (2007) come uno strumento che permette una forma specifica di comunicazione e di presenza. Il soggetto vive l’esperienza di essere presente fisicamente in uno scenario virtuale ed interagisce con esso con sensazioni, emozioni e valutazioni proprie dell’interazione quotidiana col mondo.

Realtà virtuale (virtual reality o VR) vs realtà aumentata (augmented reality o AR)

Per realtà aumentata (AR) si intende la rappresentazione di una realtà alterata in cui, alla normale realtà percepita attraverso i nostri sensi, vengono sovrapposte informazioni sensoriali artificiali/virtuali. Si tratta di un potenziamento percettivo, basato fondamentalmente sulla generazione di contenuti virtuali da parte di un computer e dalla loro sovrapposizione con la realtà.

La realtà virtuale nasce dall’idea di “replicare” la realtà, quanto più accuratamente possibile dal punto di vista visivo, uditivo, tattile e anche olfattivo, per compiere azioni nello spazio virtuale superando limiti fisici, economici e di sicurezza. Il soggetto viene proiettato all’interno di mondi alternativi, catapultato in ogni angolo del mondo vivendo avventure in prima persona.

In sintesi, possiamo dire che la realtà aumentata è basata sul potenziamento dei sensi, mentre quella virtuale sull’alterazione.

La realtà virtuale permette di conoscere il mondo mediante un apprendimento di tipo percettivo-motorio più naturale per l’essere umano, rispetto all’apprendimento di tipo simbolico-ricostruttivo mediato dalla scrittura o dalla tastiera di un computer (Galeazzi, Di Milo, 2011). L’apprendimento motorio prevede una ripetizione ciclica tra percezione e azione: il soggetto osserva i fenomeni, interviene con la propria azione, osserva gli effetti di tale azione in un ciclo basato sull’apprendimento per prove ed errori. In un ambiente di realtà virtuale è possibile conoscere gli oggetti e imparare ad utilizzarli attraverso l’esperienza diretta e in tempo reale delle reazioni alle proprie azioni. Tali aspetti dell’apprendimento esperienziale sono stati studiati in ambito della riabilitazione psichiatrica, dove è necessario che il paziente si riappropri di modalità di esecuzione e controllo di sequenze comportamentali complesse (Wann&Mon-Williams, 1996).

Tipi di realtà virtuale

Un sistema di realtà virtuale è costituito da una serie di strumenti in grado di ottenere informazioni sulle azioni del soggetto (strumenti di input), che vengono integrate e aggiornate in tempo reale dal computer in modo da costruire un mondo tridimensionale dinamico, per essere restituite al soggetto attraverso sofisticati strumenti di fruizione dell’informazione (strumenti di output). In base agli strumenti di output utilizzati è possibile distinguere tre tipi di realtà virtuale:

  • Immersiva: concernente dispositivi sonori, di visualizzazione, di movimento e tattili (casco 3D, guanti e tracciatori sensoriali) che isolano i canali percettivi del soggetto immergendolo in toto, a livello sensoriale, nell’esperienza virtuale che si accinge a compiere. (Melacca, 2016). L’interazione è data da uno o più sensori di posizione (tracker) che rilevano i movimenti del soggetto e li trasmettono al computer, così che questo possa modificare l’immagine tridimensionale in base alla posizione e al punto di vista assunto dal soggetto (Morganti, Riva, 2006).
  • Semi-Immersiva: determinata da stanze fornite di dispositivi e schermi di retro-proiezione surround che riproducono le immagini stereoscopiche del computer e le proiettano sulle pareti, con differenti forme e gradi di convessità, adeguati indici di profondità dell’immagine, dando il cosiddetto effetto tridimensionale (Melacca, 2016).
  • Non Immersiva: determinata da monitor che funge da “finestra” attraverso cui l’utente vede il mondo in 3D; l’interazione con il mondo virtuale può essere effettuata attraverso il mouse, il joystick o altre periferiche come i guanti (Melacca, 2016).

Cenni storici

Sebbene la letteratura tra Ottocento e Novecento sia ricca di riferimenti a mondi “altri” da quello in cui viviamo (Eva Futura di Villiers de l’Isle-Adam 1886),si inizia a parlare di realtà virtuale tra gli anni ’30 e gli anni ’40 del 1900, quando lo scrittore Stanley Weinbaum pubblica il racconto breve The Pygmalion’s Spectacles, in cui fa riferimento a visori per la realtà virtuale basati su registrazioni olografiche di esperienze in grado di stimolare il senso della vista e dell’udito ed anche il senso del tatto e dell’olfatto.

