Stigma nei disturbi alimentari
I disturbi alimentari (DA), o Disturbi della Nutrizione e dell’Alimentazione secondo il Manuale Diagnostico e Statistico dei Disturbi Mentali, sono patologie mentali caratterizzate da gravi e persistenti alterazioni del comportamento alimentare e da pensieri ed emozioni angoscianti associati al peso o all’immagine corporea; producono ripercussioni sul funzionamento fisico, psicologico e sociale della persona, impattando sulla sua qualità di vita (APA, 2023).
Nonostante i crescenti sforzi in campo clinico, di ricerca e delle politiche sanitarie per aumentare la consapevolezza sui disturbi alimentari, disinformazione, stereotipi e falsi miti sulla loro natura e gravità fanno sì che le persone affette sperimentino alti livelli di stigmatizzazione.
Lo stigma consiste in un’attribuzione di pregiudizio infondato che ha come conseguenza l’isolamento del malato e la sua incurabilità. Diversi tipi di stigma sono associati a condizioni di salute mentale come i disturbi alimentari, tra questi individuiamo (Sheehan et al., 2017):
- stigma pubblico, avviene quando la società o l’opinione pubblica condividono pensieri e atteggiamenti negativi verso singoli individui o gruppi affetti da patologie mentali (es. le persone con malattie mentali sono inaffidabili, pericolose e responsabili del loro stesso disturbo);
- stigma strutturale, tipico di istituzioni, politiche, pratiche, normative e strutture organizzative che impediscono l’accesso alle risorse o al potere, producendo discriminazione ed esclusione. Il mondo del lavoro, per esempio, penalizza il salario delle lavoratrici obese e in sovrappeso, relegandole a lavori demansionati e a minor contatto col pubblico. Al contrario, gli uomini sono sottoposti a una sorta di weight premium, che li fa guadagnare di più in posizioni di potere all’aumentare dell’indice di massa corporea (Judge & Cable, 2011; Lee et al., 2019; Li et al., 2021);
- auto-stigma, una persona con una patologia mentale sviluppa pensieri e convinzioni negative su se stessa, a partire da tale patologia; può essere rafforzato da esperienze di stigma pubblico e strutturale, può condurre all’isolamento sociale, al ritardo nell’accesso alle cure e perfino a un peggioramento della salute psicofisica (Raves et al., 2016).
Quali sono i falsi miti sui disturbi alimentari?
Alcuni falsi miti sono in grado di influenzare le risposte della comunità rispetto ai disturbi alimentari e, di conseguenza, produrre stigmatizzazione. Ecco i più diffusi.
I disturbi alimentari sono una scelta di vita o “di vanità” e le persone sono responsabili dei loro disturbi alimentari.
Non sono una scelta di vita o una dieta spinta “troppo oltre”: nessuno di noi sceglie di avere una malattia mentale. Una persona con un disturbo alimentare sperimenta gravi alterazioni del comportamento e dell’equilibrio psichico, a causa di distorsioni nei suoi pensieri ed emozioni. I disturbi alimentari comportano non solo un considerevole disagio psicologico, ma anche complicazioni mediche di vasta portata e a volte fatali. Il tasso di mortalità di chi ne è affetto è fino a 6 volte superiore a quello delle persone senza disturbi alimentari, con un aumento del rischio di morte più alto nell’anoressia (Arcelus et al., 2011).
I disturbi alimentari sono una richiesta di attenzione da parte di una persona che sta solo “attraversando una fase”.
I disturbi alimentari non sono una fase e risultano difficili da risolvere senza trattamento. A causa della loro natura, chi ne è affetto può impegnarsi per nasconderli, mascherarli o addirittura negare di avere un problema. Tra coloro che hanno un disturbo alimentare diagnosticabile, meno del 25% accede a una cura (Hart et al., 2011). Spesso tra l’esordio dei primi sintomi e la ricerca di un trattamento intercorrono diversi anni (Oakley et al., 2006; Hamilton et al., 2022); al contrario, diagnosi e intervento precoci possono ridurre la gravità dei sintomi e migliorare la prognosi.
