Come funziona il cervello degli adolescenti?
Immaturi, impulsivi, egocentrici: per anni gli adolescenti sono stati considerati da scienziati, politici e collettività più come un grattacapo che come una risorsa.
Le neuroscienze cognitive dello sviluppo stanno ribaltando questa prospettiva, riconoscendo al cervello adolescente una significativa flessibilità cognitiva, comportamentale e neurologica, in grado di favorire l’adattamento e lo sviluppo positivo (Telzer in American Psychological Association).
Sempre più progetti di ricerca si dedicano allo studio del cervello degli adolescenti avvalendosi di tecniche di imaging cerebrale, come la Risonanza magnetica funzionale (fMRI) e la Tomografia a emissione di positroni (PET). L’obiettivo è fare luce sui meccanismi di funzionamento cerebrale alla base dei comportamenti dei più giovani, per modificare e rendere i contesti di vita che li circondano più funzionali al loro sviluppo.
Sensibilità alla ricompensa e influenza dei pari negli adolescenti
Gli adolescenti mostrano un’elevata motivazione alla ricerca di rinforzi positivi, ovvero di gratificazioni e premi, detta “sensibilità alla ricompensa”. Essa è in parte regolata da un’area del cervello chiamata striato ventrale.
Il cervello degli adolescenti dimostra un’iper-attivazione dello striato ventrale nell’elaborazione di informazioni riguardanti l’aspettativa di gratificazioni. Una maggiore sensibilità alle ricompense, inoltre, si è rivelata associata a comportamenti a rischio per la salute come l’uso di sostanze, l’abuso di alcol e il sesso non protetto (Peeters et al., 2017).
Le ricerche sinora condotte hanno sottolineato come i pari possano aumentare la predisposizione verso l’assunzione di rischi, aumentando la sensibilità alla ricompensa e contribuendo così a incrementare lo squilibrio neurale durante l’adolescenza (Romer, Hennessy, 2007).
Studi più recenti, tuttavia, evidenziano che lo stesso circuito neurale legato a rischio e ricompensa può anche promuovere l’influenza positiva dei coetanei e comportamenti prosociali (Fai et al., 2017). Per comportamenti prosociali intendiamo azioni volontarie promosse a beneficio degli altri, come cooperazione, condivisione e donazioni economiche e/o di beni materiali.
In particolare, le ricerche hanno svelato che gli adolescenti mostrano un comportamento prosociale maggiore dopo aver ricevuto feedback positivi dai coetanei e a seguito della semplice presenza dei coetanei; al contrario, la disapprovazione dei pari ridurrebbe comportamenti altruistici (van Hoorn et al., 2014; 2016 ).
Adolescenti e adulti, inoltre, attribuiscono un valore soggettivo maggiore alla prosocialità soprattutto quando questa comporta un costo personale (ad es. guadagnare meno denaro per donarlo agli altri) e mostrano una più elevata attività dell’area dello striato ventrale quando realizzano queste azioni costose rispetto a quando si ottiene una ricompensa per se stessi (Telzer et al., 2014). Questi risultati suggeriscono che anche i più giovani possono essere intrinsecamente motivati verso azioni benefiche, perché la ricompensa associata all’aiutare gli altri è più preziosa dei guadagni puramente egoistici.
Comportamenti altruistici e social craving
Il social craving è la spinta all’interazione sociale e alla connessione emotiva con altri individui e può essere motivato da sentimenti di solitudine o isolamento sociale (Tomova et al., 2020 ). Questo desiderio di socialità è particolarmente rilevante durante l’adolescenza rispetto all’infanzia o all’età adulta, perché gli adolescenti trascorrono sempre più tempo con i coetanei, apprezzano fortemente le relazioni con i coetanei e iniziano a formare la propria identità individuale grazie alle relazioni con i coetanei (Dahl et al., 2018 ; Orben, Tomova e Blakemore, 2020).
