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Fare la differenza (2023) di Rossella Ghigi – Recensione

"Fare la differenza" è un libro dedicato alla necessità di un'educazione di genere che possa fare la differenza

Di Mirko Cario

Pubblicato il 09 Apr. 2024

“Fare la differenza”, di Rossella Ghigi, è un testo che offre un’attenta riflessione sulla tematica gender e sulle possibili implicazioni da un punto di vista educativo, pedagogico e sociale.

Partendo dalla definizione di genere, inteso come dimensione dell’identità sessuale distinta dal sesso biologico e dall’orientamento sessuale, l’autrice mette in evidenzia quanto le aspettative, i comportamenti e i gusti ne possano determinare lo sviluppo e di conseguenza la sua naturale espressione.

Il genere concettualizzato come sola elaborazione culturale del dato biologico, rappresentato dal sesso, non basta, però, a determinare l’ampia gamma delle possibili identità. Basti pensare alla popolazione intersex, che presenta cromosomi sessuali, apparato genitale e caratteri sessuali secondari non definibili chiaramente, per cui il dato biologico non è sufficiente a determinare l’appartenenza al genere. Usando le parole dell’autrice, potremo così definire il genere come “un dispositivo co-costruito socialmente, il prodotto di pratiche e di immaginari che a sua volta indirizza gli individui offrendo una lettura di sé e del mondo”.

Ma come avviene la condivisione di questi significati? Secondo quanto riportato nel testo, sulla base dei dati che la letteratura sullo sviluppo psicosessuale in età evolutiva ci offre, fin dalla nascita ogni individuo si confronta con ciò che la famiglia, gli adulti significativi e più in generale la società, si aspetta da lui/lei, riconoscendolo come maschio o come femmina e attribuendogli ruoli ben specifici.

Gli stereotipi e i pregiudizi di genere categorizzano, ancora oggi, una certa visione del maschile e del femminile. “Siamo ancora portati a ricondurre alla maschilità qualità come l’indipendenza, la propensione al rischio, la forza, la competitività, l’attitudine al comando, la preferenza per la scienza e la tecnica, una maggiore tendenza alla violenza fisica, all’uso della ragione, a proteggere gli altri”, “viceversa, siamo portati a ricondurre alla femminilità qualità come la propensione alla cura degli altri, la collaborazione, il bisogno di protezione, l’attitudine all’obbedienza, la paura, l’influenzabilità, la propensione all’umanesimo, una minore aggressività specie fisica, la sensibilità, la dolcezza, l’istinto, la vanità”.

Tali stereotipi di genere, con la loro funzione cognitiva e orientativa, possono pertanto limitare le attitudini e i comportamenti degli individui, delimitandone i confini in termini di cosa è giusto e/o sbagliato per maschi e femmine.

Da qui la necessità di una educazione di genere, che possa dare spazio alla libera espressione di sé, indipendentemente da cosa ci si aspetta, stimolando piuttosto le abilità, le competenze e il senso di auoefficacia.

L’autrice sottolinea quanto sia importante per la scuola porre particolare attenzione non tanto al “curriculum esplicito”, inteso come l’insieme dei programmi, delle metodologie e dei contenuti trasmessi, quanto a quello “nascosto”, inteso come lo stile comunicativo, l’atteggiamento e la cura verso tutti quei dettagli che possono contribuire a determinare significati condivisi sul genere.

D’altronde, come emerge dalla letteratura scientifica sull’argomento, sono poche le abilità in cui maschi e femmine sono costantemente diversi e non è possibile distinguere quanto sia innato e quanto sia appreso.

Inoltre, si è data particolare importanza alle differenze di genere, sottostimando invece le somiglianze, ignorando quanto “le differenze tra gruppi (uomini e donne) sono spesso minori di quelle intragruppo (tra uomini e uomini e tra donne e donne), ma sono considerate più interessanti”. Uno sguardo più nel dettaglio sul nostro paese, ci mostra come la rivoluzione di genere in Italia sia rimasta sostanzialmente incompiuta. Nonostante il quadro sia in evoluzione, sono ancora oggi le donne a sobbarcarsi il 70% del lavoro domestico, i padri che utilizzano i congedi parentali sono decisamente pochi e la maggior parte degli italiani non vorrebbe una persona trans o fluida rispetto al genere come insegnante per i propri figli.

Assodata la necessità di un’educazione di genere, l’autrice offre una serie di spunti operativi sugli aspetti metodologici e sui paradigmi più accreditati.

Nella disamina dei vari approcci, vengono considerate le influenze dei movimenti “femministi” che cercano di operare una trasformazione delle relazioni di genere basate sull’asimmetria e la disuguaglianza.

Nello specifico, con la cosiddetta “seconda ondata” degli anni settanta, i femminismi si moltiplicano e con essi l’interpretazione della differenza, incorporando tutte le lotte ai sistemi di oppressione basati su orientamento sessuale, classe, età, disabilità, nazionalità.

Tale approccio, noto come “intersezionale”, considera il genere come un costrutto da superare, in quanto comporta eccessive generalizzazioni ed esclusioni.

Le attività di educazione di genere hanno come obiettivo quello di aprire l’immaginario degli studenti alle “molteplici possibilità del reale e rendere le categorizzazioni più inclusive”. I possibili effetti di tale approccio sono quelli di ridurre la segregazione formativa degli studenti, che scelgono indirizzi di studi “adatti al genere” (studi umanistici per le femmine e tecnico-scientifici per i maschi) e la successiva segmentazione del lavoro.

L’obiettivo diventa, pertanto, stimolare una consapevolezza di genere che possa superare i significati generalmente condivisi e stimolare una riflessione sulle esperieze soggettive, nelle loro varie forme. “Si tratta di mostrare che maschilità e femminilità non sono costruzioni rigide da assumere o rifiutare in toto, ma contenitori flessibili di una pluralità di esperienze”.

Considerando l’influenza che gli sterotipi di genere esercitano sulla nostra comunicazione e il nostro modo di relazionarci, l’autrice ci invita a porci questa domanda “avrei detto la stessa cosa se fosse stato un maschio (o una femmina)? Se no, perché? Se si, perché? Quali sono le conseguenze di questa mia scelta?”.

Altri elementi utili che possono funzionare come buone prassi da seguire per un’educazione di genere sono:

  • compiere riflessioni su di sé: riflettere sulla propria esperienza personale di genere.
  • basarsi sui risultati pregressi e su una solida conoscenza della letteratura scientifica: studiare e documentarsi su esperienze virtuose e non improvvisare attività di decostruzione degli stereotipi senza offrire un modello di riferimento
  • partire dai bisogni formativi del target a cui si vuole proporre un intervento educativo sul genere
  • coinvolgere i genitori, prima, durante e dopo, perché qualsiasi cambiamento avviene all’interno di un sistema e coinvolge tutti gli attori che ne fanno parte
  • utilizzare un linguaggio e dei materiali appropriati
  • produrre una documentazione chiara e accurata.

“Fare la differenza”, è un testo scorrevole, chiaro e ricco di spunti di riflessione. Adatto a qualsiasi tipo di lettore, propone un tema di grande attualità, all’interno di una cornice teorica variegata e complessa.

L’autrice, Rossella Ghigi, riesce a comunicare in modo efficace e diretto i contenuti dei suoi studi, motivandoci all’impegno per una educazione di genere applicabile in tutti i contesti formativi, dalla scuola dell’infanzia all’università.

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RIFERIMENTI BIBLIOGRAFICI
  • Ghigi R. (2023). Fare la differenza. Educazione di genere dalla prima infanzia all’età adulta. Il Mulino.
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