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Parent training

Il parent training è un intervento che supporta i genitori nel percorso terapeutico dei figli, fornendo strumenti pratici per gestire situazioni difficili

Sezione a cura di Maria Gazzotti

Aggiornato il 12 nov. 2024

Che cos’è il parent training?

Il parent training è un intervento che ha lo scopo di coinvolgere i genitori nel processo educativo, riabilitativo e psicoterapeutico del figlio, attraverso l’insegnamento di abilità necessarie per gestire situazioni problematiche e l’acquisizione di un atteggiamento orientato al problem solving.

Il parent training ha tra gli obiettivi principali la psico-educazione, cioè la spiegazione ai genitori del funzionamento e del disturbo del figlio/a, che è necessaria per comprendere i sintomi e per poter quindi iniziare a riflettere su cosa può essere di aiuto e cosa no. 

Un altro obiettivo fondamentale del parent training è l’acquisizione di strategie per fronteggiare situazioni problematiche. I genitori spesso avranno bisogno di ridefinire il significato che danno ai comportamenti del figlio, riprendere il controllo della situazione, riconoscere il loro ruolo nell’influenzare il comportamento del bambino/adolescente. Dopo che le caratteristiche principali del disturbo sono state individuate e comprese, i genitori dovranno allenarsi a osservarle nella quotidianità e a notare i loro comportamenti, pensieri, modalità comunicative e strategie adottate. Spesso i comportamenti disfunzionali del figlio sono alimentati o mantenuti da circoli viziosi: rendere i genitori consapevoli delle loro modalità di intervento e del ruolo che possono inavvertitamente rivestire, potrà aiutarli a modificare i propri comportamenti disfunzionali e potenziare quelli funzionali, rendendoli partecipanti attivi. 

Come funziona il parent training?

Si tratta di colloqui svolti con la coppia genitoriale (o con uno dei due genitori se non sono entrambi disponibili) oppure in gruppo.

A condurre i colloqui è un terapeuta che ha l’obiettivo di lavorare con la coppia genitoriale in modo da promuovere il benessere del bambino/ragazzo attraverso l’acquisizione di abilità di problem-solving e la riduzione dei livelli di stress familiare.

Il parent training adotta un approccio orientato al problema nel quale i genitori apprendono in seduta tecniche e suggerimenti, che poi potranno esercitare nella quotidianità. Al termine degli incontri verranno concordati gli homework, che permetteranno ai genitori di riflettere nella loro quotidianità sugli argomenti affrontati in seduta o di mettere in pratica le tecniche esplorate durante il colloquio.

Perchè fare un percorso di parent training?

Nei casi di disagio che riguardano un bambino o un ragazzo l’intervento con i genitori può essere determinante.

Non sempre il percorso del bambino o del ragazzo sono possibili o sufficienti, infatti si tratta di singoli individui in una fase di sviluppo inseriti nel più ampio contesto familiare, con le sue dinamiche e le sue modalità. Il parent training permette di coinvolgere attivamente i genitori e può essere utilizzato a sé stante o in aggiunta al percorso del figlio/a. Infatti, nel caso di bambini molto piccoli può essere più efficace un percorso genitoriale, mentre nel caso di adolescenti non disposti ad intraprendere un percorso terapeutico, i genitori possono svolgere un percorso di parent training per capire come rapportarsi con il figlio in modo da essere di aiuto e tentare di promuovere un cambiamento in positivo. Nel caso di pre-adolescenti e adolescenti rimane ottimale la condizione in cui sia l’ascolescente che i genitori svolgono un proprio percorso in modo da massimizzare il cambiamento. 

Mettersi in gioco per aiutare i propri figli

Davanti a un bambino o ad un adolescente in difficoltà può risultare più immediato pensare che siano loro ad avere bisogno di aiuto, ma questo può non bastare. Per quanto difficile, può essere necessario che i genitori stessi si mettano in gioco e si aprano alla possibilità di lavorare attivamente per conoscere il mondo emotivo proprio e dell’altro (se non so riconoscere e validare le mie emozioni come faccio a insegnarlo a mio figlio?). Bisognerà lavorare per cambiare alcune modalità di comunicazione o di risposta comportamentale, allenare il riconoscimento delle emozioni e la regolazione emotiva, l’ascolto dell’altro e di se stessi, imparare a dire di no, a criticare le azioni ma non la persona, ad assumere una posizione assertiva (cioè né passiva né aggressiva) e a stare nel conflitto. 

