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Essere figli unici: limite o risorsa?

Nella società italiana attuale i figli unici non sono più un’eccezione e costituiscono un elemento che accomuna molti sistemi familiari.

Di Annalisa Bertuzzi

Pubblicato il 22 Nov. 2013

 

Essere figli unici. - Immagine: © Roman Gorielov - Fotolia.comNella società italiana attuale, con la progressiva diminuzione delle nascite, i figli unici non sono più un’eccezione e costituiscono un elemento che accomuna molti sistemi familiari.

Il figlio unico beneficia di molteplici cure ed attenzioni da parte dei genitori ed è oggetto di un massiccio investimento emotivo; se da un lato ciò può costituire un grande vantaggio, dall’altro può ostacolare il raggiungimento dell’autonomia, condizionando negativamente il processo di emancipazione dalla famiglia di origine.

Nell’ambito di una analisi condotta su 34 figli unici, appartenenti ad una fascia d’età compresa tra i 28 e i 35 anni, Giusti e Manucci (2000) rilevano che solo 15 di essi vivono al di fuori del nucleo familiare d’origine; si può supporre che il figlio unico possa avvertire maggiori difficoltà nel processo di emancipazione dalla famiglia.

Nel caso in cui i genitori vivano l’acquisizione di autonomia da parte del figlio come una minaccia quest’ultimo può incontrare molta difficoltà nel ricercare l’indipendenza necessaria all’elaborazione di un’identità adulta. Tali dinamiche, osservabili in tutte le famiglie, rischiano di amplificarsi nelle famiglie con un unico figlio.

Come è possibile ovviare a questa difficoltà? Unendo le loro forze, i genitori dovrebbero essere in grado di accompagnare serenamente il figlio verso la conquista della propria autonomia, rispettandone il naturale bisogno di prendere le distanze dal nucleo familiare d’origine e di sperimentarsi come persona distinta, ritagliandosi progressivamente i propri spazi di autonomia.

In questo processo è importante evitare di “colludere con le spinte regressive” messe in atto dal figlio unico nel momento in cui, com’è normale in qualsiasi processo di crescita e di cambiamento, vi siano fasi di scoraggiamento che inducono ad attuare un passo indietro verso la sicurezza invece che “in avanti, verso l’incertezza dell’estraneità e della crescita” (Giusti, Manucci, 2000, 35).

Secondo alcune ricerche i figli unici sarebbero più cooperativi e meno competitivi, in quanto cresciuti al di fuori delle gelosie e dei litigi inerenti alla rivalità fraterna; la mancanza di fratelli può, tuttavia, generare paura nel confronto con gli altri.

I figli unici tendono a idealizzare il rapporto fraterno del quale non hanno esperienza e ad averne un’idea astratta e utopistica, ignorando la rivalità e i contrasti dovuti alle differenze di temperamento e di carattere tra fratelli (Giusti, Manucci, 2000).

Per evitare che il figlio unico senta la mancanza di fratelli i genitori dovrebbero fare in modo che egli approfondisca, sin dall’infanzia, i rapporti con altri bambini della sua età: gli amici rappresentano i “sostituti di fratelli”, grazie ai quali si può sperimentare il sentimento di fratellanza che manca all’interno della famiglia d’origine strutturando relazioni paritarie, differenti da quelle asimmetriche con i propri genitori (Giusti, Manucci, 2000).

I figli unici beneficiano di un rapporto esclusivo con i genitori, cosa che consente di godere di molteplici attenzioni e di un clima stimolante sul piano affettivo ed intellettuale; tali fattori sembrerebbero correlati allo sviluppo di una elevata motivazione al successo e di una buona intelligenza (Giusti, Manucci, 2000).

La presenza genitoriale, può, però, diventare “eccessiva” se il genitore orienta tutte le aspettative sull’unico figlio che ha e non tollera i suoi insuccessi, creando un terreno fertile per l’emergere di sentimenti di insicurezza: il figlio rischia di diventare estremamente esigente con se stesso e di cercare di compiacere i genitori senza riuscire a riconoscere ed esprimere i propri desideri e inclinazioni.

I figli unici possono, inoltre, correre il rischio di andare incontro ad un precoce processo di “adultizzazione”, che li fa apparire più maturi, sul piano cognitivo, rispetto alla propria età anagrafica; i genitori possono caricarli di eccessive responsabilità, impedendo loro di vivere le esperienze inerenti alla loro fascia d’età (Giusti, Manucci, 2000).

È necessario, quindi, che i genitori evitino, sin dall’infanzia, di favorire sia che il soggetto diventi precocemente adulto, aderendo passivamente alle aspettative genitoriali, ma anche che resti sempre piccolo, timoroso di confrontarsi col mondo esterno al nucleo familiare (Galimberti, 1999)

Bisogna sottolineare, infatti, come l’eccesso di premure ed attenzioni possa nuocere al figlio; a questo proposito Montuschi afferma che “la misura è dunque il vero problema dell’educazione […] ogni virtù in eccesso assume le connotazioni del vizio: basti pensare agli effetti del troppo amore, della troppa razionalità” (Montuschi, 2004, 142).

D’altra parte, bisogna considerare che i figli unici di genitori non troppo protettivi nei loro confronti possono, al contrario, godere di un rapporto esclusivo che permette loro di sviluppare un senso di sicurezza e di stabilità, una “base sicura” da cui partire all’esplorazione del mondo.

In sintesi, lo status di “figlio unico” non rappresenta un dato negativo o positivo di per sé, ma una condizione contraddistinta da specifiche caratteristiche, che vanno conosciute e valorizzate per favorire, nel figlio unico allo stesso modo di un figlio che cresce attorniato da fratelli, un naturale processo di crescita e di raggiungimento dell’autonomia.

 

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FAMIGLIAGRAVIDANZA E GENITORIALITA‘ – BAMBINI – RAPPORTI INTERPERSONALI

GLI EFFETTI PSICOLOGICI DELLA “POLITICA DEL FIGLIO UNICO” (OPC) IN CINA

 

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Annalisa Bertuzzi
Annalisa Bertuzzi

PSICOLOGA PSICOTERAPEUTA AD INDIRIZZO UMANISTICO - INTEGRATO

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