Il fermento intellettuale nei confronti dei nuovi mondi virtuali troverà negli anni Cinquanta una prima applicazione della realtà virtuale.

Il pioniere della realtà virtuale è stato Morton Heilig, il quale, nel 1957, progetta il Sensorama, una macchina che permetteva di guardare film coinvolgendo tutti i sensi. Non solo erano presenti stimoli visivi e uditivi, ma alla pellicola erano integrati movimenti del sedile, soffi d’aria, profumi e vibrazioni, rendendo l’esperienza di intrattenimento più coinvolgente. La visione futuristica di Heilig non trovò fondi sufficienti per essere sviluppata ed applicata al cinema, così il Sensorama rimase solo un prototipo. Successivamente Heilig lavorò ad una versione portatile, costruendo un visore chiamato Head Mounted Display (HMD), molto simile a quelli in commercio oggi, e nonostante fosse stato brevettato, il progetto restò solo sulla carta.

Nel 1968, Ivan Sutherland crea un visore in grado di far vedere immagini 3D che si sovrappongono a oggetti reali, rendendolo sostanzialmente il primo esempio di realtà aumentata della storia, ma il visore risultò essere pesante per cui doveva essere montato su un braccio collegato al soffitto, e per questo soprannominato “spada di Damocle”.

Nel 1987, Jaron Lanier conia il termine “virtual reality” (VR) e la serie televisiva Star Trek lancia l’Holodeck, dando a milioni di persone un’idea più concreta di come questa tecnologia possa funzionare.

All’inizio degli anni 2000, Palmer Luckey, giovane americano con la passione per la tecnologia, assembla un prototipo di visore e, da quel momento, il settore della realtà virtuale esce dalla nicchia di appassionati. Negli stessi anni continua a svilupparsi la realtà virtuale, che annulla sempre più la percezione dell’ambiente reale, ingannando i sensi e immergendo chi la utilizza in un contesto reale ed irreale contemporaneamente.

Il 2016 è stato definito l’anno della realtà virtuale e il fondatore di facebook, Mark Zuckerberg, afferma che la realtà virtuale sarà la piattaforma del futuro.

Campi applicativi

L’utilizzo delle nuove tecnologie digitali spazia in vasti settori produttivi: dal designer per la progettazione di oggetti, al prototipo di veicoli per le aziende automobilistiche, alle tecniche aeronautiche per la simulazione dei voli, all’ingegneria edile per la resa visiva e l’impatto ambientale delle opere finite, al cinema e intrattenimento in cui i visori a realtà virtuale permetteranno di “entrare” all’interno delle scene e di vedere tutto da una prospettiva differente.

Di recente anche le discipline umanistiche stanno traendo grande beneficio da queste nuove tecniche, basti pensare alle molteplici ricostruzioni virtuali nel campo del patrimonio artistico e culturale o, ad esempio, all’archeologia computazionale per la ricostruzione di monumenti, siti archeologici o città del passato. Le potenzialità della realtà virtuale si rivelano sempre più evidenti ed efficaci, soprattutto in alcune aree avanzate della ricerca scientifica e tecnologica.

Uno degli utilizzi più stimolanti della realtà virtuale è sicuramente l’ambito medico. In medicina la realtà virtuale è utilizzata per l’addestramento del chirurgo, per preparare l’intervento in 3D, eseguire più volte la procedura ed infine utilizzare il modello virtuale come guida durante l’operazione. Il giovane chirurgo potrà così esercitarsi in una tecnica operatoria “operando” virtualmente un paziente, correggere i propri errori e affinare la manualità. I simulatori, dunque, permettono di effettuare un addestramento ripetibile, graduabile alle difficoltà e adattabile alle esigenze dell’allievo.

In campo medico esistono diverse applicazioni della realtà virtuale:

  • nel contesto riabilitativo e di trattamento sia a livello fisico-organico (es. mobilità articolare) che cognitivo-psicologico, con programmi e sessioni volte a recuperare o migliorare i deficit acquisiti e le aree di funzionalità compromesse;
  • in ambito formativo ed educativo: la realtà virtuale potrebbe essere utilizzata nel campo della salute pubblica per simulare il mondo così come viene vissuto da una persona con specifici problemi di salute; ad esempio, mettendo le persone nelle condizioni di esperire come vivono i non vedenti o le persone con invalidità fisica, così da sensibilizzare l’opinione pubblica sulle loro necessità di assistenza.

