Il suicidio si verifica quando la realtà diviene insopportabile sofferenza e le fantasie di autoeliminazione, per evadere da tale condizione dolorosa, trovano realizzazione nell’agito. E’ un fenomeno intimo e complesso, non riducibile esclusivamente a sintomo di un disturbo mentale.
Il suicidio come mezzo per mettere fine ad una sofferenza troppo intensa
Si è svolto lo scorso 23 Settembre a Palermo, nella prestigiosa cornice dell’Hotel Mercure Palermo Centro, un intenso seminario di studi organizzato dallo Studio di Psicoterapia diretto dalla Dott.ssa Angela Ganci, psicologa psicoterapeuta a Palermo, con il patrocinio dall’Ordine degli Psicologi della Regione Sicilia, dalla Scuola di Specializzazione in Psicoterapia Aleteia di Enna e dall’Associazione di volontariato Co.tu.le.vi. che si occupa di contrasto al fenomeno della violenza in tutte le sue forme e rappresentata per l’evento dall’avvocato Bartolomei, responsabile dello Sportello Antiviolenza di Palermo, tenace difensore dei diritti del detenuto a una carcerazione non afflittiva e attivo sostenitore del contrasto del fenomeno del sovraffollamento, causa documentata di suicidi nelle carceri.
Attraverso uno spaccato variegato che ha toccato i diversi contesti in cui l’atto suicidario può verificarsi, dal modernissimo fenomeno del Blue Whale agli eventi traumatici a vario titolo costituenti fattori di innesco di dinamiche psichiche esitanti nel suicidio (come il cyberbullismo), la giornata di studio si è proposta di stimolare spunti di riflessione sulla prevenzione e il contrasto, da parte di operatori e famiglie, dell’atto auto-soppressivo per antonomasia, che può rappresentare sia l’espressione di emozioni a sfondo depressivo, che una scelta estrema indipendente da qualunque disturbo psichico.
“Il suicidio si verifica quando la realtà diviene insopportabile sofferenza e le fantasie di autoeliminazione, per evadere da tale condizione dolorosa, trovano realizzazione nell’agito. E’ un fenomeno intimo e complesso, non riducibile esclusivamente a sintomo di un disturbo mentale – aprono i lavori Giovanbattista Maggì, psichiatra psicoterapeuta e Alessandra Stringi, psicologa psicoterapeuta – il suicidio ha la proprietà di non essere prevedibile o difficilmente prevenibile per i familiari, i vicini, il clinico, anche se bisogna comprendere la sofferenza che sottende l’atto suicidario per fare tutto ciò che è necessario al fine di far uscire chi ha un’ideazione suicidaria da tale condizione”.
Il suicidio come desiderio progressivo e inalienabile di porre fine a un intollerabile senso di sofferenza e l’autolesionismo come atto lesivo in grado di evolvere in suicidio vero e proprio e dove il ruolo delle fantasie di abbandono riveste un’importanza decisiva.
“La paura di essere abbandonati in quanto indegni, cattivi, è all’origine nel paziente borderline del ricorso alle autolesioni come tagli e bruciature che diventano una fonte di sollievo più rapida di qualunque altro intervento terapeutico, poiché fermano l’ansia temporaneamente – spiega Angela Ganci – Il ruolo della psicoterapia è potenziare quelle abilità in cui il paziente risulta carente, in particolare la regolazione delle intense emozioni negative, anche nell’ottica di prevenire che l’autolesionismo esiti in suicidio vero e proprio. In tale ottica risulta di notevole efficacia la terapia dialettico-comportamentale (DBT) di Marsha Linehan, trattamento a orientamento cognitivo-comportamentale integrato”.
“Autolesionismo come punizione autoinflitta, a cui dare attenzione nel suo possibile esitare in suicidio, ma anche da comprendere come atto comunicativo: le ferite rendono evidente la propria sofferenza, insieme fisica, e psicologica agli altri, e in un certo senso rappresentano un alleato per operatori e famiglie” chiarisce Marilena Pipitone, psicologo psicoterapeuta.
Il ruolo delle famiglie
E proprio sul ruolo delle famiglie si è incentrato l’intervento congiunto di Maria de La Luz Falcon, psicologa psicoterapeuta, e Antonino Leonardi, pedagogista, nell’esame del ruolo della rete come ambiente suscettibile di stimolare condotte autolesive e suicidarie.
“Assistiamo oggi a forme nuove di bullismo, una violenza costituita da offese, parolacce e insulti, derisione per l’aspetto fisico o per il modo di parlare, diffamazione, aggressioni fisiche, che viaggiano sul Web con maggiore incisività, seguendo l’adolescente al di fuori delle mura di casa o dell’aula scolastica. Alcuni segnali a cui le famiglie devono fare attenzione sono l’isolamento, il diminuito o mancato interesse per le relazioni interpersonali, rabbie immotivate, nello stesso tempo insegnando un uso consapevole del web, proteggendo la propria privacy e autoproteggendosi dai molestatori online, espressione di un buon livello comunicativo e sostegno reciproco che evita la ricerca nei social network del supporto emozionale”.
Il fenomeno del Blue Whale
All’interno delle difficoltà relazionali e degli stili di attaccamento si deve ricondurre il fenomeno del Blue Whale, tuttora fonte di dibattito scientifico, nell’analisi condotta dal Prof. Tullio Scrimali, Professore di Psicologia Clinica, Università di Catania, Fondatore e Direttore di ALETEIA, Scuola di Specializzazione in Psicoterapia di Enna.
“Il profilo del giocatore di Blue Whale sembra riconducibile a quello di chi ha esperito un attaccamento ansioso evitante, caratterizzato da bassa autostima, tendenza all’isolamento, con una dipendenza relazionale nei confronti di presunti leader. Ecco che le vittime di Blue Whale soccombono alla fascinazione di una subcultura basata sull’ideale di liberare se stessi dall’infelicità della vita, costruendo un senso positivo del suicidio, utilizzando autolesionismo e dolore come modulazione delle emozioni negative. Se a questi elementi si uniscono specifici aspetti legati alle neuroscienze indotti dal Blue Whale come la deprivazione del sonno e la sovrastimolazione sensoriale, un modello possibile di trattamento e prevenzione che mi sento di proporre si fonda su seguenti steps: rottura dell’isolamento e istituzione di relazioni e soprattutto della relazione terapeutica, ristoro al cervello con riposo e ristabilimento dei ritmi circadiani, miglioramento dell’autostima, committment”.
Sane relazioni sociali, insieme alla garanzia di dignitose condizioni di vita, la cui compromissione grava sul benessere personale e relazionale conducendo ad atti suicidari, come accade nelle forme di disperazione conseguenti alla perdita del lavoro.
“Assistiamo sempre più spesso a suicidi collegati alla perdita del lavoro– conclude il ventaglio di contesti Letizia Puccio, psicologa psicoterapeuta – Una scelta dettata da un’intollerabile percezione di fallimento, di compromissione del benessere dei propri cari, come evento critico che mette in discussione le proprie certezze esistenziali, e che lo Stato deve fronteggiare con adeguate politiche di reinserimento lavorativo e di incremento dell’offerta di lavoro che restituiscano una dignità e una sicurezza che il lavoro assicura in termini materiali, ma anche di autostima e senso di utilità personale e sociale”.