Il libro di M. Rovelli “Soffro dunque siamo. Il disagio psichico nella società degli individui” è una cruda, a tratti filosofica, analisi della società odierna, nella quale la depressione, l’ansia e i disturbi alimentari costituiscono le malattie più diffuse.
L’autore suddivide il libro in due parti e riporta le testimonianze di chi ha vissuto un disagio psichico e di coloro che si ritrovano ogni giorno a lavorare, comprendere e combattere questo malessere. Attraverso quindi le storie e la descrizione della nostra società veniamo guidati durante tutta la lettura ad unire i puntini che delineano il quadro a cui tutti noi apparteniamo.
La malattia mentale nella società attuale
La prima parte è dedicata alla comprensione delle forme attuali di disagio psicologico relazionandole alla sfera sociale.
Fin dalle prime righe il lettore viene collocato temporalmente nella società post-lockdown: cos’ha provocato la pandemia? Perché la richiesta di aiuto psicologico è esplosa dopo il covid? In realtà, proseguendo nella lettura, l’autore Rovelli svelerà come la pandemia non abbia causato il disagio psichico che oggi stiamo vivendo, ma abbia scoperchiato un vaso di dolore e malessere più grande di quello che potevamo immaginare. La pandemia ci ha permesso, anzi ci ha costretto, a un periodo di riflessione, di messa in discussione della propria identità e volontà, della propria soddisfazione e capacità: tante domande, ma poche risorse per far fronte a tutti i pensieri; è lì che il malessere cresce in proporzioni smisurate.
Rovelli pone luce sulla malattia mentale come un sintomo sociale, in particolare come sintomo della “società degli individui”: il soggetto è attraversato dalle dinamiche sociali e transindividuali in quanto tale e per questo l’autore introduce il termine con-dividuo per indicare un ente attraversato sia da processi biologici che psicosociali in continua trasformazione.
Il libro è diretto, a tratti doloroso per quanto realista. L’autore mette nero su bianco ciò che tutti noi pensiamo, vediamo e a cui assistiamo ogni giorno e non sappiamo come fermare. Il primo passaggio fondamentale, per comprendere l’attuale tessuto sociale e le radici del malessere psicologico così diffuso, è quello che riguarda il concetto di narcisismo e performance. Ad oggi l’unica regola per tutti è ottenere prestazioni sempre migliori, aumentare le proprie performance, non accontentarsi mai. E questa impossibilità di fermarsi si riflette anche nelle relazioni perché non ci sentiamo legittimati a dire “no sono stanco”, che sia il partner, che siano gli amici che vogliono uscire, non si esplicita spesso la necessità di riposare. Ad oggi la stanchezza è un tabù, perché il raggiungimento degli standard e le prestazioni scandiscono il ritmo della giornata e della vita. Alla prestazione si unisce la competizione. La nostra società si basa sul possibile/impossibile: tutto si può fare e se non ci riesci vuol dire che non sei in grado. Quanto è vero? Quanto siamo bombardati da video che spiegano come diventare famosi con pochissimi passi, come diventare ricchi semplicemente comprando un corso online, come sia semplice diventare imprenditori o creare una propria azienda: basta un’idea innovativa. Se tu non riesci a pensare a qualcosa di incredibile e nuovo è perché non sei capace. Ed è proprio in quella frase “se non ci riesci vuol dire che non sei in grado” che crescono senso di inadeguatezza e senso di colpa, due sentimenti che nutrono l’ansia e la depressione.
Infatti, l’autore sottolinea un aspetto fondamentale per la comprensione di questo momento storico, ossia la tendenza delle persone, in particolare dei giovani (mi sento di specificare), ad identificarsi con le persone famose, che possono essere cantanti, attori, concorrenti di format televisivi e influencers. Queste categorie ti dicono che se vuoi puoi essere come loro. Il problema nasce nel momento in cui si realizza che questo non è possibile; questa realizzazione porta a vivere la disillusione, l’inadeguatezza e l’incapacità. Quando ci si confronta con quei modelli si è destinati alla sconfitta e al fallimento. Una persona depressa mette in atto questo meccanismo in continuazione, si confronta con gli altri e la sua mancanza di fiducia e di autostima la porta alla svalutazione, la cui causa è sempre attribuita internamente: sono io che non sono capace.