Uso della realtà virtuale in Psichiatria e riabilitazione psichiatrica

In ambito psichiatrico, la realtà virtuale, sebbene sia uno strumento utilizzato da decenni, non ha ancora avuta la giusta diffusione. Il dott. Albert Rizzo, dell’Institute for Creative Technology della University of Southern California lavora sulla realtà virtuale in ambito psichiatrico da circa vent’anni. Il suo focus è stato finora il disturbo post traumatico da stress molto comune nei soldati veterani. Ricreando situazioni stressanti anche in modo graduale ha evidenziato notevoli potenziali terapeutici della realtà virtuale (Rizzo et al, 2005).

In Italia, l’Istituto Auxologico di Milano, è il primo ospedale al mondo che ha realizzato “Cave”, un sistema integrato che permette di ricostruire la realtà, considerando le sollecitazioni cognitive, uditive e visive. Grazie alla visione 3D stereostopica, legata a un sistema di tracciamento della posizione, è possibile una corretta lettura degli spazi, dei volumi e delle distanze, dando così la netta sensazione di essere immersi all’interno della scena virtuale proiettata sugli schermi. Il “Cave” è costituito da due stanze di 3 metri per 3 metri e mezzo dove ai pazienti vengono fatti indossare, oltre ai visori, anche dei biosensori che rilevano il battito cardiaco e la tensione muscolare. Si va ad intervenire su diverse situazioni della quotidianità, per migliorarle tra cui: dimensione sociale, assertività, gestione del tempo e capacità di chiedere aiuto. In base al tipo di patologia, dipenderà anche il professionista (psicologo, nutrizionista, neurologo) con il quale il paziente dovrà relazionarsi. In base al livello di patologia che si presenta si scelgono gli esercizi più opportuni per il paziente. Così ad esempio, chi soffre di stress, ansia o attacchi di panico, viene proiettato in un ambiente mindfulness (deserto, lago di montagna, cascata) in modo tale che possa rilassarsi (Istituto Auxologico di Milano, 2016).

Nell’ambito della riabilitazione cognitiva, invece, l’Istituto ha sviluppato una soluzione per rallentare il deterioramento cognitivo lieve (chiamato anche mild cognitive impairment) che ha come obiettivo quello di potenziare la memoria con esercizi specifici (Istituto Auxologico di Milano, 2016).

Numerose meta-analisi (Parsons & Rizzo, 2008; Powers & Emmelkamp, 2008) hanno mostrato come:

  • gli ambienti di realtà virtuale sono in grado di evocare le medesime reazioni ed emozioni della situazione vissuta nel mondo reale;
  • il senso di presenza può essere esperito anche in ambienti caratterizzati da un realismo grafico non particolarmente curato;
  • il senso di presenza è fortemente correlato con la possibilità di interagire con le componenti dell’ambiente virtuale, favorendo la concentrazione e il coinvolgimento del paziente;
  • vi è una generalizzazione di attribuzioni e credenze di un paziente dalle esperienze guidate negli ambienti virtuali verso le situazioni dell’ambiente reale.

Considerazioni applicative della realtà virtuale in Psicosi e Riabilitazione Psichiatrica

Sebbene l’utilizzo della realtà virtuale con pazienti schizofrenici sia una pratica piuttosto recente, numerosi studi dimostrano che la realtà virtuale consente, in una situazione controllata, interessanti applicazioni sia per la valutazione che per il trattamento. Essa permette, infatti, di riprodurre situazioni ambientali e sociali che stimolano il soggetto in modo simile al contesto reale; per di più, è possibile modulare l’intensità e la durata dell’esperienza virtuale in base alle esigenze del soggetto (La Barbera et al., 2010). L’utilizzo di questo strumento permette di riprodurre situazioni emotive e sociali, tipiche delle relazioni interpersonali (Kim e et al., 2010).

Così come nel trattamento delle fobie, gli ambienti virtuali consentono di esporre il paziente alle proprie paure persecutorie e di testare le proprie credenze su ciò che viene percepito come minaccioso.

È possibile far apprendere al paziente strategie di coping da adottare in situazioni sociali variegate, qualora si verifichino sintomi psicotici.

