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L’uso dell’EMDR come metodologia al di là del trauma

L'EMDR è uno dei trattamenti più efficaci per trattare il PTSD, ma sembra essere utilizzabile anche in caso di sofferenza di origine non traumatica

Di Chiara Zanellato, Ivan De Marco

Pubblicato il 05 Ott. 2022

Aggiornato il 07 Ott. 2022 13:23

Lo scopo di questo articolo è quello di trattare l’utilizzo della metodologia dell’EMDR nei casi di sofferenza psicologica che hanno un’insorgenza non traumatica.

 

 L’EMDR è un metodo terapeutico ideato nel 1987 dalla psicologa statunitense Francine Shapiro e riconosciuto come tale nel 2005 (Logie, 2014). Recenti evidenze scientifiche suggeriscono che l’EMDR può essere utile per promuovere la salute, in relazione a diverse patologie.

L’EMDR (“Eye movement desensitization and reprocessing”) è una metodologia terapeutica incentrata sui movimenti oculari per desensibilizzare e rielaborare i vissuti traumatici che il paziente ha affrontato nel corso della sua vita (Shapiro, 2001).

Questo trattamento richiede al paziente di elaborare l’evento disturbante vissuto in passato eseguendo i movimenti oculari proposti dal terapeuta (Roos et al., 2017). Nel mentre, viene richiesto al paziente di “lasciare che qualunque cosa accada” e di porre l’attenzione verso quello che sta succedendo. Il risultato è la desensibilizzazione del paziente rispetto all’evento disturbante e delle associazioni cognitive che ne derivano (Logie, 2014).

Attraverso la meta-analisi di 38 studi randomizzati controllati è stato osservato che l’EMDR è uno dei trattamenti più efficaci per trattare pazienti con PTSD (Logie, 2014), ma sembra essere utilizzabile anche in caso di sofferenza di origine non traumatica.

EMDR e sofferenze di origini non traumatiche

Difficoltà psicologiche dei pazienti oncologici

Le cellule presenti nel nostro corpo seguono un ciclo di vita costante. Quelle nuove sostituiscono quelle che sono invecchiate, morte o danneggiate ma, nel caso del cancro, le cellule danneggiate non vengono sostituite ma si dividono e si moltiplicano (Humanitas, 2019).

Nei pazienti con diagnosi di cancro è possibile che ci sia un alto livello di stress causato da molteplici fattori, come la difficoltà a trovare un trattamento efficace, il decadimento fisico e l’incremento degli oneri economici (Baker et al., 2016), ma anche la gravità della malattia, le conseguenti e possibili disfunzioni corporee, gli effetti collaterali del trattamento, possibili menomazioni fisiche e, talvolta, la fase terminale della malattia e/o recidiva (Jarero et al., 2015).

Il report di Portigliatti Pomeri e colleghi (2021) sottolinea che la metodologia dell’EMDR è molto efficace in pazienti con il cancro.

Uno studio del 2016, verificando l’efficacia dell’EMDR sulla qualità della vita nei genitori di bambini malati di cancro, ha mostrato che l’uso dell’EMDR porta a una significativa riduzione dell’ansia e della depressione e aumenta la fiducia. Gli autori suggeriscono che tale intervento possa essere applicato anche a persone che sono sopravvissute al cancro (Jarero et al., 2016).

Disturbo depressivo maggiore

Questo disturbo si caratterizza per sintomi come forte tristezza, diminuzione dell’interesse o del piacere, significativa perdita di peso, insonnia o ipersonnia, mancanza di energia, sentimenti di autosvalutazione eccessivi o inappropriati, ridotta capacità di concentrazione e frequenti pensieri di morte (American Psychiatric Association [APA], 2018).

 Ostacoli e i suoi collaboratori (2018) hanno pubblicato il primo RCT (randomised controlled trial) che confronta la metodologia dell’EMDR con la CBT (cognitive behavioral therapy) in pazienti con episodi depressivi ricorrenti e hanno riferito che entrambi gli interventi sono efficaci nel ridurre i livelli clinici di depressione, sebbene al termine della fase di intervento è stato osservato un aumento statisticamente significativo nel gruppo sottoposto al trattamento con EMDR (Ostacoli et al., 2018).

Anche Hase e colleghi (2018) hanno confrontato l’efficacia dell’EMDR combinato con la psicoeducazione nei pazienti che soffrivano di depressione, mostrando un miglioramento significativo in quei pazienti che si sono sottoposti alla psicoeducazione e che hanno ricevuto in aggiunta il trattamento EMDR (Hase et al., 2018).

