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Mantenere la prestazione sotto pressione: gli stili di concentrazione di Nideffer

Per la teoria di Nideffer (1976) le persone hanno uno stile di concentrazione preferenziale e se necessario passano più o meno agevolmente da uno all'altro

Di Giammaria Trimarco

Pubblicato il 04 Gen. 2022

La relazione tra attenzione, concentrazione ed elaborazione delle informazioni è al centro della teoria nota come ‘Theory of Attentional and Interpersonal Style’ (Nideffer, 1976).

 

Nello studio, nel lavoro, nello sport e in genere in tutti gli ambiti in cui il fattore umano è determinante per la performance individuale o di gruppo, l’attenzione, la concentrazione e l’elaborazione delle informazioni rivestono un ruolo di fondamentale importanza.

Senza attenzione non cogliamo ciò che nell’ambiente esterno o interno è necessario – come mezzo o come fine – per raggiungere i nostri obiettivi; senza concentrazione sul compito non possiamo portare a termine le operazioni che iniziamo, perché distratti e interrotti continuamente da altro; senza un’adeguata elaborazione delle informazioni non saremmo in grado di portare a termine operazioni mentali o concrete anche molto semplici se prese singolarmente (come ad esempio guidare e messaggiare con lo smartphone).

La relazione tra attenzione, concentrazione ed elaborazione delle informazioni è al centro della teoria nota come ‘Theory of Attentional and Interpersonal Style’ (Nideffer, 1976). Considerata in psicologia dello sport come uno dei modelli maggiormente comprensivi per la spiegazione di questi fenomeni (Moran, 1996), la teoria cerca di fornire un quadro di riferimento per comprendere e predire le condizioni in base alle quali il potenziale fisico e mentale dell’atleta può essere pienamente espresso negli sport individuali o di squadra, senza comunque escludere altri ambiti di applicazione, come lo studio o il lavoro. Esiste inoltre un questionario, sviluppato dallo stesso autore, il ‘Test of Attentional and Interpersonal Style’ (TAIS; Nideffer, 1976) che è stato poi soggetto a revisioni successive.

Concentrazione e stili attentivi

La teoria afferma che il focus attentivo di una persona può variare entro uno spazio a due dimensioni definito dall’intersezione di due assi, che rispettivamente ne colgono l’ampiezza (focus ampio – ristretto: asse orizzontale) e la direzione (focus orientato all’esterno – all’interno: asse verticale). Vengono così definiti quattro stili di concentrazione, uno per ogni quadrante, che definiscono in termini globali le possibili interazioni tra attenzione, concentrazione e elaborazione delle informazioni, che possono essere messe in relazione all’attività in corso di svolgimento oppure oggetto di analisi:

  • Stile Consapevole: è caratterizzato da un focus attentivo ampio ed orientato all’esterno. L’individuo cerca di cogliere dall’ambiente informazioni da analizzare per reagire velocemente e anche istintivamente alle sollecitazioni ambientali. La persona deve prestare uguale attenzione sia a se stesso che a quanto accade intorno a lui; per esempio, il pilota di formula uno, concentrato nel mezzo di un sorpasso in curva;
  • Stile Strategico: è caratterizzato da un focus attentivo ampio ed orientato all’interno. L’individuo è teso all’analisi, alla pianificazione e alla creazione di strategie. Per attuare questi processi egli sfrutta le informazioni presenti nell’ambiente in relazione a quelle da lui già possedute per esperienza o apprendimento. L’esempio è il giocatore di scacchi, concentrato nella ricerca della prossima mossa da fare a partire dal proprio repertorio di mosse e da quelle che vede fare all’avversario, in relazione alle pedine presenti sulla scacchiera;
  • Stile Sistematico: è caratterizzato da un focus attentivo ristretto ed orientato internamente. L’individuo è impegnato nelle ripetizione sistematica delle informazioni necessarie a portare a termine il compito o per valutare e/o manipolare i propri stati interni (motivazione, respirazione, tensione muscolare etc.) in maniera sistematica. Un esempio è quello del tuffatore, concentrato prima di lanciarsi dal trampolino;
  • Stile Focalizzato: è caratterizzato da un focus attentivo ristretto ed orientato esternamente. L’individuo è teso a realizzare una procedura o un obiettivo di natura concreta oppure interpersonale (ad esempio fare una domanda). Ne sono un esempio il matematico che controlla le derivazioni successive di un’equazione o lo studente che si appresta a fare una domanda al professore.

