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La morte della farfalla (2016) di Pietro Citati – Recensione

"La morte della farfalla" è una doppia biografia, che evidenzia il ruolo di Zelda Fitzgerald, moglie dello scrittore e lei stessa autrice spesso dimenticata

Di Andreea Elena Gabara

Pubblicato il 12 Gen. 2023

Nel libro “La morte della farfalla” (2016), Citati ripercorre la salita verso il successo dei coniugi Fitzgerald e la loro caduta nel buio della malattia. 

 

 Quello che ci presenta Citati è una doppia biografia, in cui si evidenzia il ruolo di Zelda Fitzgerald, moglie dello scrittore Scott e lei stessa autrice, dimenticata, però, dal panorama letterario. Ultimamente, infatti, si sta cercando di far chiarezza sull’ascesa nel mondo della scrittura di Scott, a cui sicuramente ha contribuito, anche con aiuto autoriale, Zelda. A questo enorme successo della famiglia, segue il loro declino psicologico e psichico, che continuerà fino alla morte delle due farfalle.

Inizio di un amore

Chi sono Zelda e Scott Fitzgerald? Ripercorriamo in breve la loro relazione: furono una delle coppie più iconiche degli anni ’20 del Novecento. I due si conobbero da giovani ad un ballo e, sin da subito, Scott corteggiò Zelda perché colpito dall’audacia di questa donna indipendente che sfidava i costumi di quel periodo. Scott riuscì nel suo intento, infatti nel 1920 si sposarono e vissero i primi anni di matrimonio con grande entusiasmo. Dopo un po’ di anni, però, le discussioni tra i due iniziarono a essere più frequenti e accese, accompagnate dai problemi di insonnia e alcolismo di lui, e di depressione di lei.

Il ruolo della malattia

La malattia, nel testo di Citati e nella vita di Scott e Zelda, ha un ruolo fondamentale poiché tormenta i due coniugi fino alla loro morte: dopo il successo, hanno a che fare con un declino precipitoso della loro vita, dato che i libri di Scott non raggiungono il successo dei precedenti e Zelda, sentendosi sempre più tradita, sia dal punto di vista relazionale, sia per quanto riguarda l’attività di scrittrice, diventa sempre più fragile.

Tra i due si instaura un rapporto molto problematico, viste anche le criticità della salute mentale di entrambi, un rapporto che Citati descrive con queste parole:

Erano la stessa persona, con due cuori e due teste; e questi cuori e queste teste si volgevano appassionatamente l’una verso l’altro, l’una contro l’altro, fino ad ardere in un unico rogo
(La morte della Farfalla).

Questo rapporto sfocerà in una vera e propria malattia nel caso di Zelda, e in dipendenze per Scott. Vediamo in che forme la malattia caratterizza la loro vita, e il loro rapporto con l’arte, precisamente con la danza per lei e con la scrittura per lui.

Scott e al scrittura

Francis Scott Fitzgerald diventò uno scrittore molto cosciente di sé e della sua arte, grazie al successo che ottenne in America. Lui riteneva che la sua arte fosse un dono tanto che nei Taccuini scrisse: “In ogni mio racconto c’era una piccola goccia di qualcosa – non di sangue, non di pianto, non del mio seme – ma qualcosa di più intimamente mio di questo”.

Questo non voleva, però, dire abbandonarsi alla vocazione e lasciarsi trasportare dalla penna, ma lavorare con fatica e sacrificarsi in nome dell’amore per l’arte. Era una questione sì di vocazione, ma anche di sudore, volontà, fatica e sacrificio.

Per riprendere la metafora usata da Pietro Citati, da giovane era stato una farfalla con le ali coperte di polvere iridescente, ma poi diventò un soldato. Il perché di questo cambiamento ci viene spiegato:

Le condizioni di una vita artisticamente creativa sono così ardue, che ad esse posso paragonare soltanto i doveri di un soldato in tempo di guerra
(La morte della farfalla).

Fitzgerald, infatti, stava sempre in casa a dedicarsi al suo lavoro, come un recluso, convinto che lui e la sua arte bastassero per una vita completa, convinto di poter sopravvivere senza alcun contatto esterno. Sentiva di essere un artista, un soldato alla frontiera […] contro le orde selvagge di una melanconia essenziale (Kierkegaard).

 Un artista rende l’arte il mezzo per dare voce, e vita, alla melanconia, o melancolia, essenziale ed esistenziale che preme sulla sua vita; questo è anche il caso di Scott. Un legame, quello tra arte e melancolia, che percorre innumerevoli pagine della letteratura, tanto che lo vediamo anche nella Grecia del IV secolo a.C. Con il Problema XXX, pseudo-aristotelico e riconducibile a un allievo di Aristotele, Teofrasto, si affronta la relazione tra melancolia e genio. Si cerca di dare una spiegazione, anche fisiologica, di come la melancolia, come patologia o disposizione caratteriale, sia in un rapporto molto stretto con il genio e l’estro creativo. Anche F. Scott Fitzgerald vive questo dualismo, questa relazione tra melancolia e arte.

