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I falsi miti sulla psicoterapia e l’attuale proposta CBT

Ad oggi, circa il 70% degli psicoterapeuti negli Stati Uniti pratica la terapia cognitivo-comportamentale (CBT). Ma di cosa si tratta?

Di Micol Agradi

Pubblicato il 21 Giu. 2023

Il 45% delle persone con problemi di salute mentale non cerca aiuto professionale. Le ragioni alla base di tale riluttanza sono molte, fra cui un malinteso su come davvero funziona la psicoterapia. Ripercorrerne le radici storiche e conoscere la proposta CBT aiuta a prendere le distanze dai falsi miti.

La riluttanza a iniziare la psicoterapia: per quali ragioni?

 Nel corso degli ultimi quattro anni, eventi di calibro mondiale come la pandemia da Covid-19, l’incertezza economica, gli sconvolgimenti politici e la guerra hanno impattato significativamente sulla salute mentale collettiva. In occasione della Giornata Mondiale della Salute Mentale 2022, un’indagine Ipsos ha riscontrato che problemi di ansia e depressione sono aumentati del 25% dal 2019 e che, per la prima volta, la salute mentale supera il cancro nel diventare il primo problema di salute percepito a livello internazionale.

Nonostante ciò, il 45% delle persone nel mondo con problemi di salute mentale di rilevanza clinica non cerca un aiuto professionale. Nel delineare le possibili ragioni sottostanti questo fenomeno, molteplici sono le credenze disfunzionali alla base della diffusa riluttanza a iniziare un percorso di terapia: c’è chi pensa “Se vado dallo psicologo, allora sono un debole”, c’è chi crede “I miei problemi non sono abbastanza grandi” e c’è chi, oggettivamente, lamenta la mancanza di disponibilità di servizi di salute mentale. Molto spesso, però, il rifiuto verso l’idea della psicoterapia nasconde un malinteso di base su come funziona effettivamente la terapia ai giorni nostri. Su questo, è possibile ipotizzare che le persone condividano un immaginario collettivo simile al seguente: la psicoterapia è un percorso lungo e costoso guidato da uno psicologo eccentrico che ha il principale scopo di esplorare i ricordi e i traumi infantili, ottenendo risultati solo poco tangibili. Questi falsi miti sono probabilmente legati ad un’idea stereotipata di terapia della parola molto legata ai contesti e ai modi di cura del passato, dove quello che oggi è il cliché dell’essere sdraiati sul lettino a parlare della propria madre era, un tempo, l’unico setting possibile.

Le radici storiche della psicoterapia

Conoscere la storia e l’evoluzione della psicoterapia può essere utile a riconsiderare alcuni pregiudizi legati al rifiuto a iniziare un percorso d’aiuto psicologico.

Anche se parlare dei problemi personali con un interlocutore più esperto risale almeno ai dialoghi filosofici degli antichi greci, il primo esempio moderno di psicoterapia è quello di Sigmund Freud. In senso ampio, la psicoanalisi freudiana sostiene che portare il contenuto della mente inconscia alla consapevolezza cosciente possa condurre alla risoluzione del conflitto interiore alla base del disagio psicologico. In genere, ciò richiede anni di terapia e i risultati, basandosi su dimensioni difficili da operazionalizzare, non hanno una chiara definizione di successo, se non a livello aneddotico.

Dopo Freud, il comportamentismo ha iniziato a sostenere che i comportamenti umani sono dovuti solo al condizionamento ambientale e che, pertanto, l’inconscio non sia un concetto valido perché non può essere osservato o studiato. Per stare meglio, in altre parole, basta badare a ciò che la persona fa o non fa.

I successivi approcci cognitivisti asserirono che, seppur sia ammesso ignorare le nozioni freudiane di Es, Io e Super-Io, non è possibile minare le premesse alla base della teoria psicoanalitica, comuni a tutti gli approcci terapeutici: i nostri comportamenti derivano dai nostri pensieri e sentimenti e, dunque, se li comprendiamo e padroneggiamo, possiamo cambiare la nostra condotta e alleviare la nostra sofferenza mentale.

La sintesi capace di soddisfare una fetta sempre più larga di professionisti e pazienti avvenne verso la metà degli anni Sessanta con la nascita dell’approccio cognitivo-comportamentale. Quest’ultimo iniziò a sostenere l’idea che i problemi psicologici sono basati su modi di pensare che interpretano irrazionalmente le situazioni, generando modelli di comportamento controproducenti ed emozioni disfunzionali.

Una proposta efficace: la terapia cognitivo-comportamentale (CBT)

Ad oggi, circa il 70% degli psicoterapeuti negli Stati Uniti pratica la terapia cognitivo-comportamentale (CBT). Ma di cosa si tratta? I suoi principi teorici, tecnici e metodologici si possono enucleare come segue.

Ruolo del terapeuta

Il terapeuta CBT non ha il ruolo di un confidente o di un confessore, bensì di un allenatore che, cooperando con il paziente per stabilire obiettivi personali specifici e misurabili, fornisce delle strategie per raggiungerli. In altre parole, egli aiuta il paziente a divenire terapeuta di se stesso.

Pragmatismo clinico

 Il focus della CBT non è primariamente quello della crescita personale, bensì quello della risoluzione di problemi attraverso un percorso fatto di step realizzabili e concreti, e non di idee astratte. In quest’ottica, il terapeuta assegna dei compiti da svolgere a casa, al di fuori dello spazio clinico. Questi sono degli esercizi con cui il paziente può fare davvero pratica di quanto appreso in seduta.

Momento presente

I contenuti della CBT non riguardano elettivamente i traumi passati o i ricordi infantili (sebbene esaminare la propria storia di vita possa aiutare a superare le esperienze passate che influenzano il modo in cui viviamo nel presente), bensì i temi del presente del paziente, che emergono con priorità nel qui ed ora.

Pensieri e comportamenti

La CBT non è puro comportamentismo perché, oltre ad esaminare le strategie di comportamento disfunzionali e proporre degli stili di condotta più funzionali, si concentra anche sul riconoscimento delle distorsioni del pensiero, che potrebbero influenzare le azioni dei pazienti e causare disagio emotivo.

Durata a breve/medio termine

Laddove molte forme di psicoterapia sono a tempo indeterminato, la CBT è generalmente a breve/medio termine. Per i disturbi più facilmente trattabili, il percorso di cura può durare tra le 6 e le 20 sedute, periodo al termine del quale i pazienti sono in grado di utilizzare gli strumenti che hanno imparato per affrontare il mondo con maggior benessere.

Con queste caratteristiche, la CBT è diventata la forma di terapia più praticata, specie per il trattamento di ansia e depressione. Si tratta di un approccio evidence-based testato per decenni in modo rigoroso più di qualsiasi altra forma di terapia, dando prove concrete della sua efficacia e dimostrandosi un approccio d’elezione per il trattamento di numerosi disturbi.

Anche se è doveroso ricordare che nessun tipo di terapia è adatto in modo assoluto per tutti i tipi di pazienti, la terapia cognitivo-comportamentale può essere un ottimo punto di partenza per chi non ha mai intrapreso un percorso di aiuto psicologico o per chi non si è trovato soddisfatto da approcci a lungo termine più orientati al passato.

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