Concentrazione stili di Nideffer e prestazione sotto pressione Psicologia Fig 1

Fig.1 Stili attentivi di Nideffer

Secondo la teoria (Nideffer,1976) gli individui in genere presentano uno stile di concentrazione preferenziale, nel quale si trovano nella maggior parte del tempo e, nel caso le circostanze lo richiedano, sono in grado di passare più o meno agevolmente da uno all’altro, per conformarsi alle richieste della situazione presente. Forse l’esempio più calzante è la distinzione tra l’atleta dello sport di squadra e lo studente o il manager. Nel primo caso, l’atleta sarà per lo più interessato a cosa accade attorno a lui (focus orientato all’esterno) e si muoverà perlopiù sulla dimensione dell’ampiezza. Per tirare un rigore, ad esempio, il calciatore sarà soprattutto focalizzato sul compito di calciare (focus ristretto); invece, per fare un passaggio decisivo potrebbe essere ugualmente importante considerare la posizione dei propri compagni di squadra e degli avversari sul campo da gioco (focus ampio). Lo studente e il manager, all’opposto, potrebbero perlopiù essere interessati all’autoregolazione emotiva e comportamentale (focus orientato all’interno) e muoversi anch’essi sulla dimensione dell’ampiezza, ma con scopi diversi, come accade ad esempio nella presa di decisione (focus ristretto) o nella pianificazione di un corso d’azione futuro (focus ampio) (cfr. Nideffer, Sagal, Lowry, & Bond, 2001). Lo studente potrebbe ad esempio essere interessato a rimanere calmo e concentrato sulla materia da studiare per l’esame (orientato all’interno) e oscillare tra lo studio del singolo argomento d’esame (focus ristretto) o la pianificazione della successione di argomenti da trattare (focus ampio).

D’altra parte è previsto che ci siano individui che invece si trovano prevalentemente su una posizione ampia o ristretta e che tendono a spostarsi sulla dimensione interno-esterno come anche, infine, trovare individui che di preferenza si trovano su un quadrante (stile consapevole- focalizzato- strategico- sistematico) e che in base alle richieste della situazione si muovono sugli altri.

Quest’ultima idea sembra essere supportata da resoconti esperienziali, studi osservazionali e rilevazioni empiriche (Nideffer, 2002). Ad esempio Landers Wang e Courtet (1995) mostrano che all’approssimarsi del compito l’ampiezza del focus attentivo diminuisce; Lacy (1967), invece, dimostra che la frequenza cardiaca tende ad accelerare (orientamento verso l’interno) o decelerare (orientamento verso l’esterno) in accordo con lo slittamento del focus attentivo sulla dimensione orientamento interno-esterno.

Pressione ambientale, performance e concentrazione

Ma cosa succede quando ci troviamo improvvisamente sotto pressione? Cosa accade, ad esempio, quando ci troviamo a competere con i nostri avversari di fronte a uno stadio gremito di spettatori? Cosa accade quando dobbiamo discutere la nostra tesi di laurea di fronte ad amici e parenti? Cosa accade quando il tempo stringe e dobbiamo consegnare un lavoro? Per esperienza diretta o resoconto riferito da altri, conosciamo bene la situazione di chi, nonostante una profonda, lunga e tenace preparazione, si è trovato improvvisamente senza parole di fronte ad una commissione, ha sbagliato un lancio decisivo, ha improvvisamente lasciato incompiuto un lavoro importante… Non esiste limite agli esempi che si possono fare, allora forse è meglio una domanda più generale: ‘Cosa accade quando aumentano le pressioni ambientali e, in conseguenza di ciò, anche il livello di attivazione (arousal)?’. La teoria afferma che sotto queste condizioni, lo slittamento da una stile attentivo all’altro diviene più difficile e la persona tenderà sempre più ad orientare la concentrazione verso l’interno e a sperimentare un restringimento del focus attentivo, determinando in questo modo un deterioramento significativo della performance, descritto dall’autore nei termini di una ‘spirale discendente’ di decisioni e azioni frettolose e una percezione del tempo velocizzata (Nideffer, 1986).

Concentrazione stili di Nideffer e prestazione sotto pressione Psicologia Fig 2

Fig. 2 Downward Spiral Degradazione performance

Come prevenire una situazione di questo tipo? Ma soprattutto, come mai gli atleti che gareggiano a livelli molto elevati, e che osserviamo tutti i giorni confrontarsi in competizioni serrate in stadi rumorosi e gremiti di folla, non soccombono alle pressioni ambientali?

In realtà la performance sportiva individuale sotto pressione, secondo l’autore (Nideffer, 2002), è determinata da quattro parametri:

  • Differenze genetiche: che determinano ad esempio l’ansia di tratto (Eysenck, 1988), il temperamento, la reattività allo stress;
  • Differenze individuali nella consapevolezza e nell’uso di strategie usate per ‘trattare’ i problemi, come l’evitamento di distrazioni e la focalizzazione volontaria dell’attenzione (Orlick, 1990), l’uso dei segnali che provengono dall’ambiente in relazione al compito in corso (Abernethy & Russell, 1987) etc.;
  • Grado con il quale la prestazione è stata appresa e automatizzata grazie alla sua ripetizione, fino al punto in cui la messa in atto sia eseguita ‘senza pensarci’, ovvero con un dispendio minimo di risorse cognitive (elaborazione ‘mindless’; Shiffrin & Schneider, 1977);
  • Grado di fiducia nelle proprie capacità di fronteggiare la situazione. Sono in gioco qui variabili come il senso di autoefficacia percepita (Bandura, 1997), la valutazione delle situazioni in termini sfida e opportunità (Lazarus & Folkman, 1984), l’ottimismo disposizionale (Carver, Scheier, & Segerstrom, 2010), tra le altre.