È possibile applicare la realtà virtuale nei giochi di ruolo, per stimolare e incrementare le abilità interpersonali dei pazienti, migliorandone le capacità di conversazione e la fiducia in sé stessi (Park et al., 2011). In ambito riabilitativo è possibile ipotizzare l’uso della realtà virtuale per sviluppare la gestione dello stress. La somministrazione guidata dal terapista in realtà virtuale di scene che favoriscono l’induzione della risposta di rilassamento, ha dimostrato effetti positivi (Riva, 1997). Ciò è dovuto prevalentemente agli effetti intrinseci dello strumento di realtà virtuale. La sensazione di presenza reale offerta dalla riproduzione realistica degli ambienti cibernetici e dal coinvolgimento di tutti i canali senso-motori, consente al soggetto in trattamento di vivere l’esperienza virtuale in modo più vivida e realistica di quanto potrebbe fare attraverso la propria immaginazione (Vincelli, Molinari, 1998).

Gli ambienti ricreati mediante le tecnologie di realtà virtuale possono rappresentare un ulteriore contesto di interazione sociale, attraverso il quale è possibile far rivivere ai pazienti le proprie paure, le proprie difficoltà e far emergere il materiale cognitivo ed emozionale che ne sta alla base.

Tuttavia, in particolare, il principale limite delle applicazioni di realtà virtuale con gli schizofrenici sembra essere la stabilità dell’esame di realtà, che caratterizza la fase acuta della malattia.

Considerazioni e Conclusioni

Se posti a confronto con i tradizionali protocolli, gli ambienti di realtà virtuale mostrano numerosi vantaggi. In primis, sono un ambiente protetto per il paziente, dove è possibile riprodurre ripetutamente la situazione temuta sotto il diretto controllo del terapeuta, che può in qualunque momento modificare o sospendere le caratteristiche dell’ambiente.

La realtà virtuale è un buon strumento, che permette di superare alcuni degli ostacoli diffusi della terapia cognitivo e comportamentale standard, come nel caso dei disturbi fobici, il cui trattamento è soprattutto basato sull’esposizione, permettendo esperienze altrimenti quasi impossibili, se non in modo immaginifico, come recarsi ad un aeroporto e salire su di un aereo, trovare una platea che ascolta. Un aracnofobico, ad esempio, potrà essere gradualmente o meno, immerso in un ambiente pieno di ragni (Deppermann et al., 2016). Nell’agorafobia gli ambienti di realtà virtuale consentono di esporsi gradualmente a situazioni fobiche con un’ottimizzazione del tempo e del costo dell’intervento (Botella, Villa et al., 2006; Vincelli, Riva & Molinari, 2007).

La realtà virtuale risulta efficace anche nel trattamento del disturbo post traumatico da stress (Wiederhold & Wiederhold, 2006; Norrholm et al., 2016; Maples-Keller et al., 2017); nel disturbo ossessivo-compulsivo (Kim et al., 2010); nei disturbi del comportamento alimentare (Riva, Bacchetta et al., 2004); nei disturbi sessuali (Optale et al., 2006); e nel trattamento del dolore (Askay et al., 2009; Hoffman  et  al.  2011).

Gli ambienti virtuali permettono allo psicoterapeuta di controllare attivamente molteplici aspetti degli stimoli presentati, identificare i parametri correlati alla risposta disfunzionale. Tali ambienti garantiscono inoltre la riservatezza e la sicurezza dei pazienti, rappresentando uno stimolo ad intraprendere la terapia stessa (Vincelli & Riva,2007).

Alla luce di quanto riportato, si può concludere affermando che sebbene nel caso delle fobie la realtà virtuale sia stata ampiamente sperimentata, si necessitano ulteriori studi che possano confermare ipotesi e dati già acquisiti. In questo modo si consentirà di creare con la realtà virtuale nuovi, più rapidi ed efficaci protocolli di cura per i casi già ampiamente trattati. In caso di disturbi più gravi come la schizofrenia, sarebbero necessari più studi sperimentali in grado di valutare l’efficacia di un trattamento specifico in realtà virtuale. Partendo da tali dati sarà possibile in futuro integrare alle tecniche riabilitative standard il trattamento in realtà virtuale in modo da ottimizzare tempi, risorse ed efficacia allargando confini e prospettive alla riabilitazione psichiatrica.

Il futuro della medicina è sempre più hi-tech: ad oggi la realtà virtuale viene per lo più sperimentata, ma ci si può aspettare che rientrerà nella prassi medica e diverrà una pratica corrente grazie ai benefici che può apportare ed alla sua accessibilità. Di fatto, se finora uno dei principali ostacoli per la diffusione della cybertherapy erano i costi, oggi è possibile avere un sistema di realtà virtuale immersiva a prezzi molto competitivi.

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RIFERIMENTI BIBLIOGRAFICI
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