Molti pazienti con disturbo depressivo maggiore sperimentano pensieri suicidari che portano alla riduzione della qualità della vita (Gao et al., 2019) e, a tal proposito, la terapia di desensibilizzazione e rielaborazione con il movimento oculare sembra essere un intervento valido nel trattamento dei pensieri suicidari (Merlis, 2018).

Infine, i risultati dello studio di Gauhar hanno mostrato l’efficacia dell’EMDR nel trattare i sintomi della depressione nei pazienti con disturbo depressivo maggiore, nel migliorare la qualità della vita e nell’eliminare i pensieri spiacevoli (Gauhar, 2016).

Disturbo Ossessivo Compulsivo (DOC)

La caratteristica principale di questo disturbo è la presenza di compulsioni e ossessioni.

“Le ossessioni sono pensieri, impulsi o immagini ricorrenti e persistenti che sono vissuti come indesiderati, mentre le compulsioni sono comportamenti o azioni mentali ripetitive che un individuo si sente obbligato a compiere in risposta a un’ossessione o secondo regole che devono essere applicate rigidamente” (American Psychiatric Association [APA], 2013, p. 271).

Mazzoni e i suoi collaboratori nel 2017 hanno applicato un intervento combinato composto da EMDR e ERP (Exposure and Response Prevention) a tre pazienti affetti da DOC che non avevano giovato del trattamento cognitivo-comportamentale applicato precedentemente. I risultati mostrarono che nel post-trattamento si era verificata una riduzione della sintomatologia su due di questi pazienti su tre (Mazzoni et al., 2017).

Nel 2016, Keenan e collaboratori hanno trattato quattro pazienti DOC che avevano vissuto esperienze traumatiche e quattro che non avevano vissuto esperienze traumatiche. Vennero applicate 8 sedute di EMDR focalizzandosi sul trauma nei primi quattro pazienti e sulla “Not Just Right Experience” negli altri quattro. In ognuno di loro i sintomi si sono ridotti, anche se in maniera più evidente nei pazienti con trauma (Keenan et al., 2016).

In contrasto, Marsden e collaboratori, nel 2017, tramite un disegno di ricerca randomizzato, hanno confrontato l’efficacia dell’ERP, somministrato in 16 sedute a 26 pazienti, e quella dell’EMDR, somministrato a 29 pazienti. I risultati non mostrarono alcuna differenza in nessuna misura di outcome adottata (punteggi ai test somministrati e percentuale di drop-out) tra i due gruppi al post-trattamento e al follow-up dopo sei mesi (Marsden et al., 2017).

Disturbi dell’alimentazione

Nelle prime settimane di lockdown, dovuto al tentativo di arginare la diffusione di Covid-19, molte persone hanno vissuto la cosiddetta “insicurezza alimentare”, che ha sviluppato in loro il bisogno incontrollato di comprare cibo per sé e le proprie famiglie (Loopstra, 2020), anche a causa delle lunghe code davanti ai supermercati, la scarsità di alcuni tipi di cibo e scaffali vuoti.

In aggiunta, le persone hanno vissuto esperienze stressanti correlate al loro stato di salute e a quella dei loro affetti (ad esempio, malattia e/o morte di parenti e amici e il poter avere un contatto con loro solo telefonicamente), sia allo stato di vita generale. Studi hanno mostrato come la possibile insorgenza dei disturbi alimentari e le ricadute possano essere influenzati da esperienze di vita stressanti (Degortes et al., 2014).

I disturbi alimentari sono una delle patologie più a rischio per le conseguenze dello stato d’emergenza (Reger et al., 2020). Tra le principali categorie diagnostiche riferite a tali disturbi vi sono l’anoressia nervosa, il disturbo da alimentazione incontrollata e la bulimia nervosa.

I sintomi che caratterizzano l’anoressia nervosa sono l’intensa paura di ingrassare o prendere chili, la limitazione dell’assunzione di calorie e la non accettazione del proprio peso e forma del corpo (APA, 2018).

È stato svolto uno studio pilota per confrontare l’efficacia dell’utilizzo della pratica dell’EMDR e della CBT come trattamento per le persone affette da anoressia nervosa (Zaccagnino et al., 2017) per un periodo di dodici mesi. I pazienti hanno ricevuto 48 sessioni di terapia individuale con uno psicoterapeuta della durata di 50 minuti. Tale studio ha preso in esame i cambiamenti nello stato mentale di pazienti con anoressia nervosa dopo circa un anno di psicoterapia EMDR o CBT in termini di attaccamento, coerenza narrativa e funzione riflessiva. I risultati presentati suggeriscono che l’EMDR è un trattamento potenzialmente efficace per trattare l’anoressia nervosa, pur considerando la piccola dimensione del campione utilizzato (ibidem, 2017).

In conclusione, sono necessari ulteriori studi che testino l’applicabilità dell’EMDR ai contesti appena discussi.

 

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