Alcune ricerche suggeriscono che il desiderio di socialità (in particolare il sentirsi soli) influenza il cervello e il comportamento degli adolescenti (Orben et al., 2020 ). Quando gli adolescenti avvertono alti livelli di social craving, è più probabile che cerchino interazioni tra pari, che potrebbero portarli a loro volta a impegnarsi in comportamenti sia rischiosi sia prosociali.
In altri termini, nei giorni in cui gli adolescenti desiderano fortemente la connessione sociale con gli altri, potrebbero essere più propensi, per esempio, a fornire supporto emotivo a un amico ascoltando o dando consigli, o a correre il rischio di saltare la lezione per trascorrere del tempo con i coetanei.
Adolescenti e decisioni rischiose in presenza degli adulti
Ben altre forme di influenza sociale possono attenuare la tendenza degli adolescenti ad assumere rischi. In particolare, la presenza di adulti più anziani (estranei e genitori) riduce le decisioni rischiose degli adolescenti e la presenza delle madri altera la sensibilità alla ricompensa nel cervello dell’adolescente, tanto da far sembrare neurobiologicamente più gratificante prendere decisioni sicure invece che rischiose, come scegliere di fermarsi al semaforo giallo anziché accelerare (Silva et al., 2016; Telzer et al., 2015).
Parallelamente, i giovani appaiono più propensi a riprodurre gli stessi comportamenti a rischio messi in atto dai genitori: ad esempio, usano sostanze se i loro genitori le usano o se solo sospettano che possano farne uso. I genitori possono dunque fungere da modelli comportamentali e le loro decisioni sembrano autorizzare e rinforzare gli adolescenti al rischio (Kwon et al., 2021).
Adolescenti e salute mentale
L’adolescenza è nota anche per la spiccata sensibilità emotiva che la contraddistingue. Secondo alcuni ricercatori, tale sensibilità può rivelarsi non una risorsa personale, bensì un fattore di rischio in grado di predire futuri problemi psichici (Casey et al., 2019).
Sono state identificate specifiche zone del cervello attivate durante le risposte emotive negli adolescenti, tra cui la corteccia cingolata subgenuale, l’insula anteriore e l’amigdala. In uno studio è stato riscontrato che gli adolescenti in cui tali aree del cervello sono più attive, a seguito di rifiuti ricevuti in una chatroom virtuale, hanno maggiore probabilità di sperimentare depressione e tendenza al suicidio (Silk et al, 2022). Alcune aree cerebrali, dunque, risultano più sensibili di altre al rifiuto nelle interazioni e, in giovane età, la loro iper-attivazione è correlata con lo sviluppo di disturbi psichici.
Il tema della salute psichica nell’adolescenza è assai delicato, in quanto dati raccolti da 19 Paesi provenienti di tutti i continenti hanno dimostrato che 1 adolescente su 4 soffre di un disturbo psichico, con una maggiore prevalenza nelle ragazze (Silva et al., 2020).
Non tutti i trattamenti per tali disturbi hanno la stessa probabilità di successo per gli adolescenti. I più giovani, per esempio, traggono minor beneficio rispetto agli adulti dalla tecnica di esposizione, tipica della terapia cognitivo comportamentale (Pattwell et al., 2016; Johnson, Casey, 2015): in questo caso sarebbe opportuno ottimizzare il trattamento mediante un lavoro basato sul riconsolidamento della memoria, in cui nuove esperienze apprese modificano o sostituiscono direttamente i contenuti della memoria acquisiti in un apprendimento precedente (Neuroplasticità e riconsolidamento della memoria | stateofmind.it).
Citando le parole di Eva Telzer, neuroscienziata e docente dell’Università della Carolina del Nord, “Non è possibile cambiare il cervello degli adolescenti, né dobbiamo volerlo. Ciò che possiamo fare è ottimizzare ciò che sappiamo per creare contesti sociali e ambienti che forniscano loro le esperienze più arricchenti” (Telzer in What neuroscience tells us about the teenage brain | apa.org).