Uno studio di Bitter e colleghi, pubblicato nel 2019, ha evidenziato la necessità di approfondire in maniera più definita la presenza di sintomi riconducibili all’ADHD, poiché molto spesso questo disturbo non viene diagnosticato correttamente.
L’ADHD nell’adulto
Il disturbo da deficit d’attenzione/iperattività (ADHD o DDAI) è definito come un disturbo del neurosviluppo, caratterizzato da un persistente e inappropriato livello di disattenzione e/o iperattività e impulsività, con conseguente compromissione del funzionamento generale (APA, 2013). Tendenzialmente, le caratteristiche di ADHD più frequenti negli adulti corrispondono a scarse capacità attentive, associate a disorganizzazione e disregolazione emotiva (Kooij et al, 2010).
L’ADHD nell’adulto è spesso associato a risvolti di vita negativi, come compromissione del funzionamento psicosociale, scarsa qualità di vita, basso rendimento scolastico e lavorativo, relazioni interpersonali povere, capacità di guidare compromessa, basso status socioeconomico, bassa autostima o alti tassi di criminalità (Buitelaar et al., 2011; Chang et al.,2014).
È importante sottolineare che la diagnosi di ADHD rimane a oggi problematica proprio per gli alti tassi di comorbidità con altri disturbi mentali (Asherson et al, 2014). In particolare, se paragonati a persone prive di diagnosi ADHD, i pazienti con ADHD hanno alta compresenza di disturbi come depressione maggiore, distimia, disturbo bipolare, disturbi d’ansia, abuso di sostanze, disturbi di personalità (Asherson et al. 2014; Perroud et al., 2014). Allo stesso tempo, le statistiche mostrano la presenza di ADHD non diagnosticato pari al 19%, anche in pazienti in cura per altri disturbi (Deberdt et al., 2015). Questo dato fa riflettere in merito all’efficacia complessiva dei trattamenti somministrati poiché, a livello psicologico, essere sottoposti a un trattamento psicoterapeutico e farmacologico senza ottenere miglioramenti significativi nel tempo o avendo frequenti ricadute ha un’influenza negativa su questi pazienti, sui quali non è stata effettuata una corretta diagnosi di ADHD. La difficoltà nell’effettuare una corretta diagnosi risiede anche nella presenza di sintomi “sovrapponibili”, ovvero riconducibili a livello eziologico a diversi disturbi.
L’ADHD non diagnosticato
Uno studio di Bitter e colleghi, pubblicato nel 2019, ha evidenziato la necessità di approfondire in maniera più definita la presenza di sintomi riconducibili all’ADHD, proprio perché molto spesso questo disturbo non viene diagnosticato correttamente. Infatti, sebbene negli ultimi anni questo disturbo venga riconosciuto e trattato più facilmente, ci sono ancora molte comorbidità nascoste, che ne rendono difficile la diagnosi, anche in pazienti già in cura per altri disturbi psichiatrici. Lo scopo di questo studio (Bitter et al., 2019) è stato dunque quello di stabilire il tasso di prevalenza dell’ADHD non diagnosticato in pazienti psichiatrici. I soggetti partecipanti allo studio sono stati selezionati da diversi centri di cura in Repubblica Ceca e Ungheria, ai quali è stato somministrato un questionario self-report per ADHD e successivamente l’intervista Conners’ Adult ADHD Rating Scale.
Secondo i criteri diagnostici del DSM-5, il manuale statistico e diagnostico per individuare la presenza di disturbi psichiatrici, la presenza di ADHD sfuggito a precedente diagnosi, in pazienti affetti da altri disturbi, corrispondeva al 9.27%. Lo studio condotto da Bitter e collaboratori (2019) ha analizzato il rapporto tra altri sintomi o veri e propri disturbi psicopatologici e la presenza di ADHD non diagnosticato. Il risultato più rilevante emerso riguarda il rapporto con il rischio suicidario; infatti, il legame tra rischio suicidario e ADHD non diagnosticato è risultato significativamente elevato, proprio come emerso da un precedente studio (Balazs & Kereszteny, 2017). Inoltre, l’ipotesi di Bitter e colleghi (2019) è che la presenza di ADHD fosse associata a una maggior severità di sintomi psicopatologici in casi di comorbidità con altri disturbi psichiatrici, ad esempio, la presenza di ADHD in molti casi aumenta le probabilità di sviluppare o aggravare l’abuso di sostanze (Ohlmeier et al., 2008).