Perché questo sia possibile, oltre a conoscere il disturbo del figlio, è necessario che i genitori esplorino in fase iniziale le loro modalità tipiche di funzionamento: Cosa mi fa arrabbiare? Come esprimo la mia rabbia? Come reagisco quando sono spaventato? Cosa mi aspetto da mio figlio? Facendo questo il terapeuta potrà raccogliere elementi per aiutare i genitori a promuovere nel loro bambino un attaccamento sicuro, in cui si senta sicuro e protetto.

L’attaccamento sicuro si caratterizza per un modello degli altri come affidabili e disponibili, e un modello di sé come degno di amore e di cure, mentre i bambini che sviluppano un attaccamento insicuro o disorganizzato possono sviluppare un senso di insicurezza o pericolo, sentimenti di rabbia e di angoscia nei confronti degli altri o di se stessi, incapacità di regolare il proprio vissuto emotivo e di sviluppare relazioni sane

Affinché il bambino sviluppi un attaccamento sicuro è fondamentale che i genitori siano in grado di cogliere i suoi segnali e le sue richieste, siano responsivi ai suoi bisogni, in grado di sintonizzarsi emotivamente, costanti e appropriati nelle modalità e nei tempi

Il bambino potrà così sviluppare le basi che gli permetteranno di sviluppare relazioni sane, sicurezza nell’esplorare l’ambiente per un buon sviluppo cognitivo e sociale, la capacità di autoregolarsi controllando gli impulsi e regolando le proprie emozioni, l’empatia e la fiducia in se stesso, negli altri e nel mondo.

Detto ciò, ricordiamo che l’obiettivo a cui puntare non può essere quello di non sbagliare mai e diventare genitori impeccabili, ma quello di esercitare modalità adeguate a supportare il proprio figlio e riparare nel caso di errori quando necessario.

Il parent training per fare chiarezza su rinforzi e punizioni

Spesso i genitori possono non sapere come reagire davanti ai comportamenti disfunzionali del figlio, una distinzione utile da imparare è quella tra rinforzo e punizione. 

I comportamenti funzionali e adeguati devono essere rinforzati attraverso per esempio modalità verbali (come complimenti), materiali (es. figurine), simboli (es. bollini), attività piacevoli o abbracci. Rinforzare i comportamenti positivi fa in modo che il bambino possa capire che si tratta di comportamenti adeguati che potrà rimettere in atto in futuro. Così facendo si contrasta anche il rischio di notare e sottolineare sempre e solo i comportamenti disfunzionali. La punizione, invece, dovrebbe essere usata solo nei casi di comportamenti disfunzionali gravi per esempio quando un bambino assume comportamenti aggressivi verso un fratello. Lo scopo della punizione è trasmettere il messaggio che ciò che è stato fatto è grave e da non replicare. La punizione dovrà essere proporzionata all’azione e stabilita in modo lucido del genitore e non sull’emotività del momento. Ricordiamo che vanno assolutamente evitate le punizioni corporali perché non permettono al bambino di comprendere la situazione e trasmettono il messaggio confuso che l’uso della violenza possa essere giustificato. 

Bibliografia

  • Parent training. Strutturare percorsi di sostegno ai genitori. Corso di formazione Erickson.
  • Justin D. Smith, Thomas J. Dishion, Daniel S. Shaw, Melvin N. Wilson, Charlotte C. Winter, and Gerald R. Patterson (2014). “Coercive Family Process and Early-Onset Conduct Problems From Age 2 to School Entry”. In Dev Psychopathol. Nov; 26(4 0 1): 917–932.
  • Ruglioni L., Fatighenti A., Mentasti M., Vitiello F., Manfredi A. (2014).  Modificazione dello stile genitoriale e del comportamento aggressivo in età evolutiva: il Parent Training del Coping Power Program. Milano: Franco Angeli; Quaderni di Psicoterapia Cognitiva: 35, 2, 2014.

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