Il distacco cognitivo: una funzione trasversale nella CBT
In molte forme di psicoterapia cognitivo-comportamentale (CBT), una competenza cruciale è la capacità di prendere distanza dai propri pensieri disfunzionali. Questo processo, noto con nomi diversi a seconda del modello teorico – distancing nella terapia di Beck (1976), decentering nella Mindfulness-Based Cognitive Therapy, defusione nella Acceptance and Commitment Therapy e mindfulness distaccata nella Metacognitive Therapy – ha un comune denominatore: la possibilità di osservare i propri pensieri come eventi mentali transitori, piuttosto che verità assolute.
Un recente articolo (Saulsman, 2025) propone di unificare questi concetti con il termine distacco cognitivo, definito come la capacità di trattare i pensieri come semplici pensieri, privi di significato o importanza intrinseca. All’interno di un modello cognitivo leggermente adattato, viene fatta una distinzione tra il contenuto dei pensieri (cosa penso) e il significato che attribuiamo a quei pensieri (quanto sono importanti per me). Questa distinzione si rivela clinicamente utile: non è solo il contenuto del pensiero a generare sofferenza, ma anche e soprattutto l’importanza che gli attribuiamo. La combinazione tra pensiero disfunzionale e attribuzione di significato ne potenzia l’impatto emotivo (Saulsman, 2025; Bernstein et al., 2015).
Studi recenti dimostrano che facilitare il distacco cognitivo ha effetti benefici su benessere, regolazione emotiva e sintomi psicologici. Naragon-Gainey et al. (2023) hanno osservato che il decentramento emotivo – una forma di distacco – si associa a un miglioramento del tono dell’umore e a una riduzione di ansia e depressione. Tuttavia, non sempre è facile insegnare questo tipo di abilità: molti pazienti, pur riconoscendo che i loro pensieri sono irrazionali o esagerati, faticano a smettere di crederci o a separarsene nel momento in cui si attivano.
Il ruolo delle metafore nella psicoterapia
La metafora, nella pratica clinica, rappresenta un ponte tra il linguaggio concettuale e l’esperienza vissuta. Nella psicoterapia, si tratta di accostare un’esperienza soggettivamente confusa o astratta – come l’attività mentale disfunzionale – a un’immagine concreta e familiare. Già Beck (1979) suggeriva di usare metafore per aiutare i pazienti a “vedere” i propri pensieri in modo più distaccato. Più recentemente, l’approccio ACT ha fatto delle metafore un perno centrale: pensieri come foglie su un ruscello, passeggeri rumorosi su un autobus, o nuvole che passano nel cielo (Harris, 2009).
La ricerca mostra che le metafore hanno un impatto maggiore rispetto alle spiegazioni letterali: aiutano il paziente a comprendere, ricordare e interiorizzare i concetti terapeutici (Blenkiron, 2005; Holmes & Mathews, 2010). La potenza della metafora risiede nel fatto che attiva il sistema immaginativo e sensoriale, generando risposte corporee ed emotive più intense di quelle suscitate dal semplice ragionamento verbale (Saulsman, Ji & McEvoy, 2019). In particolare, la metafora rende visibile l’invisibile e offre una cornice per ri-significare l’esperienza interna.
Sebbene le metafore siano da tempo presenti nella CBT, la loro funzione è stata spesso relegata a quella psicoeducativa: spiegare concetti, facilitare insight. Saulsman (2025), invece, sottolinea il potenziale delle metafore come strumento attivo di intervento. In particolare, propone di utilizzare metafore idiosincratiche – generate dal paziente stesso – per favorire un nuovo modo di rapportarsi ai pensieri disfunzionali.
Metafore idiosincratiche: un nuovo strumento per il distacco cognitivo
Il cuore dell’approccio di Saulsman (2025) è una tecnica guidata per aiutare il paziente a sviluppare una propria metafora personale di distacco cognitivo. L’autrice descrive, ad esempio, un paziente che paragona i pensieri ansiosi a un gabbiano che strepita per ricevere una patatina: più si dà attenzione a un singolo gabbiano, più gabbiani arrivano. L’invito terapeutico diventa allora: “Non dare da mangiare al gabbiano”. Questo semplice slogan – tratto da un’immagine personale e significativa – diventa un ancoraggio emotivo e comportamentale nei momenti di difficoltà.
Altri esempi clinici includono: pensieri come un politico che mente costantemente, un personaggio televisivo ipercritico, un ubriaco sull’autobus che vaneggia, o pesci critici che emergono da un lago e parlano con voci stridule. Queste metafore permettono di ridurre l’identificazione con i pensieri, trasformandoli in stimoli neutri o ridicoli. Saulsman sottolinea anche l’importanza di elaborare la metafora nel tempo: discuterla, rafforzarla, collegarla a immagini visive, frasi chiave o oggetti fisici (come un ciondolo a forma di pesce).
Questa pratica ha almeno tre vantaggi. Primo, aumenta la consapevolezza metacognitiva, attivando la capacità di osservare i pensieri da una posizione di terza persona. Secondo, stimola il paziente a sviluppare strategie autonome e creative. Terzo, rende più probabile il trasferimento della competenza appresa al contesto quotidiano, poiché la metafora diventa un promemoria incarnato e non solo un concetto astratto.
Implicazioni cliniche e prospettive future
L’approccio di Saulsman si inserisce in una tendenza più ampia della psicoterapia contemporanea: l’integrazione tra tecniche di seconda e terza ondata della CBT, e l’attenzione crescente alla personalizzazione dell’intervento. Le metafore idiosincratiche possono essere usate in combinazione con esercizi esperienziali, tecniche di mindfulness, e interventi comportamentali, rafforzandone l’efficacia e la rilevanza soggettiva. Inoltre, l’utilizzo di metafore è compatibile con pratiche basate sull’alleanza terapeutica e la collaborazione attiva del paziente (Kuyken, Padesky & Dudley, 2009).
Naturalmente, non tutti i pazienti rispondono positivamente a questa modalità. Alcuni trovano difficile usare l’immaginazione o non amano il linguaggio metaforico. In questi casi, la metafora non va forzata. Tuttavia, per quei pazienti che mostrano una predisposizione creativa o una tendenza spontanea a usare immagini, questo approccio può rivelarsi particolarmente potente.
In conclusione, le metafore non sono solo ornamenti narrativi: possono diventare strumenti centrali per trasformare il modo in cui le persone si relazionano ai propri pensieri. Favorire la costruzione e l’uso attivo di metafore personalizzate può aprire nuove strade per promuovere il distacco cognitivo, ridurre la sofferenza e potenziare l’efficacia delle terapie basate sulla cognizione.