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Disagio mentale: non solo disagio emotivo ma anche disfunzioni cognitive

Obiettivo dell’RDoC è portare il livello di analisi e cura tipico di altre branche della medicina nel mondo della diagnosi e della cura dei disturbi mentali

Di Gianmatteo Cattaneo, Rosita Borlimi

Pubblicato il 26 Lug. 2022

Aggiornato il 29 Lug. 2022 12:00

Il progetto Research Domain Criteria, abbreviato RDoC, è un’iniziativa sviluppata dal National Institute of Mental Health (NIMH) a partire dal 2009 con lo scopo di fornire un sistema diagnostico la cui classificazione dei disturbi mentali è fondata sulla biologia, sulla genetica e sul comportamento osservabile (Cuthbert e Insel, 2013), distinguendosi dai sistemi diagnostici attualmente più adottati, come il DSM-5, che classificano i disturbi mentali sulla base dei sintomi (Vilar et al., 2019). 

 

DSM, ICD e RDoC

 I due sistemi di classificazione diagnostica delle malattie mentali oggi maggiormente impiegati sono il Diagnostic and Statistical Manual of Mental Disorders-5 (DSM-5) pubblicato dall’American Psychiatric Association (APA, 2013) e l’International Classification of Diseases-11th Revision (ICD-11), che rappresenta attualmente lo standard globale per la registrazione di informazioni sanitarie e cause di morte, sviluppato e aggiornato annualmente dall’Organizzazione Mondiale della Sanità (2019; Vilar et al., 2019). ICD-11 e DSM-5 sono ampiamente sovrapponibili in termini di classificazione dei disturbi, anche il loro team di ricerca presenta delle compartecipazioni di alcuni membri (Cuthbert e Insel, 2013). Entrambi i sistemi hanno una finalità principalmente clinica e seguono un’impostazione diagnostica di natura descrittiva, dove le entità diagnostiche sono formate dal raggruppamento di sintomi giudicati simili dal consenso degli esperti (Akram e Giordano, 2017). Le principali critiche mosse a questi sistemi originano proprio da questa struttura fenomenologica, che è vista come la causa dei loro principali problemi, ovvero l’alta comorbidità tra i disturbi mentali e la possibilità che a due pazienti venga assegnata la stessa diagnosi anche con sintomi molto differenti (Vilar et al., 2019). Inoltre, le categorie diagnostiche di questi sistemi hanno mostrato difficoltà ad allinearsi con le recenti scoperte neuroscientifiche: in seguito alla eliminazione dei concetti psicoanalitici, dal DSM III (1980) in avanti ci si aspettava di riscontrare dei correlati neurofisiologici delle malattie mentali; tuttavia ad oggi non esiste ancora nessun test biologico che possa essere incluso fra i criteri diagnostici del DSM-5  (Hyman, 2007).

L’obiettivo dell’RDoC

L’iniziativa promossa dall’RDoC, come esplicitato da Insel e colleghi nel piano strategico del progetto, è quella di “sviluppare, a fini di ricerca, un nuovo modo di classificare i disturbi mentali basato su dimensioni di comportamento osservabili e su misure neurobiologiche” (Cuthbert e Insel, 2013). Al contrario degli altri sistemi dunque l’RDoC non prende come punto di partenza del disturbo mentale un complesso di sintomi, ma rovescia il processo partendo dal funzionamento normale tentando prima di individuare quali sono le funzioni primarie che il nostro cervello si è evoluto per svolgere, e da quali sistemi cerebrali sono svolte; una volta individuato tale funzionamento, il secondo step è quello di considerare la psicopatologia in termini di una disfunzione di vario tipo ed entità di un particolare sistema (Cuthbert e Insel, 2013). L’RDoC considera pertanto la psicopatologia come una disregolazione misurabile a livello funzionale, biologico e/o comportamentale del normale funzionamento del sistema nervoso (Vilar et al., 2019). Il sistema diagnostico dell’RDoC è un sistema dimensionale, che si prefigge di determinare un intero spettro di variazioni del funzionamento di un certo sistema, dal normale all’abnormale, definendo di volta in volta in maniera flessibile da che punto questa variazione può diventare disfunzionale, e dunque costituire una patologia (Cuthbert e Insel, 2013).

Il prodotto di questa classificazione è quella che viene definita la matrice RDoC, che divide il sistema mente-cervello in cinque sistemi psicobiologici in base alle diverse funzioni, individuati a partire da sette livelli (chiamati “unità”) di analisi: geni, molecole, cellule, network cerebrali, fisiologica, comportamento ed esperienza autoriferita (Vilar et al., 2019).

Medicina di precisione

 Gli autori del Research Domain Criteria non negano che oggigiorno esistano dei trattamenti funzionanti per i disturbi mentali, tuttavia affermano che questi siano poco precisi, ovvero, soprattutto nel caso degli psicofarmaci, di non essere abbastanza specifici per il singolo disturbo mentale ma di funzionare per ampi gruppi di malattie differenti tra loro. Ad esempio antidepressivi come gli inibitori selettivi della ricaptazione della serotonina (SSRI) sono impiegati non solo per curare la depressione, ma anche una varietà di altri disturbi come i disturbi d’ansia, così come alcuni farmaci antipsicotici sono prescritti sia nei casi di schizofrenia che in quelli di disturbo bipolare (Cuthbert e Insel, 2013).