Così, una volta venuti a conoscenza di quali sono le situazioni in cui ci è richiesto -e soprattutto desideriamo- esercitare livelli elevati di performance, e una volta conosciuto in che modo i parametri di cui sopra si presentano in noi, dovremmo essere in grado sia di predire i comportamenti che metteremo in atto quando la pressione ambientale sarà per noi troppo elevata, sia quali situazioni potrebbero essere per noi fonte di stress eccessivo, in grado di erodere la nostra prestazione (cfr. Nideffer, 2002).

In conclusione, la teoria degli stili di concentrazione ci fornisce indicazioni preziose da seguire se vogliamo mantenere livelli elevati di performance anche sotto stress:

  • Conoscere la propria reattività alle situazioni: se si è troppo reattivi per qualsiasi motivo (mancanza di sonno, responsabilità eccessive, disagio psichico etc.) ricercare modalità per diminuirla: curare il sonno, l’alimentazione, impegnarsi in attività di qualità durante il tempo libero etc.;
  • Imparare a focalizzare l’attenzione e acquisire/implementare nuove strategie di risoluzione dei problemi, se quelle già in uso non funzionano;
  • Esercitarsi nel compito fin quando non viene automatizzato, eseguito ‘senza pensarci’, in modo rapido e preciso;
  • Costruire la fiducia nelle proprie capacità di fronteggiare il compito, coltivare l’ottimismo, vedere le situazioni problematiche in termini di sfida;
  • Imparare a riconoscere quando la pressione ambientale diviene per noi eccessiva: quando il respiro si fa corto, i muscoli si irrigidiscono e tendiamo a fare le cose ‘di corsa’, è probabile che la nostra concentrazione sia orientata internamente e ristretta a pochi elementi, e la prestazione stia subendo un calo. In questo caso è opportuno fare un passo indietro, allontanarsi dal compito e recuperare l’equilibrio, per ritornare a livelli di prestazione ottimali;
  • Conoscere il proprio stile di concentrazione preferenziale e imparare a riconoscere in quali dei quattro stili tendiamo a ‘slittare’ quando siamo sotto stress, per sfruttarlo a nostro vantaggio.

Il supporto di un professionista, consulente psicologico o psicoterapeuta, potrebbe rendere il conseguimento di questi obiettivi più rapido e meno dispendioso in termini di tempo e risorse impiegate.

Se lo scopo prossimale è eseguire meglio i compiti nei quali ci impegniamo, volenti o nolenti, lo scopo finale è sempre lo stesso: vivere meglio. E dare una prestazione ottimale nelle situazioni della vita che richiedono un impegno da parte nostra, è uno dei modi di cui disponiamo per ottenere, almeno in parte, questo risultato.

 

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RIFERIMENTI BIBLIOGRAFICI
  • Bandura, A. (1997). Self-efficacy: The exercise of control. New York: Freeman.
  • Carver, C. S., Scheier, M. F., & Segerstrom, S. C. (2010). Optimism. Clinical psychology review, 30(7), 879-889.
  • Lacy, J.I. (1967). Somatic response patterning and stress: Some revision of activation theory. In H.H. Appley & R. Trumbull (Eds.), Psychological stress: Issues in research (pp. 170-179), New York: Appleton-Century-Crofts.
  • Landers, D.M., Wang, M.Q. & Courtet, P. (1995). Peripheral narrowing among experienced and inexperienced rifle shooters under low- and high-time stress conditions. Research Quarterly for Exercise and Sport, 56, 122-130.
  • Lazarus, R. S., & Folkman, S. (1984). Stress, appraisal, and coping. New York: Springer publishing company.
  • Moran, A.P. (1996). The psychology of concentration in sports performers: A cognitive analysis. Hove, East Sussex: Psychology Press.
  • Nideffer, R. M. (2002). Theory of attentional and personal style vs. test of attentional and interpersonal style (TAIS). Enhanced Performance Systems, 1-34.
  • Nideffer, R.M., Sagal, M.S., Lowry, M., & Bond, J. (2001). Identifying and developing world class performers. In, The practice of sport psychology, Gershon Tenenbaum (Ed.). Fitness Information Technology: Morgantown, WV. 129-144.
  • Orlick, T. (1990). In pursuit of excellence. Champaign, IL: Leisure Press. Abernethy, B., & Russell, D. G. (1987). Expert-novice differences in an applied selective attention task. Journal of Sport and Exercise Psychology, 9(4), 326-345.
  • Shiffrin, R.M. & Schneider, W. (1977). Controlled and automatic human information processing, II: Perceptual learning, automatic attending and a general theory. Psychological Review, 84, 127-190.
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