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L’istigazione al suicidio in rete: suicidio consapevole ed accidentale

Tramite i social sono aumentati i casi di quello definibile come suicidio accidentale in cui lo scopo della vittima non è realmente togliersi la vita

Di Federica Arnaboldi

Pubblicato il 05 Mag. 2022

In adolescenza il suicidio risulta essere la seconda causa di morte più frequente e, solo nell’ultimo anno, i tentativi di suicidio e di autolesionismo tra gli adolescenti sono aumentati del 30%.

 

Il suicidio in adolescenza

Secondo una stima dell’OMS in Italia decidono di mettere in pratica azioni suicidarie legate ai social media circa 3500 ragazzi all’anno tra i 15 ed i 29 anni, utilizzando il web come palcoscenico per togliersi la vita (Mason, 2010).

All’interno dei social media sono nati tra i giovani i cosiddetti “patti della morte”: si tratta di patti stipulati tra ragazzi che si conoscono tramite le varie piattaforme online e che, dopo aver trascorso del tempo a parlare, decidono insieme dove, quando e come togliersi la vita; risale al 1998 il primo caso in cui la scoperta della morte di una donna per l’assunzione di una dose di cianuro, ha portato alla scoperta di altre nove vittime dovute allo stesso destino, tra le quali lo stesso venditore della sostanza (ibidem).

Riprendiamo le parole riportate dallo psicologo e professore di psicologia alla Niigata Seiryo University, Mafumi Usui:

La depressione giovanile e Internet sono un mix molto pericoloso, dalla dinamica dietro ai recenti suicidi di gruppo emerge che spesso questi giovani aspiranti suicidi decidono di attuare il loro progetto dopo essersi ritrovati con propri simili su un qualche sito che tratta l’argomento e che spesso suggerisce anche specifici modi di portare a termine il suicidio.

Egli sostiene inoltre che il problema principale di queste particolari tipologie di suicidi non sia ricollegabile totalmente ad Internet, poiché questo è solo un veloce mezzo attraverso il quale viene sostenuto il desiderio di porre fine alla propria vita (Mason, 2010). In America si parla di suicide-related contagion, letteralmente “contagio correlato al suicidio”, proprio perché la diffusione di tale fenomeno può avvenire sia tra individui che attraverso mezzi indiretti, quali i social media (Sumner – Burke – Kooti, 2020). I meccanismi utilizzati per diffondere comportamenti correlati al suicidio possono dipendere da diversi fattori quali: l’alterazione delle norme sociali per quanto riguarda il suicidio e l’identificazione con individui che presentano caratteristiche simili al soggetto (di per sé vulnerabile), il tutto accompagnato dal supporto della teoria dell’apprendimento, per la quale il comportamento si apprende tramite l’osservazione degli altri.

In adolescenza il suicidio risulta essere la seconda causa di morte più frequente, per lo più dovuto allo sviluppo di un senso di solitudine e di isolamento dal punto di vista socio-affettivo (State of Mind, 2019). Solo nell’ultimo anno i tentativi di suicidio e di autolesionismo tra gli adolescenti sono aumentati del 30%: ne parla il Neuropsichiatra dell’Infanzia e dell’Adolescenza dell’Ospedale Pediatrico Bambino Gesù di Roma Stefano Vicari, che spiega come i giovani che ricorrono ad azioni autolesionistiche o suicidarie si dividano principalmente in due tipologie: coloro che per dimostrare la loro superiorità tendono a sviluppare comportamenti aggressivi, recando dolore a loro stessi e a chi li circonda; e coloro che invece di esternare la propria frustrazione tendono a chiudersi nel proprio mondo, rischiando di non volerne più uscire (Betti, 2021).

Tramite l’utilizzo dei social media sono aumentati i casi di quello a cui personalmente attribuisco il termine “suicidio accidentale”, che si presenta nel momento in cui la giovane vittima non ha come primo intento quello di mettere fine alla propria vita, ma a causa di challenge pericolose conosciute attraverso la rete, arriva a compiere un gesto insano, non totalmente inconsapevole, per il quale risulta impossibile tornare indietro.