In questo, secondo gli autori dell’RDoC, la psichiatria deve ancora fare il grande salto che gran parte del resto della medicina ha già compiuto: mentre il campo della psicopatologia sta ancora faticando ad allinearsi alle recenti scoperte neurobiologiche, nelle altre aree della medicina la tendenza è quella di produrre diagnosi con specificazioni sempre più sofisticate a livello genetico, molecolare e cellulare delle patologie, trovando cure sempre più specifiche anche per variazioni della patologia presenti in aree molto ridotte della popolazione. È quella che viene chiamata “medicina di precisione”, e che tende verso quella che potrebbe essere considerata una medicina individualizzata su larga scala attraverso l’analisi di un grande numero di dati molecolari associati ai singoli pazienti (Cuthbert e Insel, 2013). In varie specialità della medicina è stato scoperto che condizioni patologiche che prima erano considerate come una singola malattia hanno in realtà differenti precursori genetici e fisiopatologici, e che trattamenti differenziati danno risultati migliori, con un importante risvolto positivo per il sistema sanitario. Per esempio per molte forme di cancro la diagnosi non è più definita dall’organo coinvolto ma dalle analisi genetiche che possono individuare la tipologia esatta e predire quale cura sarà più efficace (Mirnezami et al., 2012).

L’obiettivo dell’RDoC è portare questo livello di analisi e cura individualizzata anche nel mondo della diagnosi e della cura dei disturbi mentali.

Lo stato attuale

Dopo più di dieci anni dall’avvio del progetto ci sono state importanti scoperte e riclassificazioni dei disturbi mentali. Tra le più importanti citiamo una ricerca del 2013 pubblicata su Nature Genetics che riporta la presenza di una comune base genetica tra schizofrenia, disturbo bipolare e disturbo depressivo maggiore (Cross-Disorder Group of the Psychiatric Genomics Consortium, 2013). Successive ricerche hanno confermato questa ipotesi ed hanno esteso l’analisi dei fattori genetici ad altri disturbi mentali, riportando tre diversi cluster di malattie mentali aggregati sulla base di fattori genetici comuni: il primo formato da disturbi dell’umore e psicotici (schizofrenia, disturbo bipolare e disturbo depressivo maggiore), il secondo da vari disturbi infantili del neurosviluppo (quali le disabilità intellettive, disturbi dello spettro autistico, ADHD) e il terzo dai disturbi ossessivo-compulsivi. Un risultato di interesse è che questi disturbi si presentano disposti per scala di intensità secondo uno spettro, rappresentando dunque la schizofrenia non tanto come una patologia a sé ma come uno spettro, meglio definito come spettro psicotico (Cuthbert e Morris, 2021).

Un altro campo di ricerca attualmente in corso è quello riguardante il fattore di rischio poligenico, o polygenic risk score (PRS), ovvero un parametro che rappresenta la stima della possibilità di un soggetto di sviluppare una particolare condizione clinica sulla base dell’analisi del suo genoma, valutando la presenza o l’assenza di varianti genomiche. Attualmente è impiegato soprattutto nella ricerca, mentre l’impiego nella pratica clinica è oggetto di più grande dibattito (Fullerton e Nurnberger, 2019).

Conclusione

Queste due diverse filosofie di classificazione – RdoC da una parte e ICD e DSM dall’altra – non vanno tuttavia viste come in competizione, ma come sistemi con finalità differenti: mentre ICD e DSM hanno uno scopo clinico, l’RDoC ha uno scopo principalmente votato alla ricerca. In questo senso, come dichiarato dall’associazione stessa, il sistema RDoC non è intenzionato a sostituire i sistemi diagnostici, quanto a fornire una migliore comprensione della salute e dei disturbi mentali e a guidare la ricerca per identificare trattamenti efficaci (Cuthbert e Insel, 2013).

Dunque, è importante sottolineare che l’obiettivo immediato del Research Domain Criteria non sia tanto quello di costituire un nuovo sistema diagnostico, quanto piuttosto quello di creare una nuova cornice di ricerca che può produrre e svilupparsi insieme ai nuovi dati scientifici così ottenuti, con lo specifico scopo di gettare le fondamenta per la creazione di una medicina e di un trattamento di precisione per i disturbi mentali, guidando l’idividuazione di nuove linee di intervento in ambito clinico di efficacia provata per la fetta più grande possibile della popolazione. In questo senso, anche se nell’immediato il progetto RDoC prende le distanze dalle strutture affermate del DSM-5 e dell’ICD-11, l’obiettivo a lungo termine è quello di vedere i tre sistemi convergere, al fine di ottenere il sistema diagnostico e i protocolli di trattamento migliori possibili allo scopo di alleviare la sofferenza che i disturbi mentali portano con sé.

 

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