
Filtri delle app, videochiamate, foto ritoccate: la nostra immagine riflessa sullo schermo ci può portare a sovrastimare difetti ed imperfezioni e a farci sentire insoddisfatti, fino alla dismorfia digitale.
PSICOLOGIA DIGITALE – (Nr. 29) Che cos’è la dismorfia digitale
Negli ultimi anni molti professionisti nell’ambito dell’estetica, come dermatologi e chirurghi plastici, hanno assistito ad un aumento di richieste di interventi.
Secondo diversi professionisti questo fenomeno è dovuto alla continua esposizione delle nostre immagini, continuamente postate e condivise su social e app, ma anche all’abitudine di modificarle che funge da innesco non solo all’essere insoddisfatti di se stessi, ma anche a vere e proprie forme di dismorfia (Ramphul e Mejias, 2018; Pfund et al, 2020). Difatti, spesso si tratta di richieste legate alla propria immagine digitale: addirittura, molti richiedono trattamenti che li facciano somigliare alle loro foto modificate con i filtri delle app.
Il dismorfismo corporeo e la dismorfia online
Nel DSM-5 il disturbo da dismorfismo corporeo o dismorfia (body dysmorphic disorder, BDD) viene classificato tra i disturbi ossessivo-compulsivi. Il nucleo di questo disturbo è l’eccessiva e persistente preoccupazione per difetti fisici anche minimi o assenti. Che siano presenti o meno, questi difetti compromettono significativamente la qualità della vita ed il funzionamento dell’individuo, causando forte disagio.
Da qualche tempo si parla di nuove forme di insoddisfazione corporea che nascono online: se legata principalmente a video e foto si parla di “Snapchat dysmorphia” o “Instagram dysmorphia” o più in generale “selfie dysmorphia” o ”filter dysmorphia”.
Invece ci si riferisce a “Zoom dysmorphia” quando il disagio è relativo alla propria immagine nelle videochiamate (Ramphul e Mejias, 2018), diventate la forma principale di comunicazione per lavoro, scuola e socializzazione soprattutto durante la pandemia. Anche i servizi di videochiamate, infatti, offrono filtri per ritoccare il proprio aspetto e che hanno rafforzato questa tendenza (Pfund et al, 2020).
Al di là del termine specifico, ciò che è cruciale è che si tratta di immagini di obiettivi digitali che possono essere modificate e filtrate; immagini e video che abbiamo sempre sott’occhio e proprio questa continua osservazione di noi stessi può portarci a notare ed esacerbare aspetti di noi che non ci piacciono.
Editing di noi stessi
L’influenza di standard di bellezza e idealizzazione corporea guidati dai media, come stampa e televisione, sono ben noti; si tratta però di modifiche riservate a specifiche figure professionali, come modelli o attori, con strumenti di editing professionali utilizzati da esperti (Hunt et al., 2018).
Messaggio pubblicitario Quando entriamo nell’ambito dei social media parliamo di una marea di filtri e applicazioni a disposizione di tutti, senza contare che possiamo ricevere feedback immediati, cosa che ci porta ancora di più a prestare molta attenzione a rivedere e a rifinire ogni dettaglio, compresi quelli che riteniamo non apprezzabili o che lo diventano man mano che si fa pratica con i filtri.
Questi filtri consentono praticamente ogni tipo di modifica: sbiancare i denti, ingrandire gli occhi, eliminare le rughe, cambiare il colore della pelle, eccetera.
Si può pubblicare un’immagine di sé ottimizzata, curata, in alcuni casi irrealistica: si finisce col condividere l’immagine desiderata, il sé ideale, più che un riflesso di se stessi (Tiggemann e Barbato, 2018; Rajanala e Maymone, 2018; Jiotsa et al, 2021).
L’approccio adeguato
Se da un lato i social media ci aiutano a rimanere connessi, informati, aggiornati, dall’altro c’è il rischio che l’idealizzazione e l’eccessiva attenzione alle immagini ci facciano sentire insoddisfatti o portino a veri e propri disturbi psicologici.
D’altro canto sono parte integrante della nostra vita quotidiana: certamente è essenziale per i professionisti capirne a fondo le tendenze, le sfumature negli utilizzi, le potenzialità ed i rischi.
È fondamentale saper riconoscere i sintomi di disagio per la propria immagine corporea assicurando così al paziente supporto, aiuto e comprensione del problema prima di eseguire qualsiasi procedura chirurgica. La conoscenza e l’educazione digitale aiutano i professionisti a gestire anche questa tipologia di pazienti ed eventualmente indirizzarli a percorsi di supporto psicologico laddove necessario.
Consigliato dalla redazione
Body Dismorphic Disorder: quando la bassa autostima non è che la punta dell’iceberg
Bibliografia
- American Psychiatric Association (2014). Manuale Diagnostico e Statistico dei Disturbi Mentali DSM 5. Milano: Cortina, 2014.
- Hunt, M.G., Marx, R., Lipson, C., Young, J. (2018). No more FOMO: limiting social media decreases loneliness and depression. Journal of Social and Clinical Psychology;37(10):751‐768.
- Jiotsa, B., Naccache, B., Duval, M., Rocher, B., & Grall-Bronnec, M. (2021). Social Media Use and Body Image Disorders: Association between Frequency of Comparing One’s Own Physical Appearance to That of People Being Followed on Social Media and Body Dissatisfaction and Drive for Thinness. International journal of environmental research and public health, 18(6), 2880.
- Pfund, G. N., Hill, P. L., & Harriger, J. (2020). Video chatting and appearance satisfaction during COVID-19: Appearance comparisons and self-objectification as moderators. The International journal of eating disorders, 53(12), 2038–2043.
- Rajanala, S., & Maymone, M., Vashi, N.A. (2018). Selfies‐living in the era of filtered photographs. JAMA Facial Plastic Surgery;20(6):443‐444.
- Ramphul, K., & Mejias, S.G. (2018). Is “Snapchat Dysmorphia” a real issue? Cureus;10(3):e2263.
- Tiggemann, M, & Barbato, I. (2018). “You look great!”: The effect of viewing appearance‐related Instagram comments on women’s body image. Body Image;27:61‐66.