A seguire verrà spiegata in maniera più esaustiva la differenza tra suicidio consapevole e suicidio accidentale.

Il suicidio consapevole

Il suicidio in adolescenza viene visto come possibile risoluzione al dolore psicologico: non si tratta di un gesto impulsivo, ma di un’azione che viene ponderata nel tempo in seguito alla necessità del ragazzo di allontanarsi da emozioni negative non più tollerabili (State of Mind, 2019). Tra le cause principali che possono indurre un adolescente a compiere un atto tanto estremo vi sono la depressione, l’ansia, i disturbi alimentari e l’abuso di sostanze (Rainone, et al., 2014). Per quanto riguarda la depressione è bene ricordare che circa il 70% degli adolescenti depressi hanno pensieri legati al suicidio: ciò che rende tali pensieri tanto contagiosi dipende dalla necessità di non rimanere più nell’anonimato, ma di diventare per una volta il protagonista della propria vita, anche se si tratta di una storia senza lieto fine (Zdanowicz, 2017).

Lo psichiatra Giovanbattista Maggì e la psicoterapeuta Alessandra Stringi, in un seminario tenuto a Palermo riguardo la prevenzione degli atti suicidari tra i giovani spiegano:

Il suicidio si verifica quando la realtà diviene insopportabile sofferenza e le fantasie di autoeliminazione, per evadere da tale condizione dolorosa, trovano realizzazione nell’agito. È un fenomeno intimo e complesso, non riducibile esclusivamente a sintomo di un disturbo mentale (Ganci, 2017).

Viene inoltre citata la Blue Whale Challenge che vede come vittime ragazzi che, a causa di questa sfida online, associano un’accezione positiva al suicidio, ritenendolo l’unica fonte di salvezza per le loro sofferenze (ibidem).

Il suicidio accidentale

Il suicidio accidentale si verifica nel momento in cui non è la vittima a decidere di mettere consciamente fine alla propria vita, ma lo fa attraverso delle challenge che spopolano tra i social, sfidano la sorte rischiando inconsapevolmente di arrivare al suicidio. Un esempio prorompente è quello dello Choking Game, una challenge molto diffusa tra i ragazzi attraverso il social media TikTok: sembrerebbe infatti che il 18% di coloro che conoscono tale sfida abbia provato anche a metterla in pratica, mentre il 30% conosce delle persone che hanno partecipato alla challenge (Almirante, 2021).

Il problema principale risiede nel fatto che i ragazzi reputano questi atti pericolosi come giochi o sfide da superare, la maggior parte delle volte spinti da un senso di onnipotenza che non permette loro di percepire il senso del limite: “è importante sottolineare che in quel momento ricercano la sensazione forte, non la morte” (Manca, 2018).

Dietro atti del genere però non vi sono ragazzi caratterizzati da una forte debolezza psichica e con carenze affettive importanti, ma adolescenti che, dopo aver scoperto la moda del momento, giusta o sbagliata che sia, agiscono mettendo in pratica l’emulazione, senza essere informati sui rischi a cui stanno andando incontro: l’importanza viene data maggiormente al fatto di essere a pari passo con i coetanei, senza preoccuparsi o immaginare che in tal modo potrebbero mettere a repentaglio la propria vita.

La Blue Whale Challenge e lo Choking Game in poco tempo hanno incuriosito numerosi ragazzi grazie, rispettivamente, alle tecniche manipolatorie utilizzate e alla velocità con cui hanno raggiunto un alto tasso di popolarità. La curiosità e la smania di provare nuove esperienze, spesso porta a sottovalutare le situazioni nelle quali il singolo si sta imbarcando, con il rischio di incorrere in un pericoloso naufragio: il suicidio, consapevole o accidentale.

 

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