“Sempre di più siamo costretti a essere all’altezza dell’immagine che la società ci chiede”. Così Rovelli descrive precisamente la nostra società e indirettamente la causa dell’ansia sociale. Siamo troppo fragili, giustamente in quanto esseri umani, per soddisfare continuamente la richiesta, perciò temiamo il giudizio altrui: a scuola, a lavoro, nei luoghi affollati, ovunque c’è uno sguardo accusatorio che ci fa sentire sbagliati. Allo stesso tempo c’è un fortissimo bisogno di apparire, di essere visti, di essere sempre nella mente dell’altro: nell’apparire viene riconosciuto il proprio valore come persona, “Valgo se gli altri mi vedono e mi ammirano, valgo se gli altri vogliono essere me”.
All’interno del quadro sociale descritto, oltre alla depressione e all’ansia trovano spazio i disturbi alimentari, il self-cutting e il disturbo da panico. Tutti vengono affrontati all’interno del contesto sociale e della loro eziologia, ma ciò che ricorre è l’importanza delle relazioni, perché è proprio al loro interno che questi disturbi trovano terreno fertile per crescere: i disturbi alimentari spesso sono legati al rifiuto materno, il self-cutting utilizza il corpo come unico mezzo per comunicare agli altri il proprio malessere, il disturbo di panico nasce dall’impossibilità di progettare un futuro economico e sociale certo.
La psichiatria odierna
Nella seconda parte l’autore si occupa di comprendere l’ideologia della psichiatria odierna, per analizzare nuovamente da una prospettiva diversa la società stessa e la considerazione delle psicopatologie. Anche in questa seconda parte vengono presentati tantissimi temi, che verranno riportati sinteticamente proprio perché ampi per definizione.
Viene affrontato inizialmente il tema degli psicofarmaci con l’intento di far riflettere su come questi debbano essere uno degli strumenti di un medico e di come sia aumentato esponenzialmente il loro utilizzo negli ultimi anni, riferendosi al panorama italiano.
Il tema degli psicofarmaci viene esposto partendo dall’origine di queste medicine e dei passaggi fondamentali che hanno condotto all’utilizzo che ne viene fatto oggi, una rassegna molto interessante per comprendere come nella teoria andrebbero assunti e prescritti e come, nella realtà, talvolta gli psichiatri li prescrivano senza considerare altre alternative; talvolta le persone li concepiscano come unica medicina per un malessere psicologico (es. l’ansia), quando in realtà il panorama dell’aiuto è ricco di interventi terapeutici ed educativi per far fronte, a volte in modo più efficace, allo stesso problema.
Successivamente al tema riguardante gli psicofarmaci e il loro utilizzo, l’autore affronta un altro tema caldo del panorama psicologico e psichiatrico: la diagnosi. La discussione in merito alla diagnosi e agli strumenti utili ad apporla, come il DSM-5, è una discussione vastissima, che racchiude numerose problematiche e numerosi punti di vista, prese di posizione estremamente diverse. Ciò che viene riportato nel testo e che da sempre è un dato oggettivo della psicologia e della psichiatria è proprio la mancanza di oggettività e l’uso di categorie diagnostiche. Il sistema proposto dal DSM è necessario per parlarsi tra colleghi perché aiuta a chiarire il quadro generale, però può essere disfunzionale nel momento del lavoro vero e proprio con la persona o per la persona stessa che in virtù della diagnosi può subire una cronicizzazione del disturbo. È semplicistico parlarne in questi termini, ma è sicuramente una discussione alquanto interessante e che non trova una risoluzione chiara; nel testo viene affrontata sotto diversi punti di vista piuttosto stimolanti.
Infine, viene discussa anche la relazione come cura dove vengono riportati sia degli esempi classici di relazione non funzionale alla guarigione, sia delle “novità” come “Dialogo Aperto” che meritano uno spazio proprio per la loro funzionalità nella gestione della relazione e della malattia.
Il libro si conclude con una critica al sistema psichiatrico e l’analisi dello stesso, che in alcune parti di Italia possiede il potenziale per funzionare in modo migliore.
È difficile racchiudere in un piccolo spazio la portata di questo libro, il quale merita una lettura approfondita da parte di tutti, esperti e non. Stiamo vivendo un periodo storico difficile, che necessita una riflessione per comprendere realmente da dove deriva tutto questo malessere e quale sia la strada migliore per provare ad “aggiustare” la direzione e stare meglio. Questo libro è una fotografia accurata e profonda che necessita di essere vista.