I disturbi alimentari colpiscono soprattutto donne bianche della classe media, in particolare le adolescenti.
In realtà, possono verificarsi in persone di ogni età e sesso, in tutti i gruppi socioeconomici e con qualsiasi background culturale. È vero che il picco per l’insorgenza è compreso tra 12 e 25 anni, con un’età media di circa 18 anni (APA, 2013; Volpe et al., 2016). Un gruppo ad alto rischio è costituito dalle donne coinvolte in periodi chiave di transizione (es. passaggio dall’adolescenza all’età adulta, gravidanza o menopausa). Tale rischio ha portato alla diffusa convinzione erronea che i disturbi alimentari siano prerogativa di questa parte di popolazione. La ricerca, inoltre, suggerisce che le persone non binarie e transgender hanno un rischio da 2 a 4 volte superiore di sviluppare sintomi rispetto alle loro controparti cisgender (Gordon et al., 2021; Diemer et al., 2018; Giordano, 2017).
Le famiglie, in particolare i genitori, sono responsabili dell’insorgenza dei disturbi alimentari.
Sappiamo che i disturbi alimentari hanno una base genetica ed ereditaria: persone con parenti biologici affetti da un disturbo alimentare, possiedono un rischio maggiore di sviluppare sintomi simili (APA, 2014). Questo dato vale anche per altre condizioni di salute mentale e fisica. Sappiamo anche che la presenza di indici di psicopatologia tra genitori e fratelli, o genitorialità abusante, maltrattante e trascurante rappresentano ulteriori fattori di rischio (Anastasiadou et al., 2016; Cerniglia et al., 2017; Giles et al., 2022). Tuttavia, famiglia e amici svolgono un ruolo cruciale nel trattamento e nel sostegno delle persone con disturbi alimentari: le linee guida internazionali raccomandano il coinvolgimento delle famiglie in ogni fase del trattamento degli adolescenti con disturbo alimentare, dalla valutazione iniziale al supporto per il recupero, al fine di rendere più efficaci le cure stesse (NICE, 2017; Oxford Health NHS Foundation Trust, 2020). Gli effetti di un disturbo alimentare sono spesso avvertiti non solo da chi lo sperimenta, ma anche da chi convive quotidianamente con il paziente: genitori, fratelli, nonni, vicini, amici o chiunque si prenda cura di una persona con disturbo alimentare può essere esposta a distress, sentimenti di esaurimento emotivo, sensi di colpa, ansia, disorientamento e frustrazione. Prendersi cura di una persona con disturbo alimentare comporta grandi responsabilità: rendere “chi cura” parte attiva e informata del trattamento consente alle famiglie di creare una rete supportiva ed efficace.
Le persone con disturbi alimentari sono sempre magre.
In realtà, persone di tutte le dimensioni corporee possono soffrire di disturbi alimentari: chi ne è affetto non si riconosce solo dal peso. Sebbene i disturbi alimentari possano comportare perdita o aumento di peso e altri sintomi fisici, lo stato mentale di una persona è fondamentale per la diagnosi di un disturbo alimentare. Apparire fisicamente sani ma preoccuparsi costantemente per il cibo o per il numero di calorie ingerite, evitare rapporti sociali che coinvolgano il cibo o non assumere interi gruppi alimentari può essere altrettanto indicativo di un disturbo alimentare.
Come contrastare i falsi miti sui disturbi alimentari?
Falsi miti e credenze generali suggeriscono che i livelli di alfabetizzazione in materia di disturbi alimentari sono tuttora piuttosto scarsi (Markey, 2024): estendere la consapevolezza sul tema può contribuire a creare contesti sociali più accoglienti, a favorire la prevenzione, l’identificazione precoce dei disturbi e la ricerca di aiuto specialistico.