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La scoperta di un neurone “di quartiere” che favorisce l’orientamento

Un team di ricerca ha identificato un neurone che potrebbe svolgere un ruolo fondamentale nelle capacità di orientamento spaziale dell'uomo.

Di Francesca Fiori

Pubblicato il 15 Giu. 2017

Aggiornato il 18 Dic. 2017 12:58

Un team di ricerca internazionale, composto dai ricercatori di UvA, Jeroen Bos, Martin Vinck e Cyriel Pennartz, ha identificato un neurone che potrebbe svolgere un ruolo vitale nella capacità dell’uomo di orientarsi nel suo ambiente. Si tratta di un passo importante che aiuterebbe a capire come il cervello codifica il comportamento nell’ affrontare l’orientamento spaziale e potrebbe potenzialmente aprire nuove strategie di trattamento per le persone che presentano un orientamento topografico carente, come i pazienti affetti da Alzheimer.

 

Un neurone che consente l’orientamento spaziale

Ogni giorno, miliardi di persone in tutto il pianeta si orientano con successo negli ambienti, ad esempio quando si recano al lavoro o tornano a casa.
Tali viaggi in genere si verificano con poco sforzo e sfruttano la capacità del cervello nell’utilizzare la conoscenza generale sull’ambiente per effettuare stime sulla posizione occupata.
La capacità di realizzare valutazioni del luogo risiede nell’ippocampo, una struttura che è parte del cervello, esattamente situata nel lobo temporale. Svolge un ruolo importante nella memoria a lungo termine e nell’ orientamento spaziale.

La ricerca mostra che il preciso meccanismo di orientamento spaziale comprende appunto le cellule dell’ippocampo, e che queste aumentano o diminuiscono l’attività elettrica a seconda della propria posizione. Tuttavia, quando fanno il loro giro quotidiano, le persone non hanno bisogno di rappresentazioni molto dettagliate. Utilizzano invece questa funzione dettagliata quando si trovano in un luogo sconosciuto, ovvero quando si parla di orientamento topografico.

Sulla base delle ricerche attualmente in corso, si è studiato come la conoscenza della navigazione su larga scala sia codificata nel cervello e se questo processo si verifichi in strutture diverse all’interno del lobo temporale.

La ricerca è stata fatta orientando dei ratti ad eseguire un compito visivo guidato, in un labirinto composto da 8 figure costituito da due cicli che si sovrappongono nella corsia centrale.

Durante l’esperimento, i ricercatori hanno misurato l’attività elettrica nel cervello dei ratti usando un nuovo strumento che gli ha permesso di registrare contemporaneamente gruppi di neuroni provenienti da quattro diverse aree: la corteccia peririnale, l’ippocampo e due zone sensoriali. Le registrazioni dalla corteccia peririnale mostravano modelli di attività sostenute. Il livello di attività elettrica è aumentato e diminuito a seconda del segmento in cui i ratti si trovavano.

Abbiamo trovato una notevole differenza tra le risposte della corteccia peririnale e le risposte in altre aree del cervello“, afferma Jeroen Bos, autore e ricercatore presso l’Istituto Swammerdam di UvA per le scienze della vita.
Le unità della corteccia peririnale avevano sostenuto risposte in tutto il percorso”.

Al contrario, le risposte dalle cellule dell’ippocampo sono state date in ordine sparso durante tutto il compito nel labirinto e i loro campi sono stati molto limitati ad aree più piccole del labirinto.

Gli autori sono rimasti sorpresi di vedere come le risposte della corteccia peririnale fossero in linea con il layout del labirinto, soprattutto perché la regione è comunemente associata al riconoscimento di oggetti.
Questo sembra essere un nuovo tipo di neurone, che è stato soprannominato la “cellula di quartiere”.
Questo neurone sembra consentire al cervello di distinguere in modo specifico tra segmenti distinti (“quartieri”) dell’ambiente.

I risultati del team offrono un primo sguardo sul modo in cui il cervello è in grado di codificare il comportamento di orientamento spaziale in ampi spazi e potrebbe essere particolarmente rilevante per le persone con una capacità ridotta dell’orientamento topografico.

La codifica su larga scala della corteccia peririnale contrasta con quella più mirata dell’ippocampo.

È noto che i pazienti con malattia di Alzheimer o con danno al lobo temporale hanno grandi difficoltà a trovare la loro strada, in particolare per le lunghe distanze“, dice il ricercatore e professore di sistemi cognitivi e neuroscienze Cyriel Pennartz.

Oltre ad offrire nuove conoscenze sui meccanismi cerebrali per la navigazione spaziale a diverse scale, i risultati possono guidare i pazienti con Alzheimer o altre malattie nell’uso di altre strategie spaziali.

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