Zelda e la danza

Zelda, come suo marito, si rifugiava nell’arte, con cui tentava di colmare le mancanze causate dalla sua malattia mentale, ma non faceva che immergersi nel buio dei suoi pensieri. Lei si rifugiava nella danza: ballava sia di notte che di giorno, davanti allo specchio per osservare meglio il suo corpo, da sola e con gli altri. Lei aveva sempre amato la danza, ma a un certo punto iniziò la sua irrefrenabile velleità di diventare ballerina professionista. Molti pensavano fosse un desiderio innocuo, senza sapere che ciò avrebbe aumentato le sue insicurezze. Questa è la radice della sua tragedia: dietro i movimenti sinuosi e apparentemente leggeri e fragili della danza, nascondeva la sua malattia, la schizofrenia. Si autoflagellò con l’attività fisica: danzava davanti allo specchio, si interrompeva solamente per bere, aveva lividi in tutto il corpo, la notte legava i piedi alle sbarre del letto, per raggiungere i canoni estetici della danza classica, e il suo corpo diveniva sempre più rigido.

Quello che otteneva non era, però, leggiadria e leggerezza ma, come i coniugi Murphy raccontarono, “qualcosa di terribilmente grottesco nell’intensità” (La morte della farfalla). Tutto era pesantezza, infelicità, sforzo, uno sforzo che ci ricorda quello di Scott nello scrivere, uno sforzo che portò a un delirio che si estese sempre di più, fino a che lei iniziò a parlare in modo insensato, sorridere senza alcuna ragione e tacere isolandosi per ore.

Zelda e la scrittura

Nelle parole di Citati, si percepisce come lui abbia uno sguardo affettuoso e compassionevole nei confronti di Zelda e una certa freddezza nei confronti di Scott.

Questo possiamo immaginare sia dovuto al fatto che diversi studi hanno portato alla luce come Zelda, probabilmente, fu autrice di numerose pagine, passate sotto il nome di Scott. Lei era molto appassionata alla scrittura, a cui si dedicava con la stesura dei suoi diari, diari dati a Scott per il suo romanzo d’esordio “Di qua dal paradiso”, la cui protagonista era plasmata sulla figura di Zelda.

Per il romanzo successivo, “Belli e dannati”, pare che Scott abbia riportato pagine intere dei diari di Zelda. Vi fu la proposta di pubblicare in un’opera i diari di Zelda, opera che si sarebbe intitolata “A Young Girl’s Diaries” ma Scott non fu d’accordo. Proprio dopo quest’evento, i diari di Zelda sparirono. Zelda, dopo la pubblicazione di “Belli e Dannati”, scrisse questo:

Mi sembra che in una pagina ho riconosciuto una parte di un mio vecchio diario misteriosamente scomparso poco dopo il mio matrimonio, e anche frammenti di lettere che, sebbene notevolmente modificati, mi suonano vagamente familiari. In effetti, il signor Fitzgerald – credo che sia così che scrive il suo nome – sembra credere che il plagio inizi a casa.
(The New York Tribune).

Non si sa quanto sia ironica o quanto sia sincera, ma sappiamo che qualcosa non è chiaro in questa questione.

Morte delle due farfalle

Scott continuò a scrivere, mantenendo viva la sua creatività sino alla morte. L’ultimo libro a cui si dedicò fu “The last Tycoon”, di cui riuscì a scrivere qualche capitolo. Un attacco cardiaco, però, portò la fine della sua vita, ma non della sua arte, che sopravvisse nel tempo.

Hemingway parla della sua morte con parole evocative:

Scott… aveva ancora la tecnica e lo spirito romantico per fare qualsiasi cosa, ma da molto tempo tutta la polvere era sparita dall’ala della farfalla, anche se l’ala ha continuato a battere fino alla morte della farfalla (La morte della farfalla).

L’angelo con le ali un po’ bruciacchiate, Zelda, non guarì mai dalla sua malattia, ma perse il fuoco della sua giovinezza e fece del tormento sfondo delle sue giornate.

Nel pieno della sua sofferenza, tornata un’altra volta allo Highland Hospital, affermò di non avere paura di morire, ma un incendio nella cucina d’ospedale portò alla sua morte, “arsa per sempre dal suo fuoco”.

Di lei rimase solamente una pianella quasi incenerita, che permise di riconoscerne il cadavere e seporlo vicino al marito.

Una vita di luci e ombre

La vita dei coniugi Fitzgerald, come abbiamo visto, è fatta di eccessi e viene ricordata ancora oggi come mito e paradigma dei “ruggenti anni 20”, della vita di successo e sfarzo che vissero. Gli eccessi, però, vi furono sia nel bene che nel male e portarono a un declino davvero precipitoso.

Così continuiamo a remare, barche contro la corrente, risospinti senza posa nel passato (“Il Grande Gatsby”, F. Scott Fitzgerald): queste le ultime parole de “Il Grande Gatsby” incise sulla lapide dei due coniugi, sepolti uno vicino all’altro. Sebbene la loro notte non sia stata tenera e la loro vita sia stata davvero tormentata, la loro vita e la loro arte sono passate alla storia.

Se Lev Tolstoj aveva ragione a scrivere “Tutta la varietà, tutta la delizia, tutta la bellezza della vita è composta d’ombra e di luce” (Anna Karenina), la vita dei Fitzgerald è stata varia, deliziosa e bella. Soprattutto è stata una vita piena di ombre e di luci, dalla luce del successo all’ombra della malattia, dall’alba della loro vita, invidiata da chiunque, al crepuscolo di un’esistenza inquieta.

 

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RIFERIMENTI BIBLIOGRAFICI
  • La morte della farfalla, Pietro Citati, Adelphi, 2016
  • Il grande Gatsby, F. Scott Fitzgerald, Bompiani, 2019
  • Anna Karenina, Lev Tolstoj, Einaudi, 2016
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