La corretta gestione del nostro tempo è oggi una priorità per raggiungere non solo obbiettivi di rilevanza personale, ma anche per allinearsi a standard produttivi di maggiore efficacia ed efficienza. Questo è il tema del testo di Nir Eyal “Come diventare indistraibili”.
“Dobbiamo imparare come evitare le distrazioni –scrive l’autore– […] per vivere la vita che vogliamo non basta fare le cose giuste, bisogna anche non fare le cose che sappiamo rimpiangeremo di aver fatto.”
I fattori coinvolti nella capacità di mantenere la focalizzazione sul raggiungimento di un obiettivo di rilevanza personale sono molteplici: la motivazione, la passione, il metodo, la rilevanza di quell’obiettivo per noi stessi. Tutti però sembrano fortemente condizionati da un fattore che spesso appare sfuggire al controllo soggettivo: la distraibilità.
Le fonti di distrazione sono molteplici, sia interne che esterne a noi: sembra a tratti che la nostra capacità di mantenere la concentrazione sull’esecuzione di un compito (sia esso lavorativo, di studio o personale) sia costantemente minata da elementi di distrazione che depotenziano la nostra capacità produttiva. Ciò implica impiegare molto più tempo del necessario per realizzare un compito e a questo si aggiunge una fatica, a volte esasperante, nel farlo. Ne consegue spesso un senso di profonda frustrazione e il conseguente indebolimento della motivazione.
Il testo di Nir Eyal propone alcune strategie per ottimizzare il tempo che dedichiamo ad attività dove è necessaria una buona concentrazione.
L’autore definisce “trigger” le fonti di distraibilità e nello specifico ritiene che questi trigger possano essere di due tipi:
- interni, generati cioè dai nostri processi cognitivi e dalle nostre emozioni;
- esterni, ovvero connessi alle numerose fonti di distrazione presenti nell’ambiente in cui viviamo (telefonate, messaggi, mail, web, colleghi, etc).
Per la gestione e il controllo dei trigger esterni l’autore propone alcune strategie ispirate al modello di matrice comportamentale dell’autore B. J. Fogg, psicologo e padre della captologia, la scienza che spiega come computer e algoritmi possano essere usati per modificare abitudini e credenze nelle persone. Esistono secondo l’autore metodi pratici per manipolare la tecnologia e l’ambiente fisico in modo da eliminare i trigger esterni inutili. Alla base della metodica suggerita vi è il presupposto che la tecnologia debba essere funzionale al raggiungimento dei nostri obiettivi produttivi e non sfavorevole o di intralcio ad essi. Da qui un’ampia parte del libro è dedicata a strategie operative su come difendersi dalle interruzioni sul lavoro, dalle mail, dalle chat di gruppo, dalle riunioni, dallo smartphone, dagli articoli on line, etc.
La parte forse più suggestiva del libro riguarda l’analisi dei processi psicologici alla base della distrazione. Secondo l’autore per imparare a gestire la distrazione occorre “capire i motivi reali per cui facciamo cose che vanno contro il nostro stesso interesse”. Per meglio comprendere questo concetto l’autore immagina una linea che rappresenta il valore delle azioni che compiamo nel corso di una giornata: a destra si trovano le azioni positive per la nostra produttività, a sinistra quelle negative. Lungo questa linea, all’estremo destro si trova la trazione, ovvero la forza che ci spinge nella direzione delle azioni che vogliamo compiere. All’estremo opposto, sulla sinistra, vi è la distrazione, una forza definita come “stato del pensiero rivolto altrove” che ci impedisce di progredire verso la serie di obiettivi che riteniamo rilevanti per la nostra vita.
La trazione ci avvicina, mentre la distrazione ci allontana da essi.
Rifacendosi alla filosofia epicurea, secondo l’autore anche se pensiamo di cercare il piacere distraendoci, in realtà ciò che ci spinge a distrarci è il desiderio di liberarci dalla sofferenza. “La pulsione a ridurre il disagio è la causa ultima di tutto il nostro comportamento”.
Alla luce di questa premessa la distrazione sarebbe pertanto una strategia che la nostra mente utilizza per gestire il dolore. Ne segue che imparare a gestire la distrazione significa imparare a gestire il disagio.
Ma qual è la natura di questo disagio e della sofferenza da cui cerchiamo di liberarci distraendoci?
Quattro sono i fattori che rendono a tratti spiacevole e faticoso mantenere la concentrazione e che ci recano disagio.
- La noia: restare fermi e concentrati senza compiere azioni fisiche e concentrarsi sullo stesso argomento per un tempo prolungato favoriscono l’insorgere della noia. Essa rappresenta uno stato d’animo, indefinito ma sgradevole, da cui la mente tenta di liberarsi compiendo azioni concrete o cercando nuove fonti, esterne al compito prefissato, su cui focalizzare l’attenzione.
- Il bias della negatività: gli eventi negativi per la nostra mente sono più significativi di quelli positivi o neutri. Pertanto se durante una sessione di lavoro subentra la noia, essa sarà a livello cognitivo più rilevante del piacere derivato dal portare a termine il compito nel più breve tempo possibile. Ne segue che liberarsi dalla noia diventa più rilevante che “sacrificarsi” per ottenere il risultato finale.
- La ruminazione: si tratta della tendenza a continuare a pensare alle cose spiacevoli accadute, senza possibilità di interrompere intenzionalmente questo flusso di pensiero. La ruminazione porta a rendere preponderanti i pensieri relativi agli sbagli o errori commessi nel passato. Così facendo la ruminazione depotenzia la nostra capacità di rimanere focalizzati sul qui e ora: pensieri negativi e spesso auto sabotanti monopolizzano e assorbono la nostra attenzione.
- L’adattamento edonico: si tratta della tendenza a tornare a un livello base di soddisfazione indipendente da quello che ci succede. Ciò significa che siamo particolarmente suggestionabili di fronte a quegli eventi che promettono un benessere, anche se solo temporaneo.
Se percepiamo noia, fatica, frustrazione siamo particolarmente inclini a ricercare stimoli esterni che ci riportino a uno stato, seppur momentaneo, di piacere.
Imparare a gestire questi quattro fattori sostiene la concentrazione e promuove le azioni che ci spingono verso il raggiungimento degli obiettivi che ci siamo posti.
Nel testo l’autore propone quindi una serie ampia di strategie (diario, stabilire dei patti, etc.) utili nella gestione del disagio e del dolore che si frappongono fra noi e il raggiungimento dei risultati.
La stessa metodica viene anche estesa, nella seconda parte del libro, a contesti più ampi: l’educazione alla gestione dei fattori di distrazione nei bambini, nelle relazioni interpersonali, incluse quelle di coppia, e infine nei contesti di lavoro.
Conoscere i processi sottostanti ai fenomeni psicologici da cui ci sentiamo condizionati e che sono di ostacolo al nostro percorso consapevole di crescita è il primo passo per imparare a gestirli.
Questa gestione richiede essa stessa impegno e dedizione, tuttavia la sua pratica può rendere più fluidi e meno faticosi quei frangenti in cui la concentrazione è messa alla prova.
Avere strumenti di maggiore comprensione sul perché ci distraiamo sostiene l’acquisizione di comportamenti più adattivi e congrui con le richieste di studio e lavoro: essere parte parte attiva nel controllo dei trigger interni ed esterni ci rende più efficaci nel nutrire quella motivazione che essi, così frequentemente, minano.